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LIBRO PRIMO
CAPITOLO VIII

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Come Cupido, irato con la ninfa Lippea, la ferí d'una saetta d'oro.

        Io era solo e scornato rimaso,

        quando scontrai in quella via smarrita

        Cupido, come andasse quindi a caso.


        E disse a me: – Lippea ov'è fuggita,

    5 che m'ha sfidato e mette me a dispetto?

        Ma converrá che da me sia punita,


        ch'io gli trapasserò il core e il petto

        con un acceso dardo delli miei;

        e farla a te soggetta io ti prometto.


   10 Io, che ho domato Iove ed altri dèi

        con la potenza della mia saetta,

        non vincerò, non domerò costei? —


        Quando egli disse voler far vendetta,

        pensa, lettore, s'io mi feci lieto,

   15 da che affermava a me farla soggetta.


        Egli si mosse, ed io gli andai dirieto;

        e sempre per la costa andò all'ingiúe

        tra 'l duro bosco e l'aspero spineto.


        Quando presso alla valle giunto fue,

   20 vidi io Lippea che guidava il ballo

        'nanti alle dèe con le compagne sue.


        L'arco suo dur, che mai ferisce in fallo,

        prese Cupido, e d'uno stral gli diede

        a venti braccia forse d'intervallo


   25 sol nelli panni e giú appresso il piede;

        ché se a lor desse in petto o molto forte,

        sí come a' viri ed agli dèi e' fiede,


        perché ad amar le ninfe non son scorte,

        pel grande incendio del sacrato foco

   30 verrebbon meno e caderebbon morte.


        Il caldo cominciò a poco a poco

        passargli al cor con l'infocato dardo;

        e giá ferita non trovava loco.


        Lippea allora a me alzò lo sguardo

   35 e con gli occhi mirommi, con li quali

        tanto m'accese il cor, ch'ancora io ardo.


        L'Amor, movendo poi le splendide ali,

        per man menommi insino alla fontana,

        menacciando anco con suoi duri strali.


   40 Di me s'avvide allora dea Diana

        e disse irata e con acerbo volto:

        – Or che fa qui quella persona strana? —


        Lo dio Cupido meco s'era folto,

        ma non veduto; ch'egli alla sua posta

   45 si può manifestare e farsi occolto.


        Egli mi disse: – Fa', fa' la risposta. —

        Onde io andai, e riverente e chino

        mi posi al carro suo appresso e a costa.


        E dissi a lei: – Mio caso e mio destino,

   50 o dea, m'ha qui condotto nel tuo regno

        per uno errante ed aspero cammino.


        Forse Dio il fe' che alla tua festa vegno:

        per lui ti prego, o alma dea selvaggia,

        che non mi scacci e che non m'abbi a sdegno.


   55 E prego te che una grazia io aggia:

        che come starvi Ippolito a te piacque,

        cosí possa io tra questa turba gaggia. —


        E come chi consente, ella si tacque:

        cosí sospeso e dubbioso rimasi

   60 e tornai a Cupido presso all'acque.


        Il carro della dea ben venti pasi

        dal fonte, a mio parere, era distante,

        e 'l sol calato all'orizzonte o quasi,


        quando con vergognoso e bel sembiante

   65 venne Lippea inverso il fiumicello,

        ond'io andai dicendo a lei davante:


        – O ninfa mia gentil col viso bello,

        deh! non t'incresca e non aver temenza

        se io, che tanto t'amo, ti favello.


   70 Perché pur fuggi e pur fai resistenza

        a quell'Amor, ch'anco li dèi percote

        con le saette della sua potenza? —


        Sí come onesta donna, che non puote

        soffrir lascivo sguardo, sottomette

   75 e abbassa gli occhi e fa rosse le gote:


        cosí fece ella alle parole dette,

        che abbassò il viso e diventò vermiglia

        e lagrimò e le parol tacette.


        – Mostra i zaffiri, c'hai sotto le ciglia

   80 – dissi, – o Lippea, ed alza sú la vista,

        che alle dèe del ciel si rassomiglia. —


        Sfogando il pianto: – Oimè, misera, trista!

        Oimè! – diss'ella. – Io ho tanto tormento:

        Amor non vuol che a lui io piú resista.


   85 Se mai il dispettai, io me ne pento;

        se mai il gran Cupido io ebbi a vile,

        dico «mia colpa» e dico «me ne mento».


        Con la potenza dell'orato astile

        di mie parole folli ora mi paga

   90 e col foco, che al cor va sí sottile.


        Ma io il prego o che il dardo ritraga,

        che m'ha ferito il cor, o che mi uccida,

        sí che la morte risani la piaga. —


        Ed io a lei: – Cupido fu mia guida

   95 insino a te, ed egli mi promise

        donarti a me con sua parola fida. —


        Udito questo, il viso sottomise;

        poi disse sospirando e con vergogna:

        – Perché, quando ferí, e' non mi uccise?


  100 – Da che egli vuole, e questo esser bisogna

        – diss'io a lei, – io prego che mi dichi

        se tu se' mia, e non mi dir menzogna. —


        Come la sposa, cui pudor fatichi,

        cosí un «sí» de' labbri gli uscí fuore

  105 pur con vergogna e con atti pudichi.


        Il viso bianco di smorto colore

        prima dipinse e poscia si fe' rosso

        de' due color, che fuor dimostra Amore.


        Poi disse: – Oimè, oimè che piú non posso

  110 celar l'amor! – E questo ella dicendo,

        cadea, se non che io gli tenni il dosso.


        Soggiunse poi: – Amor, a te mi rendo:

        non trova l'arco tuo difesa o scudo;

        però invan contra te mi difendo. —


  115 Poi disse a me: – O amoroso drudo,

        io prego te, da che Amor mi ti dona,

        che contra me non sie cotanto crudo,


        che tu mi lievi la bella corona,

        che io porto in testa e la qual io mi vinsi,

  120 e che mai non mi lasci per persona. —


        Io gliel promisi e per fede gli strinsi

        la bianca mano e con le braccia stese

        il capo bianco e 'l collo ancor gli avvinsi.


        Contro l'amor non fe' poi piú difese

  125 la bella ninfa e mostrossi sicura,

        pur con vergogna ed onestá cortese.


        Cercando andammo per quella pianura,

        e poi salimmo ad alto suso al monte,

        in tanto che la notte si fe' oscura.


  130 Era giá Febo sotto l'orizzonte

        ben venti gradi, ed ella mi condusse

        in un bel prato, ov'era un bello fonte.


        Ed in quel loco tanto vi rilusse

        la chiara luna, che per quella valle

  135 ogni fiore io vedea qual e' si fusse.


        Di fiori e di viol vermiglie e gialle

        la bella ninfa tutto mi coprío;

        e poi sul prato mi posai le spalle.


        E quando all'oriente in pria apparío

  140 il chiaro sol, trovai che n'era andata,

        e posto un sasso scritto al capo mio,


        nel qual dicea: «Sappi ch'io son tornata

        a dea Iunone, alla regina mia;

        che colle mie compagne io sia trovata.


  145 Tu sai che dea Iunone, andando via,

        di lassarmi a Diana ell'ha promesso

        che con lei io rimanga in compagnia.


        In questo tempo che star m'è concesso,

        staremo ed anderem come a noi piace,

  150 cercando e boschi e balzi e scogli spesso.


        Fatti con Dio e tieni occulto e tace;

        e prego che a vedermi torni tosto,

        ché solo in veder te 'l mio core ha pace».


        Oh lasso! a Invidia nulla è mai nascosto,

  155 c'ha mille orecchie la malvagia e rea,

        e l'occhio suo in mille lochi è posto.


        Questa n'andò all'una e all'altra dea,

        dicendo: – Or non sapete ch'una dama

        qui delle vostre, chiamata Lippea,


160 il giovinetto qui venuto ell'ama

        col core e coll'amor tanto fervente,

        che sol per lui di rimaner ha brama? —


        E, detto questo, sparí prestamente.


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