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LIBRO PRIMO
CAPITOLO XV

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Come l'autore trova una ninfa di Cerere, chiamata Panfia, la quale gli conta il reame di Eolo, dio delli venti.

        L'amor con la speranza è sí soave,

        che fa parer altrui dolce e leggera

        la cosa faticosa e da sé grave;


        ché sempre mai, quando l'animo spera

    5 aver il premio della sua fatica,

        piglia l'impresa con la lieta ciera.


        Questa tra spine e tra pungente ortica

        menava lieto me per duro calle:

        tanto quella promessa a me fu amica;


   10 quando vidi una ninfa in una valle,

        che cogliea fiori, e suoi biondi capelli

        di color d'oro avea sparsi alle spalle.


        – A quella che lí coglie i fiori belli

        – diss'io a Venus – volentieri irei,

   15 se piace a te che alquanto gli favelli. —


        La dea consentí ai desii miei;

        ond'io andai, e, quando gli fui appresso,

        queste parole dirizzai a lei:


        – O ninfa bella, mentre a me è concesso

   20 ch'io parli teco, prego, a me rispondi:

        chi se' e questo loco a chi è commesso? —


        Allor, rispersa de' capelli biondi,

        inver' di me alzò la lieta testa,

        e poi rispose con gli occhi giocondi:


   25 25 – Eolo regna qui 'n questa foresta,

        che regge i venti ed halli tutti quanti

        sotto il suo freno e sotto sua potèsta;


        ché, quando contra il ciel funno i giganti,

        seguîro il padre, e le colpe paterne

   30 spesso tornano a' figli in duri pianti.


        Però gl'inchiuse Dio tra le caverne,

        ed Eolo diede a lor, che gli apre e serra

        e che sotto suo impero li governe.


        Se ciò non fosse, l'aere e la terra

   35 subbissarieno ed in ogni contrada

        farian grande ruina e grande guerra.


        Panfia ho nome, e la dea della biada

        alla figlia Proserpina mi manda;

        e spesse volte vuol che a lei io vada.


   40 E coglio questi fior, ch'una grillanda

        gli vo' portar, ché delli fior che colse

        gli sovvien anco, e però me 'n domanda,


        quando Cupido con sue fiere polse

        ferí 'l disamorato infernal Pluto,

   45 allor ch'a Ceres la figliola tolse.


        Ma tu chi se' e come se' venuto

        cosí soletto in questa valle alpestra?

        Vai vagabondo o hai 'l cammin perduto? —


        Ed io a lei: – Venus è mia maestra;

   50 seco mi guida al loco, ov'ella regna,

        e per darmi conforto ella mi addestra.


        Ed ha concesso a me ch'io a te vegna;

        o ninfa bella, prego mi contenti;

        e quel che ti domando, ora m'insegna.


   55 Dimmi ove stanno e donde son li venti,

        ché, quando scendi all'infernal regina,

        io credo che li veghi e che li senti. —


        Ed ella a me: – Perché ratta e festina

        Ceres mi manda, per fretta non posso

   60 appien de' venti darti la dottrina.


        Ma sappi che la terra dentro al dosso

        ha gran caverne, meati e gran grotte,

        ove li venti stanno in vapor grosso.


        Tra quei meati e quelle rupi rotte

   65 diventa quel vapor sottile e raro,

        quando di sopra al dí cresce la notte;


        ché, quando un loco a sé prende un contraro,

        l'altro contraro prende un loco opposto,

        e quanto posson tengon loco varo.


   70 E però, quando è ito il fin d'agosto,

        e che 'l dí manca e fassi qui il verno,

        allor che il sole in bassi segni è posto,


        nelle caverne, ch'Eolo ha 'n governo,

        s'inchiude il caldo. E di ciò dán certezza

   75 l'acque che stanno nell'alvo materno,


        che hanno il verno alquanto di caldezza,

        come si vede e come appare al senso;

        la state hanno sotterra piú freddezza.


        Sí che 'l vapor, in prima grosso e denso,

   80 convien che s'assuttigli e sparso cresca

        il verno, riscaldato ovvero accenso.


        Però dall'arto loco cerca ond'esca:

        cosí per le fissure e pori esala,

        e 'l sole il tira insino all'aura fresca.


   85 Lí ripercosso, poscia all'ingiú cala

        e fassi vento, e, dove luna il tira

        ovver Saturno, quivi move l'ala.


        Il vapor che rimane e che si aggira

        nel ventre della terra, perché appieno

   90 non può uscir del loco, ond'egli spira,


        ritorna addietro in fondo giú nel seno

        dell'alma terra; e però innanzi alquanto

        che sia il tremoto, ogni vento vien meno.


        E poi ritorna e con impeto tanto,

   95 venendo insieme, la terra percote,

        che la fa almen tremare in alcun canto.


        Questo è 'l tremoto, e voglio ch'ancor note

        che 'l vapor caldo inchiuso ha tal valore,

        che nulla cosa ritener il puote.


  100 Se fusse un monte qual tu vuoi maggiore,

        tutto d'acciaio dentro alla montagna,

        per mille parti ne uscirebbe fore.


        Cosí il vapor inchiuso in la castagna

        o in altra cosa, quando è riscaldato,

  105 convien che n'esca e quel che 'l tiene infragna.


        Io ho veduto giá ch'egli ha levato

        del loco un monte e fatta un'apertura

        sopra la terra con sí grande iato,


        che 'l re d'inferno avuta ha gran paura

  110 che non discenda insin laggiú il raggio

        e non illustri la sua patria oscura.


        E dico a te che anco veduto aggio

        Eolo re temere alcuna volta,

        quand'apre i monti e dá a' venti il viaggio.


  115 Egli escono con furia ed ira molta,

        quasi lioni o Cerbero feroce,

        quando si vide la catena sciolta.


        E discorrendo van per ogni foce;

        e, se si scontran due venti inimici,

  120 il turbo fanno, il qual cotanto nòce.


        Quest'è che gitta a terra li edifici

        con gran ruina e percuote li tetti,

        e svelle gli arbor dalle lor radici. —


        E giá poneva fine alli suoi detti,

  125 se non ch'io dissi: – Deh! di' se la luce

        del sol fa nell'inferno alcuni effetti. —


        Allor rispose: – Il sol, ch'è primo duce

        di ciò che nasce, pietre preziose,

        oro ed argento di laggiú produce.


  130 Ver è che Pluto tutte queste cose

        dona alla sposa sua, la quale è figlia

        di quella che l'andata a me impose.


        Io dirò a te una gran maraviglia:

        che d'oro mi mostrò un sí gran monte,

  135 che'ntorno gira piú di diece miglia. —


        E disse: – Io prego, quando lassú monte,

        che tu nol dichi agli uomini del mondo

        e d'esta mia ricchezza non racconte;


        ché son sí avari, che 'nsin quaggiú al fondo

  140 ei cavarieno a rubbar il tesoro,

        il qual m'è dato in sorte e qui nascondo;


        e son sí ghiotti e cupidi dell'oro,

        che giá han cavato ingiú trecento braccia:

        che non vengan quaggiú temo di loro. —


  145 E, detto questo, con la lieta faccia,

        ridendo, inchinò alquanto e disse: – Addio; —

        e poi n'andò come chi fretta avaccia.


        Alla mia scorta allora torna' io;

        e seguitaila insin all'oceáno

  150 per un viaggio molto aspero e rio.


        Nettuno a noi col suo tridente in mano

        venne risperso di marine schiume,

        sí che sua barba e 'l capo parea cano.


        Con lui vennon le ninfe d'ogni fiume,

  155 delle quali al presente non ne narro,

        ché 'n altra parte il contará il volume.


        Nettuno poi ne pose sul suo carro

        e solcòe 'l mar; e li mostri marini

        facean, mirando noi, al plaustro sbarro.


  160 Triton sonava, e li lieti delfini

        givan saltando sopra l'onde chiare,

        che soglion di fortuna esser divini.


        Poiché mostrato m'ebbe tutto il mare

        e che dell'acque la cagion mi disse,

  165 perché sotto son dolci e sopra amare,


        in terra ne posò e lí s'affisse,

        e fe' ballar per festa le sue dame:

        e poi dicendo: – Addio, – da noi partisse.


Allor Venus andò al suo reame.


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