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LIBRO PRIMO
CAPITOLO I

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Come all'autore apparve Cupido, e questi lo condusse nel regno di Diana, ove a' preghi del medesimo ferí la ninfa Filena.

        La dea, che 'l terzo ciel volvendo move,

        avea concorde seco ogni pianeto

        congiunta al Sole ed al suo padre Iove.


        La sua influenza tutto 'l mondo lieto

    5 esser faceva e d'aspetto benegno,

        da caldo e freddo e da venti quieto.


        E Febo il viso chiaro avea nel segno,

        che fu sortito in cielo ai duo fratelli,

        ond'ebbe Leda d'uovo il ventre pregno,


   10 E tutti i prati e tutti gli arboscelli

        eran fronduti, ed amorosi canti

        con dolci melodie facean gli uccelli.


        E giá il cor de' giovinetti amanti

        destava Amore e 'l raggio della stella,

   15 che 'l sol vagheggia or drieto ed or davanti,


        quando il mio petto di fiamma novella

        acceso fu, onde angoscioso grido

        ad Amor mossi con questa favella:


        – Se tu se' cosa viva, o gran Cupido,

   20 come si dice, e figlio di colei,

        ch'amore accese tra Enea e Dido;


        se tu se' un del numer delli dèi,

        e se tu porti le saette accese,

        esaudisci alquanto i desir miei.


   25 I' priego te che mi facci palese

        la forma tua e 'l tuo benigno aspetto,

        il qual si dice ch'è tanto cortese. —


        Appena questo priego avea io detto,

        quand'egli apparve a me fresco e giocondo

   30 in un giardino, ov'io stava soletto,


        di mirto coronato el capo biondo,

        in forma pueril con sí bel viso,

        che mai piú bel fu visto in questo mondo.


        I' creso arei che su del paradiso

   35 fosse il suo aspetto: tanto era sovrano;

        se non che, quando a lui mirai fiso,


        vidi ch'avea un arco ornato in mano,

        col quale Achille ed Ercole percosse,

        e mai, quando saetta, getta invano.


   40 Sopra le vestimenta ornate e rosse

        di penne tanto adorne avea duo ali,

        che cosí belle mai uccel non mosse.


        Nella faretra al fianco avea gli strali

        d'oro e di piombo e di doppia potenza,

   45 colli qua' fere a dèi ed a mortali.


        Quando ch'i'l vidi avanti a mia presenza,

        m'inginocchiai e, come a mio signore,

        li feci onore e fe'li riverenza,


        dicendo a lui: – O gentilesco Amore,

   50 se a venire al priego mio se' mosso,

        colla tua forza e col tuo gran valore


        aiuta me, il quale hai sí percosso

        e sí infiammato col tuo sacro foco,

        ch'io, lasso me! piú sofferir non posso. —


   55 Allor rispose, sorridendo un poco:

        – Dall'alto seggio mio i' son venuto

        mosso a piatá del tuo piatoso invoco.


        Degno è ch'io ti soccorra e diati aiuto,

        da che ferventemente tu mi chiame,

   60 e ch'io sovvenga al cor, ch'i' ho feruto.


        Sappi che in oriente è un reame

        tra lochi inculti e tra ombrosi boschi,

        ch'è pien di ninfe d'amorose dame.


        E quelle selve e quelli lochi foschi

   65 son governati dalla dea Diana,

        la qual voglio che veggi e la conoschi.


        E benché sia la via molto lontana

        e sia scogliosa e sia di molta asprezza,

        io la farò parer soave e piana.


   70 Io son l'Amor, che dono ogni fortezza

        ne' gravi affanni e, mentre altrui affatico,

        gli fo la pena portar con dolcezza.


        In questo regno, del quale io ti dico,

        è una ninfa chiamata Filena

   75 con bell'aspetto e con volto pudico.


        La selva è ben di mille ninfe piena;

        ma dea Diana, quando va alla caccia,

        piú presso questa che null'altra mena.


        Costei sí bella e con pudica faccia

   80 io ferirò per te d'un dardo d'oro,

        quantunque io creda che a Diana spiaccia.


        Tu vedra' delle ninfe il sacro coro

        insieme con Diana lor maestra,

        e belle sí, ch'i', Amor, me n'innamoro.


   85 E portan l'arco fier nella sinestra,

        ed al comando della lor signora

        cacciando van per la contrada alpestra.


        – O dio Cupido, tanto m'innamora,

        – risposi a lui – il ben che m'hai promesso,

   90 che al venire mi pare un anno ogn'ora. —


        Allor si mosse, ed io andai con esso;

        alfin venimmo per la lunga via

        in un boschetto, ch'avea un piano appresso.


        La dea Diana a caso fatta avía

   95 una gran caccia e dalla parte opposta

        con piú di mille ninfe in giú venía.


        E discendeano al pian su d'una costa

        inverso una fontana d'acqua pura,

        qual era in mezzo della valle posta,


  100 non fatta ad arte, ma sol per natura;

        ed era d'acqua chiara e sí abbondante,

        che un fiumicel facea 'n quella pianura.


        E poi ch'al fonte funno tutte quante,

        corseno a rinfrescarsi alle chiare onde,

  105 ponendo in elle le mani e le piante.


        Ed alcun'altre stavan su le sponde

        del fiumicello; e delli fiori còlti

        facean grillande alle sue trecce bionde.


        Ed alcun'altre specchiavan lor volti

  110 nelle chiare acque, ed altre su pel prato

        givan danzando per que' lochi incolti.


        Cupido, ed io con lui, stava in aguato

        dentro al boschetto, e ben vedevam quelle,

        ed elle noi non vedean d'alcun lato.


  115 Poscia ben cento di quelle donzelle

        sciolson le trecce della lor regina,

        le trecce bionde mai viste sí belle.


        Sí come tra' vapor, su la mattina,

        ne mostra i suoi capelli il chiaro Apollo,

  120 e nella sera quando al mar dechina;


        cosí Diana avea capelli al collo,

        cosí splendea ed era bella tanto,

        che a vagheggiarla mai l'occhio è satollo.


        E poi ch'ell'ebbon fatta festa alquanto,

  125 tennon silenzio tutte, se non due,

        che alla sua loda comincionno un canto.


        Delle due cantatrici l'una fue

        Filena bella, che m'avea promessa

        il dolce Amor con le parole sue.


  130 E quando egli mi disse: – Quella è essa, —

        pensa s'io m'infiammai, che la speranza

        tanto piú accende quanto piú s'appressa.


        Ond'io all'Amor: – Se quella a me per 'manza

        hai conceduta, percuoti col dardo

  135 costei, che in beltá ogn'altra avanza.


        Ahi quanto piace a me quando la sguardo!

        E cosa desiata, se si aspetta,

        tanto piú affligge quanto piú vien tardo. —


        Allor Cupido scelse una saetta

  140 ed infocolla e posela nell'arco

        per saettare a quella giovinetta.


        E come cacciator si pone al varco

        tacito e lieto, aspettando la fera,

        e sta in aguato col balestro carco;


  145 tal fe' Cupido e la saetta fiera

        poscia scoccò, e, inver' Filena mossa,

        il manto sol toccò lenta e leggera.


        Quando le ninfe sentir la percossa

        e nostra insidia a lor fu manifesta,

  150 tutte fuggir con tutta la lor possa.


        Sí come i cervi fan nella foresta,

        quando sono assaliti, o' capriuoli,

        se cani o altra fera li molesta,


        che vanno a schiera, e alcun dispersi e soli,

  155 e per paura corron tanto forte,

        che pare a chi li vede ch'ognun voli;


        cosí le ninfe timidette e smorte

        fuggiro insieme, ed alcuna smarrita,

        quando si furon di Cupido accorte.


  160 Filena bella non sería fuggita,

        se non che la sua dea la man gli porse:

        tanto pel colpo ell'era sbegottita.


        L'Amore, ed io con lui, al fonte corse,

        dove le sacre ninfe eran sedute,

  165 quando la polsa insino a lor trascorse.


        Io non trovai se non ch'eran cadute

        alle due cantatrici le grillande

        de' belli fior, che in testa avieno avute.


        Però a Cupido dissi: – Ov'è la grande

  170 virtú dell'arco tuo, che tanto puote?

        E 'l fuoco ov'è, che tanto incendio spande?


        Se l'arco tuo giammai invan percuote,

        perché ingannato m'hai colle promesse,

        che m'han condutto in le selve remote? —


  175 Non potei far che questo io non dicesse

        col volto irato, e piú mi mosse ad ira

        che del mio scorno parve ch'ei ridesse.


        Poscia rispose: – Ov'io posi la mira,

        quivi percossi, e quivi il colpo giunse

  180 dell'arco mio, che mai invan si tira. —


E quel che segue, col parlar, soggiunse.


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