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LIBRO PRIMO
CAPITOLO V

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Dell'avvenimento di Giunone invitata alla festa di Diana.

        – O regina del cielo, o alta Iuno,

        moglie e sorella del superno Iove,

        che l'aer rassereni e failo bruno,


        Diana prega te che venghi dove

    5 ella fa festa e con le belle dame

        del nobil regno tuo qui ti ritrove.


        Il nostro dir, benché da lungi chiame,

        noi sappiam ben che l'odi dall'altezza

        del monte Olimpo, dov'è il tuo reame. —


   10 Queste parole con tanta dolcezza

        cantôn due ninfe, Pallia e Lisbena,

        ch'anco, quando il ricordo, io n'ho vaghezza.


        Né mai cantò sí ben la Filomena,

        né per addormentare in mar Ulisse

   15 cantò sí dolcemente la Sirena.


        Iuno, per dimostrar ch'ella l'udisse,

        mandò un lustro e sin a lor discese

        come balen che subito venisse.


        Le ninfe di Diana inver'il paese,

   20 onde venne quel lustro, stavan vòlte,

        con gli occhi rimirando e stando intese.


        Ed ecco come il raggio spesse volte

        pare una via, che 'nsino a terra cada

        fuor delle nubi, ove non son sí folte,


   25 cosí da alto ingiú si fe' una strada

        dal loco, onde Iunon dovea venire,

        lucida e stesa insin quella contrada.


        Poi, come il chiaro Febo suol uscire

        fuori dell'orizzonte la mattina,

   30 cosí vidi io per la strada apparire


        un nobil carro, e suso una regina

        con corona di stelle e sí splendente,

        come tra li mortal cosa divina.


        E quanto piú e piú venía presente

   35 agli occhi miei, tanto parea piú adorno,

        maraviglioso il carro e piú eccellente.


        E mille ninfe avea intorno intorno

        con corone di stelle in su la testa,

        lucenti al sole ancor nel mezzogiorno.


   40 E d'oro e celestina avean la vesta,

        e cantando dicíen: – Viva Iunone! —

        con suoni, balli, gioia e con gran festa.


        Il carro ad ogni rota avea un grifone,

        pappagalli e pavon con belle penne

   45 intorno e sopra; e tre 'n ogni cantone.


        Poscia che 'l plaustro giú nel pian pervenne,

        Diana il carro suo fe' venir anco,

        che gran bellezza ancora in sé contenne,


        di drappi adorno e d'ogni uccello bianco:

   50 mai vide Roma carro trionfante,

        quant'era questo bel, né vedrá unquanco.


        Con piú di mille ninfe a lei davante

        ella si mosse incontra a fare onore

        alla regina, moglie al gran Tonante.


   55 E poiché fu ballato ben due ore,

        le ninfe di Iunon l'altre invitâro

        a voler concertar con lor valore,


        dicendo: – Acciò che ben si mostri chiaro

        chi usa meglio l'arco o voi o noi,

   60 se a voi piace, a noi anco sia caro.


        Di vostre ninfe due eleggete voi;

        e noi due altre; e chi trarrá piú dritto,

        da dea Iunon sia coronata poi. —


        Alle dèe piacque cosí fatto ditto;

   65 e dea Diana una corona pose

        nell'aer alta a lor per segno fitto,


        fatta di fiori e pietre preziose.

        Per parte di Iunon, celeste dea,

        vennono due ardite e valorose.


   70 Una fu Ursenna e l'altra fu Lippea,

        a me promessa, bella giovinetta;

        ma che foss'ella, io ancora nol sapea.


        A lei diede Iunone una saetta

        e l'arco eburneo bello ed inorato:

   75 tanto era grata a lei e tanto accetta.


        A campo incontra uscîr dall'altro lato

        Lisbena e Pallia; e queste due son quelle,

        che, 'nvitando Iunone, avean cantato.


        E patto fên tra lor quelle donzelle

   80 di trar tre volte; e chi piú ritto manda,

        dé' coronarsi le sue trecce belle.


        Pallia trasse prima alla grillanda,

        coll'arco dirizzando a lei lo strale;

        ma ello dechinò a destra banda.


   85 Poi trasse Ursenna; e ferío altrettale,

        sí che fu giudicato d'este due

        che fosse il colpo loro ognuno eguale.


        Lisbena a saettar la terza fue

        e die' sí ritto, che quasi toccata

   90 fu la grillanda nelle frondi sue.


        Lippea trasse la quarta fiata

        e ritto tanto, che toccò una fronde,

        che cadde in terra dal colpo levata.


        Le sue compagne si fenno gioconde,

   95 perché credetton che dentro passasse;

        ma spesso il fatto al creder non risponde.


        Pallia poi un'altra volta trasse,

        prima pregando la sua dea Diana

        che 'l dardo alla corona dirizzasse.


  100 Ma la saetta tratta andò lontana

        dalla grillanda forse quattro dita,

        sí che la prece e la spene fu vana.


        Lippea bella giá s'era ammannita,

        e, dopo lei, col suo duro arco scocca

  105 una saetta leggiadra e polita.


        Da lei fu un poco la grillanda tócca,

        non dalla punta, ma sol dalla penna,

        c'ha la saetta appresso della cocca.


        E, dopo questa poscia, trasse Ursenna,

  110 Lisbena poi; e giá secondo il patto

        due volte ognuna avea tratto a vicenna.


        Ognuna ancora avea a fare un tratto;

        e Pallia pria, per aver la corona,

        vòlta a Diana con riverente atto


  115 disse: – Se mai, o dea, la mia persona

        servito ha te con arco e con faretra,

        a questo colpo la grillanda dona. —


        Poscia a misura, come un geomètra,

        nella corona sí forte percosse,

  120 che ne fe' d'ella sbalzare una pietra.


        Nel centro avrebbe dato, se non fosse

        che Iuno in quella fe' venire un vento,

        che 'l dardo alquanto dal segno rimosse.


        Ursenna, lieta d'esto impedimento,

  125 prese la mira per voler poi trare,

        col core e con lo sguardo ben attento.


        Non die' nel mezzo, ov'ella credea dare;

        ma la toccò e commossela alquanto,

        ma non però che la fêsse voltare.


  130 Ora in due era omai rimaso il vanto

        della battaglia e della gran contesa;

        e queste eran pregate da ogni canto.


        – Fa', o Lisbena, che vinchi l'impresa

        e getta sí, che non abbiam vergogna,

  135 con l'arco al segno e con la mente intesa.


        – Soccorri, o dea Diana, or che bisogna

        – disse Lisbena, – e se lo mio quadrello

        tu fai che dentro alla grillanda io pogna,


        offerta farò a te d'un bianco agnello,

  140 di bianchi gigli e bianchi fior coperto,

        e d'un bel cervio a Febo tuo fratello.


        Egli è signor e dio e mastro esperto

        di trar con l'arco: egli ferí Fetonte,

        il quale un gran paese avea deserto. —


  145 Lippea ancora al ciel con le man gionte

        a dio Cupido insú alzava il volto,

        che stava meco ascosto a piè del monte.


        – Derizza il dardo mio, ti priego molto,

        o dio d'amor, sí come tu percoti

  150 col dardo che nel cor a tanti è còlto. —


        Poich'ebbon fatti molti e grandi voti

        e che pregato avean con gran desire,

        mostrando gli atti e' sembianti devoti,


        trasse Lisbena, a cui toccò il ferire;

  155 e 'l dardo dentro alla grillanda colse

        in un de' lati e torta la fe' gire.


        In quel che la corona si rivolse,

        gittò Lippea nella circonferenza;

        e 'l dardo trapassolla e lí si folse.


  160 Ora tra lor comincia grande intenza,

        ché l'una e l'altra la grillanda vuole,

        credendo ognuna aver giusta sentenza;


e diceano a Diana este parole.


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