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VI.
Conclusione.

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Mentre Matilde cavalcava a bell'agio verso la città, il lento e monotono passo, l'ora del vespro, e sa Iddio quali altre circostanze, influivano per modo sull'animo suo, che si mostrava più mesta che mai. Alle galanti rimostranze del cugino che le cavalcava da presso, o non dava risposta, o le risposte eran tali che gli toglievano il desiderio di replicare. Matilde aveva sempre dinanzi agli occhi quella lagrima sfuggita alla Rosa, ripensava al colloquio avuto con essa, e cerca, cerca, finalmente le parve di scoprire la vera causa della subitanea freddezza che era in lei succeduta alla ingenua espansione della mattina. Dico le parve, perchè in Matilde non era più che un sospetto. — S'io verificassi il suo sogno — diss'ella fra sè — S'io le consegnassi questi braccialetti da vendere? A mio padre dirò d'averli perduti, che mi sono stati rubati, che so io? Una scusa la troverò. Anzi vo' dirgli la verità; gli chiederò le mille lire per mettere il cambio allo sposo della mia sorella di latte: mio padre non mi negherà di fare una buona azione. Egli ne ha spesi ben più per comperarmi il cavallo. — Ella diceva così perchè la cosa infatti non avrebbe dovuto parer differente nè pure al conte: ma egli avea talora certe ragioni inaspettate per opporsi ai desiderj della figliuola, che questa non era senza inquietudine intorno all'adesione di lui nel caso presente. Ci pensò alquanto, poi conchiuse fra sè: — E s'egli mi negherà queste mille lire, io ricuserò di dar la mano a costui!...

Questo costui era poco lontano da lei: era il cugino che le aveva posto in capo il grillo di cavalcare. Noi non entreremo nelle ragioni di famiglia che potevano indurre il conte di Susans a preferire a tutti gli altri questo partito. Forse sarà stato il nobile desiderio di condensare in una sola famiglia la dote della figliuola e il ricco patrimonio di lui. Dico nobile nel senso stretto della parola. E forse la ragione che lo induceva era un'altra. Il conte s'era avveduto dell'inclinazione nascente della Matilde per il giovane medico. Ho detto ch'egli s'era assentato dalla città per farsi uno stato da sè: ma io dubito invece che le mene secrete del conte ci avessero alcuna parte. Checchè ne sia, non giova diffondersi, giacchè ho preso l'obbligo di conchiudere. Dirò solo che la Matilde ne fu ammalata per alcuni giorni, poi cominciò a pigliar aria, a rasserenarsi, a dimenticare. Già fin dal primo momento quel partito le era parso impossibile secondo le idee gentilizie della famiglia. Onde s'acquetò, transigendo col padre e con se medesima con questa restrizione mentale: — S'io non posso maritarmi a voglia mia, almeno non isperi maritarmi alla sua. — Questa risoluzione era troppo recente perchè non pensasse a metterla in atto nell'occasione che le si offerse pochi dì appresso. Il conte le parlò alla lontana del cugino, delle sue amabili maniere, delle sue ricchezze, delle sue aderenze, ecc., ecc. Matilde intese, e finse dapprima di non intendere; ma poi, dichiarata la cosa, trovò il coraggio di rispondere al conte: — Padre mio, voi non vorrete, spero, sacrificarmi: io non amo il cugino, e non sarò sua sposa in eterno. — Capite che nel piano educativo del signor conte padre dovea essere ammessa o almeno tollerata la lettura di qualche dramma o romanzo di bella stampa. Non era un mese che quella parola sacramentale in eterno era stata proferita da Matilde, e già l'eternità cominciava ad accorciarsi contro l'avviso dei metafisici. Almeno in questo caso il capriccio che eccitava Matilde a venir a patti col tempo e colla sua parola, era un capriccio di buon genere. — Io sposerò — diss'ella — un uomo che non amo, ma almeno avrò contribuito alla felicità della Rosa. — Quell'apparenza d'eroismo che c'era in questa proposizione sedusse l'animo cavalleresco della fanciulla; spronò il ginetto, e in preda all'entusiasmo di questo progetto non si fermò che nel cortile del suo palazzo, rubiconda le guancie e animata gli sguardi d'una nuova e gentile alterezza. Porse graziosamente la mano al cugino ch'era smontato prima di lei, ed entrò balzelloni nell'appartamento che, sia detto fra noi, le parve più bello e agiato della capanna di Rosa.

Non erano passati alcuni giorni da questa memorabile cavalcata, che Rosa si vide comparire dinanzi Marcello. Povera Rosa, fu per trasecolare quando seppe da lui che aveva potuto sottrarsi alla coscrizione e mettere un cambio. Ma come? In qual modo? Come aveva trovata la somma enorme che si chiedeva? Questa somma oggimai pareva enorme alla Rosa, perchè il recente suo disinganno le aveva mostrato che c'è quasi altrettanta difficoltà ad averla in dono dai ricchi, quanto a raggranellarla col cotidiano lavoro. Marcello le raccontò come un maggiordomo incognito fosse venuto a trovarlo nella caserma, gli avesse consegnata la somma necessaria ad un cambio, e l'assenso della Commissione di leva a rilasciarlo in libertà, tosto che avesse presentato persona che lo rappresentasse nel numero. Il maggiordomo aveva fatto entrare un soldato che aveva pochi dì prima terminata la sua capitolazione, e il quale, per la somma proposta era pronto a riprendere l'uniforme. — Io credevo di sognare — soggiunse Marcello — ed ebbi appena il tempo di chiedere da chi mi veniva l'inaspettata beneficenza. Il maggiordomo sorrise, e mi disse che veniva da voi; e prima che mi riavessi dalla sorpresa era già sparito, lasciandomi nelle mani il denaro e la prova della mia libertà. Ora mi direte voi la parola di questo mistero. —

La Rosa non la sapeva questa parola, ma non tardò a immaginarsela. Ella riconobbe l'opera di Matilde, e quest'opera le parve tanto più nobile e generosa, che era stata eseguita prima che promessa, prima che chiesta; anzi oggimai fuori di ogni aspettazione e d'ogni speranza. Raccontarono alla famiglia l'avvenuto, e come si può credere, si stabilirono su due piedi le nozze.

Di lì a pochi giorni i due sposi, seguiti dalla madre di Rosa, giunsero al castello per ringraziare la loro benefattrice. Ella stava soscrivendo il contratto nuziale che la doveva legare al cugino, e ne pareva contenta. Certamente, se il merito d'una buona azione può influire sulla nostra felicità, Matilde non avrà a pentirsi di ciò che ha fatto. — Ma i castelli in aria?

E se erano fabbricati in aria, mie buone lettrici, dovevano presto o tardi dileguarsi in seno d'un elemento così mutabile ed incostante. Ma tutto almeno non isvanì. Rosa vide avverarsi la parte più essenziale del suo bel sogno, senza cavalcare all'amazzone per le ville e per le città; e Matilde si riconciliò colla sua ricchezza che se, inoperosa, le aveva dato più noia che altro, le aveva procurata la più gran compiacenza della sua vita quando aveva cominciato ad usarne.

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