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III.
Se io fossi villanella!

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Io non so se Matilde abbia mai formulato così nettamente il suo desiderio; ma educata com'era fra le mura della sua camera, schiava delle convenienze, e più ancora di quella tenerezza guardinga dei genitori, che può essere anch'essa una specie di tirannia, trovando sempre un limite determinato ai movimenti del suo corpo, del suo spirito, del suo cuore, si può facilmente comprendere come dovesse aspirare ad una vita più libera, qualunque ella fosse. Il medico aveva un bel dire ch'ella si dovesse guardare dall'aria, dagli odori troppo forti, dalla soverchia luce del sole, dall'umidità della notte. Queste prescrizioni le acuivano il desiderio di ciò che le veniva interdetto: e mancandole il coraggio di protestare, si contentava d'invidiar la sorte di quelle che potevano a loro bell'agio mirare le stelle, dar la caccia alle fuggenti farfalle, abbandonare al venticello di primavera la lieve capellatura, e aspirare il profumo della tuberosa e della cardenia senza temere una nevralgia.

— S'io fossi villanella! — Se così non cantava il suo labbro, quando, assisa dinanzi al suo piano, addestrava la voce ai difficili gorgheggi che le venivano prescritti dal metodo, certo così avrà mormorato il suo cuore, quando dalle socchiuse persiane vedeva gli alberi e i campi, quando pensava alla sua sorella di latte, alla Rosa, che, a parer suo, doveva essere la più felice creatura del mondo. — S'io fossi villanella! —

— Di grazia, se foste villanella, che cosa fareste voi, signorina? — Oh, s'io lo fossi! Vorrei alzarmi prima dell'alba, vorrei visitare le mucche quando allattano i vitellini a cui spuntano appena appena le corna: vorrei cogliere i fiori del campo stillanti ancora della rugiada notturna, adornarmene il seno e la fronte, farne un mazzetto de' più belli per regalarli alla mamma e a tutti quelli che mi vogliono bene.

— Che fa a me la musica di Liszt con quei salti sterminati che mi rompono le dita? E quando son giunta in sei giorni a suonarne una pagina, non n'ho acquistato che un'emicrania? E quella di Thalberg e di Moscheles che, a dire del maestro medesimo, non ha sugo se non è suonata con quella perfezione alla quale, dic'egli, io non giugnerò mai? E perchè mi dovrò annojare mesi e mesi sul pianoforte, se non c'è speranza ch'io possa riuscire a tanto? Per me mi sembra che i trilli dell'usignuolo, che ascolto talvolta dalla finestra, fra i carpini del giardino, valgano bene le stravaganze del re de' pianisti; e le cicale che s'accordano fra loro la state, hanno anch'esse il loro merito, e quasi quasi, giacchè il maestro non mi sente, vorrei dire che mi piacciono più del trillo di Döhler.

— Dover consumarmi gli occhi per disegnare e ricamare qui questi fiori che non hanno nè odore nè eleganza nè senso comune, mentre laggiù ve ne sono tanti che crescono senza coltura nei prati, e così belli che il pittore più bravo del mondo non potrebbe imitarli? Non parlo di quelli che crescono e sbocciano a tutte le stagioni nelle conserve del babbo. Che stravaganza! Aver lì tutte le meraviglie del regno vegetabile, sempre pronte a' miei comandi, e dover logorarmi la vista qui per fare degli sgorbi per l'onomastico del tale, e per il giorno natalizio di un altro! Non sarebbe meglio darglieli questi fiori belli e freschi come sono in natura? Oh! io per me, quando sarà la festa del signor Antonio, penso che gli farò un bel mazzo di fiori freschi piuttosto che obbligarlo a lodare i miei scarabocchi. Il signor Antonio, che ha tanta buona grazia, mi saprà grado del cambio! —

Il signor Antonio era un giovane medico che aveva appena terminati i suoi studj, ed era stato presentato al castello da una vecchia zia che voleva lanciarlo, com'ella diceva, nel gran mondo, perchè avesse a meritare la ricca eredità che alla sua morte gli spetterebbe. Fra tutte le persone che Matilde aveva veduto, il giovine dottore le era parso il men lontano da quel tipo ideale che ne' suoi sogni la fantasia verginale le dipingeva. Egli l'avea guarita di un'emicrania con certe pasticche soavi, ben diverse dai beveraggi che gli altri medici la obbligavano ad ingollare. E poi egli non era stato così severo ad interdirle l'accesso negli stanzoni: insomma il dottorino le avea fatto una impressione se non profonda almeno gradita. Non ch'ella andasse più là! Sapeva bene che la vanità de' suoi genitori e le convenienze di famiglia non le avrebbero mai permesso d'amarlo. Sì davvero! il nobile stemma di Susans inquartarsi colla laurea dottorale del signor Antonio! Sarebbe stato un orrore!

Ma tra il sonno e la veglia, quando codeste idee di convenienza e di gentilizio decoro si presentano all'immaginazione attenuate dall'istinto involontario della natura, allora Matilde faceva il più bell'appartamento del suo castello in aria a proposito del dottore. — S'io fossi villanella! — tornava a cantare fra sè. — Egli m'ha detto l'altra sera che, ad onta della volontà della zia, pensa di lasciar la capitale e di accettare una condotta in un povero villaggio. Che nobili sentimenti! Egli non intende d'essere a carico di nessuno, nè anche della sua parente di cui dev'esser erede! Egli vuole farsi un'esistenza da sè, bastare, in una parola, a se stesso! Sapessi almeno il villaggio dov'egli intende di confinarsi! Mi sembra già di vederlo recarsi volontario, nella cruda notte, alla capanna del povero, restituire quasi per miracolo i perduti colori alla figlia del campo. Io la invidio! Credo che vorrei sopportare di buon grado qualche lieve incomodo per dargli il piacere e il trionfo di liberarmene! Che compiacenza essere a lui debitrice della salute! Che dolce ricambio di affetto nascerebbe nell'animo nostro! E chi sa! forse egli potrebbe amare la villanella che avesse salvata da morte, e legata a se stesso col saldo vincolo della gratitudine. Ed io gli direi cogli occhi, perchè non oserei colle labbra: Io sarò la vostra compagna per tutta la vita. —

Ma qui i suoi pensieri, i bei sogni pastorali di Matilde prendevano un'altra via. Ella tornava nella realtà del suo stato, e diceva a sè stessa: — Pure, questa dichiarazione, che non compromette, potrei fargliela addirittura! Una buona dote non guasta. Ma e' saprei allora se egli accettasse la mia proposta per riguardo a me o non piuttosto per amor delle mie ricchezze! La povera villanella sarebbe certa che l'amor solo lo indurrebbe a darle la mano: mentre io sono qui fatta segno alle smancerie di quattro o cinque aspiranti, che, ne son certa, fanno la corte a' miei denari e non altro. —

E restava pensando alla sua posizione, e cercando pure di acquetarsi alla grande infelicità d'aver una dote di dugentomila scudi. — Io li ho, tutti questi denari, io li ho certo: tutti me lo dicono con invidia. Ma intanto io non posso servirmi della più lieve somma senza passare per una trafila di domande e risposte che mi fanno rinunciare a una moltitudine di piccoli bisogni e di piccoli desiderj. Almeno la povera villanella che ha vegliato alcune notti torcendo il fuso, è padrona assoluta delle poche lire che busca, e può servirsene a suo talento! Ella è più ricca di me che passo per milionaria, e non posso comperarmi uno spillo senza dire il perchè. — Ella va al mercato, sceglie un corsettino aggiustato alla persona come quello della Rosa, e la domenica alla chiesa o alla festa di ballo tutti gli occhi sono rivolti a lei, e tutti l'ammirano. E se l'è fatto co' suoi guadagni!

Io invece non vado mai al ballo: hanno paura ch'io pigli un reumatismo. Oh! vorrei sapere perchè m'hanno fatto dare tante lezioni di ballo da quel brutto monsieur Moulin! Veramente un bel gusto a ballare il valzer e la polka con quello stupido scimmiotto! Ecco la Rosa che balla meglio di me, e non ha mai preso lezione di sorta. Davvero ch'io la invidio, la Rosa! Voglio assolutamente andarmene a stare un mese con lei, al villaggio. Oh sì! Coglierò il momento che il babbo è di buon umore; gli salterò al collo e gli dirò: Babbo mio, se non volete vedermi morire, lasciatemi andare due settimane in compagnia della Rosa. E piangerò tanto che me lo dovranno permettere perch'io non ammali davvero. Quando sarò colla Rosa, mi comprerò un gonnellino corto come il suo, m'aggiusterò un corsetto verde con bei nastri color di rosa, e farò conto d'esser una villanella.... Oh, se il signor Antonio venisse a far il medico in quel villaggio! Che bella improvvisata gli vorrei fare! —

— Madamigella Matilde, sapete voi quante sciocchezze avete pensato in questo quarto d'ora? Se foste villanella! E sapete voi, signorina, che cosa significhi vegliar più notti di seguito torcendo il fuso? Sapete voi che fa la povera filatrice delle poche lire che busca? Sapete voi?... Voi non sapete nulla, Matilde. Entro il vostro splendido appartamento voi vedete il mondo esteriore come a traverso d'un prisma che ve lo dipinge di tinte brillanti che esistono forse, ma non si scernono ad occhio nudo. Voi sognate un mondo ben diverso dal vero: e se il caso avverasse i vostri desiderj, pochi momenti basterebbero a trarvi d'inganno. Io non dirò che siate molto felice nel vostro stato; ma so che non reggereste ne' panni della povera Rosa.

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