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A CHI LEGGE.

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Signori e Signore

I Racconti che vedete qui riuniti sono fratelli carnali delle Novelle vecchie e nuove che mandai per il mondo, anni fa. Anche tra questi ve n'ha di vecchi e di nuovi: c'è il primo che scrissi, i Complimenti di Ceppo, e l'ultimo, che fantasticai su' due piedi, dinanzi alla porta della mia casa in una delle ultime notti stellate.

I Complimenti di Ceppo, come la maggior parte de' suoi fratelli e sorelle, sono autentici e veri quanto può esserlo ogni altra storia e novella che corre per le stampe e per le bocche degli uomini. Ma perchè fu il mio primogenito, ed ha l'età della ragione, vi dirò come ei nacque e perchè.

Io viveva in diebus illis nella bella città di Trieste, e vi stampavo un giornale col titolo modesto di Favilla, e colla epigrafe ambiziosa:

Poca favilla gran fiamma seconda.

I miei abbonati, sparsi per tutta l'Italia, divenivano a vicenda i miei collaboratori gratuiti. I giornali, in quel tempo, non erano organi del governo o di un partito contro il governo: erano un ricambio d'affetti e d'idee, un amo gittato a caso per pescare, dovunque fosse, un amico del buono e del bello.

Una volta l'amo venne su carico di una grave censura ad uno dei più gentili poeti viventi; censura acerba ma vera, sottoscritta da un nome di donna. Il poeta rispose; la donna replicò col vigore e col senno di un critico provetto. Invitata ad onorare de' suoi scritti il giornale, mandava un altro scritto in cui rivedeva le bucce all'Ariosto, a proposito d'una sua versione o imitazione elegante ma poco esatta di Catullo o di Virgilio, sempre colla medesima firma. Credetti, sulle prime, che quel nome di donna coprisse quello di un letterato barbogio, il quale per rendersi accetto al pubblico usurpasse il nome di una gentil damigella.

Ma fatta un'inchiesta, venni a sapere che l'autore di quelle critiche argute era veramente una donna, e che il nome di Caterina Percoto, ond'erano sottoscritte, apparteneva davvero al libro d'oro della nobiltà friulana.

Ringraziando la mia incognita collaboratrice de' suoi eruditi articoli di critica letteraria, osai pregarla a mutar qualche volta registro; e poichè aveva l'onore di appartenere al sesso gentile, volesse mandarci qualche scritto da donna.

Tre mesi di silenzio punirono l'indiscreto consiglio. Poi, sollecitata a rispondere, mi fece significare che non sapeva indovinare che cosa io intendessi per uno scritto da donna.

Invece di scriverle una dissertazione, scrissi e le mandai stampato il racconto sovraccennato, dicendole, nel miglior modo ch'io seppi, ch'io le davo in mano l'orditura di una tela ch'ella saprebbe tessere e ricamare meglio di me. Nata contessa, e vivendo alla buona cogli abitanti della sua terra, avrebbe potuto meglio d'ogni altro descrivere i mille aspetti della natura, i costumi, le tradizioni, le vicende, gli affetti di quei campagnuoli.

Dopo un silenzio più lungo, la contessa Caterina Percoto mi mandò il manoscritto della sua prima novella Lis Cidulis. Ella aveva non solo compresa, non solo giustificata, ma superata la mia aspettazione.

Il mio raccontino era stato la cote di cui parla Orazio, che affila il ferro, inetta per se stessa a tagliare.

E questo vi spieghi perchè i Complimenti di Ceppo mi sono cari, e perchè mi applaudo segretamente di averli scritti e stampati. Senz'essi forse la contessa Caterina Percoto avrebbe continuato a scrivere le sue elucubrazioni erudite, e l'Italia aspetterebbe ancora la sua gentile e simpatica novellista.

La cote d'Orazio, affilando l'altrui stile, affilò pure il mio. Noi scrivemmo a prova racconti e novelle, dipingendo ciascuno le proprie impressioni, e commentando i fatti cotidiani di cui eravamo testimoni, o che ci arrivavano, comunque fosse, all'orecchio. Io ritraeva più spesso la città co' suoi vizj; essa la campagna e le sue modeste virtù. Poco ella prese da me: io molto da lei, massime i colori che resero accetta la mia Rosa dell'Alpi, ristampata da ultimo di là dell'Atlantico, e data come testo di lettura italiana ai concittadini dell'illustre Longfellow.

Ecco come nacque il mio primo racconto, e come fu seguìto dagli altri. Fate loro buon viso, o lettori, se non foss'altro, perchè furono stimolo ed occasione a cose migliori.

L'Autore.

Firenze, 20 luglio 1869.

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