Читать книгу Racconti - Francesco Dall'Ongaro - Страница 8

IV.

Оглавление

Indice

Un'ora dopo un leggero calesse ci traeva entrambi all'antico castello dei conti. Parmi aver già detto, o lettori, come San Salvatore non era nè la sola nè la più antica sede della illustre famiglia. A sei miglia circa da questo castello ne sorge un altro, edificato forse verso il decimo secolo, men comodo ad abitarsi, ma pur magnifico per quel tempo e ragguardevole per la sua costruzione. La tragica morte di Bianca era seguìta in quest'ultimo, ed è naturale ch'io volessi vedere cogli occhi propri e toccare con mano quel poco che ancor rimaneva a testimonio del fatto. Il Franceschi non esitò ad appagarmi, e mi si offerì per compagno, benchè non era cosa lieve per lui l'affrontare l'afa d'una giornata d'agosto. Ma c'entrava di mezzo l'amicizia, l'archeologia e l'interesse che aveva per tutto ciò che riguardava i Collalto, onde si sarebbe gittato nel fuoco, non che altro, per non mancare, com'ei diceva, all'obbligo suo.

La via che percorrevamo è tra le più amene e poetiche che si possano immaginare. Da un lato la pianura verde coltivata, irrigata, sparsa di case, popolata di gente che accorreva, vestita a festa, a' rispettivi villaggi. Dall'altro la collina molle, cespugliosa, vitifera; più lungi le montagne azzurre, ombrate ancora dalla lieve nebbia del mattino. La strada or saliva dolcemente, or scendeva con facil declivio, fiancheggiata a destra da spinose ed eleganti robinie, a sinistra da qualche pioppo cipressino interrotte da folti e vellutati avellani. La verzura dell'Asia e quella dell'Italia spandevano le loro braccia e intrecciavano le loro ombre tremolanti sul nostro capo. Ma già la scena cambiava: ai terreni seminati da molto succedevano le terre ghiaiose, desolate dalle più recenti alluvioni del vorticoso Anasso, come lo chiama il Carrer; e quelle sono le antiche roveri del Montello che ricorrono sì spesso nelle sue lettere della Stampa. Vedi come il bosco seconda il sorgere e l'avvallar del terreno!

Già noi lasciamo il piano, per rivolgerci al monte. Ecco apparire da lunge le merlate sommità di Collalto: questo, un tempo, era un romitaggio abitato non so da qual ordine di claustrali; ora non è che un maniere, come un tempo dicevano; una casa attenente al castello, ed abitata dal custode di quello. Non vi so dire che effetto mi facessero que' corridoi, serbanti ancora le traccie dell'antica destinazione, ed ora volti ad altr'uso. Certo è che il luogo è posto sul pendìo del colle con sì felice accorgimento, che doveva essere un'amenità l'abitarvi. Forse il Bembo ed il Casa, che ne parlano ne' loro scritti, vi avranno attinta quella grave e dolce malinconia che alcune volte riscalda i lor versi, e li rende sì amabili. Di qui si domina oltre al torrente la Badia di Narvesa, appartenente anch'essa ai Collalto, e più lungi verso ponente, fra le mille sinuosità de' monti, vedi biancheggiare le colonne del tempio onde il Canova consecrò il povero villaggio dov'ebbe la culla.

Perdonate s'io non posso percorrere questi luoghi senza comunicarvi le grate impressioni che mi lasciarono. Ecco Collalto. Anche qui più d'una torre ne proteggeva l'ingresso. Peccato che l'istinto livellatore del secolo, il quale s'appiglia anche ai più lontani dal centro, abbia anche qui portati i suoi guasti: anche qui una scorciatoia, un rettilineo ha costato la vita a qualche massiccia costruzione monumentale. I mangiatori di pietre sono penetrati fin qui. Ma il corpo principale dell'antico castello rimane pur sempre: ecco il torrione, men gigantesco, meno elegante dell'altro che vi descrissi, ma più originale, più medio-evico. Una scala esterna mette al primo piano dell'edificio, il quale, benchè serbi qua e là le traccie del tempo in cui sorse, fu però rinnovato e ristaurato più volte. Passammo guidati da una vecchierella cortese per una lunga fila di camere, dove la varia tappezzeria accennava alle varie età e ai vari gusti dei signori che v'abitarono. Tutto però sembra abbandonato da molto, e infatti i Collalto preferiscono il castello di San Salvatore o le loro signorie nella Moravia.

Tuttociò non m'importava gran fatto; io era impaziente di vedere la stanza della povera Bianca, e non altro. Quando fummo sul limitare di quella, la buona vecchierella quasi involontariamente diede indietro segnandosi: cosicchè v'entrai solo in compagnia del Franceschi.

La stanza era più mal concia delle altre; ruinato il pavimento, sfondato il soffitto. È tradizione che, ritrovato nella parete il miserando scheletro, si smettesse il ristauro già incominciato, e la stanza rimanesse a un di presso come si vede. Certo è che non fu più abitata. I signori fecero dare onorata sepoltura alle infelici reliquie nella cappella medesima dove si vedono ancora le tombe de' lor famigliari: e lì su quella parete medesima, quasi in espiazione del fatto, fecero dipingere un Ecce Homo. Questo affresco fu poi intonacato di calce; e sopra l'intonaco fu incorniciata una tela con un crocifisso dipinto. Ora il quadro fu tolto, e scrostato qua e là l'intonaco, lascia vedere qualche vestigio della prima pittura. Ecco in quale stato ritrovai quella stanza che non solo Italiani, ma Francesi ed Inglesi non lasciano di visitare. Inspirato da questa vista, il poeta Roger consecrò nel suo intinerario poetico questo pietoso racconto, e non è questo il primo caso, nè sarà l'ultimo che gli stranieri, specialmente gl'Inglesi, più degli altri riverenti all'Italia, sappiano discernere ed illustrare le nostre poetiche tradizioni. Egli inventa a capriccio il nome della infelice vittima, forse per servire alle leggi della sua prosodia: del resto egli dovette attingere la tradizione alle medesime fonti da cui la traggo.[2]

I cronisti della Marca, e quelli che più specialmente si occuparono della famiglia Collalto, non ne fanno, ch'io sappia, menzione: ma la voce del popolo è lì per supplire alla storia, la voce del popolo che procede di padre in figlio, e può susurrare all'orecchio nei colloqui confidenziali i fatti pericolosi a narrarsi dagli scrittori o parziali, o timidi, o mercenari. Potessimo interrogar questa voce nei luoghi ove non è affatto spenta, molti avvenimenti, già consegnati alle storie, si vedrebbero mutar faccia, e apparirebbero le picciole cause che minarono sordamente la base delle umane sommità. Ma codesto non si può fare nel proprio gabinetto: bisogna recarsi sul luogo, mescolarsi col volgo, meritar la confidenza dell'umile donnicciuola. Una parola sfuggita a caso, potrebbe appurare una data e rivelare un evento, dipingere una persona. Ma questa sarebbe una scienza nuova. Gli eruditi pongono ancora la loro gloria nell'ammucchiar date su date, nomi su nomi: con ciò ne danno spesso il cadavere della storia; ma chi vi spira per entro il soffio della vita?

La vecchierella ci avea aspettati nell'anticamera. Le domandai, guardandomi bene da lasciarle trapelare il mio scetticismo, se la Donna Bianca le fosse mai apparsa.

— No, signore, risposemi. Io non sono stata degna di tanto: nè io, nè mia madre; ma la nonna la vide all'occasione della nascita del padron vecchio, e fu gran festa in paese. La povera nonna morì in concetto di santa.

— E chi è stato l'ultimo a vederla? Si potrebbe parlargli?

— L'ultimo è stato Lorenzoni, soggiunse seriamente la vecchia. Or saranno circa trent'anni. Da quel tempo nessuno meritò questa grazia, o forse mancò l'occasione.

— Qual occasione? diss'io.

— Si sa bene, signore. Domandi qui al signor Franceschi. La Donna Bianca comparisce tre giorni prima che i padroni si trovino in allegrezza o in gramezza. Vuol dire che in questi trent'anni non successe niente nè di buono nè di cattivo.

— Può essere, risposi. Chi sa che non tocchi a voi, buona donna, l'onor della prima visita.

— Oh! signore! Se fosse per bene de' nostri padroni, sarei ben contenta....

— Voi già non ne avete paura.

— Di che? La Donna Bianca non ha fatto mai male ad alcuno. È una grazia che fa l'avvertirci del bene e del male prima che seguano. Così possiamo prepararci.

— Dite bene, buona madre, diss'io. E, infatti, io non avrei trovata una ragione sì dilicata, e dirò anche, così filosofica. Ci congedammo dalla cortese vecchierella, la prima che sentissi a parlar di visioni con tanto buon senso. È certo che codeste apparizioni, e la causa di esse, erano per lei verità incontrastabili. Io posso riferir le parole, ma tenterei invano communicare ai lettori quell'accento di persuasione, quella specie di fede che mi fece notabile questo dialogo. — Andiamo via di qua, dissi celiando al Franceschi. Queste parole, questi luoghi, e un sogno ch'ebbi stanotte, per poco ch'io resti, mi faranno credere alla visione, come ci è forza credere al fatto che vi diede origine. Non mi maraviglio più che una tal tradizione si propaghi e si tenga per certa. Quasi quasi m'aspetto di vederla la Donna Bianca, prima di lasciar questi luoghi ch'ella ha fatto sì celebri!

Racconti

Подняться наверх