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LIBRO PRIMO
CAPITOLO XIII

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Come l'autore trova una ninfa chiamata Taura, la quale gli rende ragione di molti fenomeni.

        Appena eravamo iti un miglio e mezzo,

        ch'io vidi in una valle una donzella

        sotto una quercia, che si stava al rezzo.


        Io andai a lei e dissi: – O ninfa bella,

    5 di qual reame se'? O dolce dama,

        deh, fammi cortesia di tua favella,


        e dimmi il nome tuo come si chiama.

        Cosí soletta senza compagnia

        aspetti tu alcun, che forse t'ama? —


   10 Ella si volse e riverenzia pria

        fece alla dea; e poi cosí rispose

        alle parol della domanda mia.


        – Del van Cupido saette amorose

        giammai sentii; ed egli mi dispiace

   15 e suoi costumi e sue caduche cose.


        Dall'alto regno, che a Vulcan soggiace,

        son io venuta all'ombra a mio diletto,

        ché starsi al fresco alle sue ninfe piace.


        Se vuoi saper come il mio nome è detto,

   20 Taura son chiamata e qui dimoro

        a questo orezzo e nullo amante aspetto.


        E spesso l'altre ninfe del mio coro

        vengono qui e vanno quinci a spasso

        con vestimenti e con corone d'oro.


   25 Ma tu chi se' e dove movi il passo? —

        Ed io risposi: – L'amor m'ha condutto

        per questo loco faticoso e lasso.


        Chi sono e donde vengo a dirti il tutto

        sarebbe lungo: io gusto ora l'amaro,

   30 sperando di fatica dolce frutto.


        Se la dea assente, io prego, fammi chiaro:

        o ninfa bella, volentier domando,

        perché io so poco e domandando imparo.


        Però, mentr'io sto teco dimorando,

   35 dimmi del regno, che Vulcan nutríca

        sotto il suo freno e sotto il suo comando.


        Il tuo dolce parlare anche mi dica

        del loco ov'egli sta, s'egli ti done

        che piú dell'altre ninfe a lui sie amica.


   4 °Cupido giá del regno di Iunone

        assai mi disse con suo parlar breve,

        e della grandin disse la cagione


        e delle nubi e pioggia e della neve

        e delli tuoni, e disse del baleno,

   45 ch'anco a' giganti è timoroso e greve.


        Ma non mi disse ben espresso e appieno

        come si fa la sube e la cometa

        e la stella che corre e poi vien meno. —


        Allor la ninfa con la vista lieta

   50 rispose: – In pria conven che le parole,

        le qua' disse Cupido, io ti ripeta.


        Ciò, che non scalda il foco ovvero il sole,

        conven che da sé venga in gran freddezza,

        come natura e filosòfia vuole.


   55 Però nell'aer sopra a tanta altezza,

        dove non scalda il raggio che 'nsú riede,

        e ove il foco non scalda a piú bassezza,


        sta 'l regno freddo che Iunon possede:

        li duo vapori, acquatico e terrestro,

   60 lí si fan nube, sí come si vede.


        E 'l vapor terreo e secco è da sé presto

        ad accendersi ratto, purché senta

        l'umido intorno, a sé opposto e molesto.


        Sí come la calcina, che diventa

   65 focosa all'acqua e fuor manda il calore,

        che prima parea fredda e quasi spenta;


        cosí levato 'nsú il doppio vapore,

        l'acquatico si stringe e quindi piove,

        perché quivi è compresso dal freddore.


   70 Il terreo allor si aduna e si commove

        dentro alla nube, e quel moto l'accende:

        è la fiamma rinchiusa in stretto, dove


        con grave tuon la densa nube fende,

        e spesse volte la saetta scaccia

   75 col balenar, che subito risplende;


        il balenar vien subito alla faccia;

        ché presto l'occhio può veder la luce,

        se opaco o grande spazio non l'impaccia.


        Ma 'l tuon, che seco il balenar produce,

   80 l'orecchia dalla lunga nol può udire,

        se l'aer seco a lui non lo conduce.


        E ben che 'l foco sia atto a salire,

        niente meno ingiú la nube spande,

        che 'l freddo denso insú non lassa ire.


   85 Or, se saper tu vuoi quel che domande,

        dirò pria della stella, che nel cielo

        permuta loco e par correndo ell'ande.


        Se 'l vapor terreo passa l'aer gielo,

        sottile e secco è ad ardere disposto

   90 piú che la stoppa a lume di candelo.


        Quand'egli vien lassú, dove sta posto

        il regno di Vulcan, l'accende il foco

        nel primo capo, e la fiamma tantosto


        per lui trascorre e non a poco a poco,

   95 ma ratto e presto; e la fiamma corrente

        pare una stella che tramuti loco.


        E fa un fregio sú chiaro e lucente

        per la via che trascorre, ed in un tratto

        poscia vien meno e non appar niente.


  100 E se 'l vapor è di materia fatto

        che sia grossa e viscosa e sulfuresca,

        non atta a consumarsi molto ratto,


        quando ha passata la contrada fresca,

        va su infin che l'aer caldo trova,

  105 e lá s'accende come a fiamma l'ésca.


        E pare un trave acceso che si mova:

        questo è la sube, e spesso ha la figura

        o di colonna o di altra cosa nova.


        E se 'l vapor, che 'l sol lieva in altura,

  110 è grosso e secco e molto denso e spesso

        e di materia a consumarsi dura,


        quando egli giunge sú al foco appresso,

        s'accende quella parte che 'n pria monta,

        e quella fiamma scende giú per esso


  115 in quella parte che non è ancor gionta,

        ma sta giú verso l'aere distesa

        lunga e nelle sue parti ben congionta.


        Allor la parte ch'è nel foco accesa,

        pare una stella, e l'altra la sua chioma,

  120 cioè la parte nell'aer distesa.


        E però questa «cometa» si noma,

        quasi «comata», e chi ben questo mira,

        dato fu a lei il suo proprio idioma.


        Se saper vuoi perché il sol non tira

  125 piú 'nsú 'l detto vapor, poiché è focoso,

        ma secondando il primo moto gira,


        sappi che ogni cosa ha 'l suo riposo

        nel proprio loco, come hai giá udito,

        e, se si parte quindi, va a ritroso.


  130 E però quel vapor, quando è ignito,

        sta dentro fermo presso a quella spera,

la quale è d'ogni lieve il proprio sito.


        E sappi ancor che tanto la lumiera

        dura della cometa e tanto è vista,

  135 quanto dura il vapor e sua matèra;


        ché mai la fiamma può veder la vista

        o la luce del foco per se sola,

        s'ella non è con altro corpo mista. —


        Tacette poscia dopo esta parola;

  140 ond'io a lei risposi: – Ammiro alquanto

        come s'accende il vapor che 'nsú vola.


        Ed anco ammiro come può esser tanto,

        che se ne faccia vento e pioggia ancora

        e l'altre cose dette nel tuo canto. —


  145 Sub brevitá questo rispose allora:

        – Pensa del cibo dentro al corpo umano,

        quando è indigesto e quando egli evapóra:


        il qual, quando è cacciato fuor dell'ano,

        s'infiammeria come trita vernice,

  150 se si scontrasse in acceso vulcano.


        Cosí il vapor, che sú 'l mio canto dice,

        s'infiamma giunto nell'aere acceso

        e d'ogni impressione è la radice. —


        Cupido, quando a questo io stava atteso,

  155 venía per l'aere quasi uccel veloce

        colle saette in mano e l'arco teso.


        – O Taura – chiamò ad alta voce, —

        tu proverai che piú 'l mio foco infiamma

        che quel del tuo Vulcano, e che piú coce.


  160 Ei l'ha provato, e sallo la mia mamma. —

        Cosí dicendo, un colpo tal gli porse

        col dardo acceso di sacrata fiamma,


        che trapassolla e insino a me trascorse;

        e tanto m'infiammò quella saetta,

  165 ch'io grida' aiuto, e l'Amor non soccorse.


        Taura bella, di dolor costretta,

        gridò al ciel: – Vulcano, ora m'aita,

        e del crudele Amor fammi vendetta. —


E, detto questo, cadé tramortita.


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