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LIBRO OTTAVO
CAPITOLO III
I Greci riacquistano maggior vigore nella Puglia e nella Calabria; ed innalzamento del Ducato di Bari, sede ora de' Catapani

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I Greci, che sotto gl'Imperadori Basilio e Costantino aveano contro Ottone II riportata così insigne vittoria, si ristabilirono più fermamente nella Puglia e nella Calabria; e reggendo queste province con molto vigore, distesero i confini di quelle sopra i Principati di Benevento e di Salerno, pretendendo ancora sopra i Principi longobardi esercitar sovranità. Ma avvertiti per le cose precedute dell'infedeltà de' loro sudditi, per tenergli a freno, pensarono a ben presidiarle. Temevano ancora, che i Germani sotto Ottone non tornassero ad assalirle; e che i Saraceni, ancorchè confinati in alcune rocche, non le turbassero colle solite loro scorrerie, giacchè fortificati nel Monte Gargano non tralasciavano, quando lor veniva fatto, di scorrere e scompigliar la Puglia. Edificarono perciò a questi tempi molti ben forti castelli. Fondarono nella Puglia piana una città, che chiamarono, per rinovare il glorioso nome d'Ilio, Troja: città che ancor dura, poichè anche i Normanni, dopo Melfi, la distinsero sopra tutte le altre città di quella provincia, che Capitanata ora si appella. Fondarono anche quivi Draconaria, Civitade, e Firenzuola, città ora distrutte, ed altre terre[63]. Per mantenere più in freno i loro sudditi, istituirono in Puglia un nuovo Magistrato chiamato in loro lingua Catapano, il quale avesse pieno potere, non ristretto da alcun limite, ma per se medesimo, senza chiederne permesso dalla Corte di Costantinopoli, potesse governare queste province con assoluto imperio. Bari, ove prima solevan risedere gli Straticò, fu assignata per sua sede, onde questa città si vide estollere il suo capo sopra tutte l'altre città della Puglia.

Donde questo nome di Catapano derivasse, il nostro Guglielmo Pugliese[64] ne fa derivar l'origine da questo stesso sterminato potere, che fu dato a questo Ufficiale, e dice, che si chiamasse Catapano,

Quod CATAPAN Graeci, nos JUXTA dicimus OMNE.

Quisquis apud Danaos vice fungitur hujus honoris,

Dispositor populi parat omne quod expedit illi,

Et JUXTA quod cuique dari decet, OMNE ministrat.


Ma Carlo Du-Fresne nelle note all'Alessiade della Principessa Anna Comnena deride questa etimologia di Guglielmo, e vuole che Catapanus appresso i Greci, sia l'istesso che presso i Latini Capitaneus. Quindi deride ancora Lione Ostiense, il quale nella sua Cronaca[65], oltre di riputar questo nome proprio di uomo, quando si vede essere di dignità, stimò che la provincia di Capitanata, che da questi Ufficiali prese il nome corrottamente, dal volgo venga chiamata così, dovendosi appellare Catapanata; sostenendo Du-Fresne, che essendo l'istesso presso i Greci Catapanus, che fra i Latini Capitaneus, non già Catapanata, ma Capitanata giustamente si appelli; chiamando ancora Niceta[66] Capitanata quella Prefettura, la quale composta di più città o terre, ad un Capitano è sottoposta.

Avendo i Catapani collocata la loro sede in Bari, Lupo Protospata, che secondo dimostra il Pellegrino[67], non può dubitarsi, che fosse, se non di Bari, almeno Pugliese di nazione, tessè di loro lungo catalogo; ed il primo, che intorno a questi tempi nell'anno 999 presso il medesimo leggiamo aver governata questa provincia, fu Tracomoto, ovvero Gregorio, il quale assediò Gravina, e prese Teofilatto. Nell'anno 1006 fu mandato per Catapano in Puglia Xifea, che nel 1007 morì in Bari, a cui succedè nell'anno seguente 1008 Curcua. Sotto il magistrato di costui i Baresi ribellatisi, elessero per lor Principe Melo di sangue longobardo, che dimorava in Bari, quegli, che sarà celebre nell'istoria de' Normanni; ma repressi dai Greci, Melo fuggissene con Datto suo cognato ed andarono raminghi. Prima se ne andò in Ascoli, ma dubitando di tradimento, si trasferì in Benevento, di là in Salerno e poi a Capua, sollecitando que' Principi longobardi perchè l'aiutassero a liberar Bari dalla tirannia de' Greci. Morto Curcua nell'anno 1010, gli succedette Basilio Catapano, nel tempo di cui dice Freccia[68], che Bari facta est sedes magnorum virorum Graecorum. Indi nel 1017 venne per Catapano Adronico che pugnò con Melo, e lo vinse[69].

Nell'anno seguente 1018 gli succedè Basilio Bugiano, che da Guglielmo Pugliese[70] vien chiamato Bagiano e da Lione Ostiense[71] Bojano. Questi fu che per lasciar di se memoria in Italia, tolta dal rimanente della Puglia una parte verso il Principato di Benevento, e fattane una nuova provincia col nome di Capitanata, vi fabbricò, come fu detto, alcune terre e città, come Troja, Draconaria, Fiorentino ed altre. Nel 1028 Cristoforo fu fatto Catapano; indi Pato, che governò sino al 1031, e nell'anno seguente fu Catapano Anatolico. Nel 1033 venne per Catapano Costantino Protospata, che si chiamò Opo. Indi Maniaco, a cui succedè nell'anno 1038 Niceforo, che nell'anno 1040 morì in Ascoli. A costui succedè Michele, che fu anche detto Duchiano, e dopo costui finalmente fu nel 1042 Catapano Exaugusto figliuolo di Bugiano, sotto il cui governo, essendo stato costui vinto dai Normanni, furono scacciati da queste province i Greci, e fu egli preso in battaglia in Benevento. Ed ancorchè queste province passassero da poi sotto la dominazione de' Normanni, come che non tutte in un tratto vi passarono, perciò anche dopo Exaugusto, si leggono presso Lupo e l'Anonimo di Bari, altri Catapani, de' quali, secondo l'opportunità, faremo memoria.

Il potere de' Greci adunque dopo questa rotta, che ebbe Ottone II, insino che cominciasse in queste province la dominazione de' Normanni, erasi reso molto più considerabile di quello, che fu negli anni precedenti, così per ciò che riguarda l'ampiezza de' confini che distesero, come per l'assoluto Imperio, che riacquistarono non meno gl'Imperadori d'Oriente sopra il governo politico e temporale, che i Patriarchi di Costantinopoli per lo governo ecclesiastico e spirituale sopra i Metropolitani e' Vescovi della Puglia e della Calabria.

La Puglia, che ne' tempi d'Arechi e degli altri Principi di Benevento suoi successori era al Principato beneventano attribuita, ora distratta ed in poter dei Greci ricaduta, diminuì notabilmente quel Principato. I Greci per questa parte si distendevano insino a Troja ed Ascoli, e toltone Siponto ed il M. Gargano, che a quel Principato erano ancor uniti verso Oriente, tutta quella estensione insino all'ultima punta d'Italia era de' Greci. S'aggiungeva ancor la Calabria secondo la moderna appellazione, che abbracciava non solo il Bruzio, Reggio, Cotrone e l'altre città vicine, ma anche abbracciava gran parte dell'antica Lucania, e per questa parte dal Principato di Salerno era terminata, il quale perciò aveva ristretti i suoi confini; nè in questi tempi abbracciava quell'estensione di paese, che a' tempi di Siconolfo a questo Principe ubbidiva. Quest'istessa ampiezza restrinse ancora per un altro lato i confini del Principato di Capua, tanto che non mai in altri tempi si videro dilatati tanto i confini del dominio de' Greci, che in questi, ne' quali tirandosi una linea dal Monte Gargano insino al promontorio di Minerva, ch'è la maggior latitudine del regno; tutto ciò che riguarda l'Oriente e Mezzogiorno, era al dominio de' Greci sottoposto: siccome l'altra parte, che riguarda Occidente e Settentrione, ai Principi longobardi: ma siccome il Principato di Salerno si distendeva fuori di questa linea verso Oriente e Mezzogiorno; così ancora i Greci non s'erano affatto spogliati della loro dominazione verso l'altra parte, che non interamente era a' nostri Principi longobardi sottoposta; imperocchè in questa ancora v'erano i tre Ducati di Amalfi, di Napoli e di Gaeta, i quali ancorchè si reggessero in forma di Repubblica, e sovente dal Corpo d'esse non solo s'eleggessero i Magistrati, ma anche i Duchi; nulladimeno sempre gli Imperadori greci in essi Ducati ivi mantennero non deboli vestigi della loro autorità e supremo dominio; siccome del Ducato di Napoli, dalle cose già altre volte dette si è veduto; e nel Ducato d'Amalfi ancora solevano i Duchi confermarsi dagl'Imperadori d'Oriente, da' quali ne ricevevano la dignità del Patriziato.

Di Gaeta nè meno di ciò può dubitarsi; poichè se bene Lione Ostiense[72] rapporti, che Gaeta ubbidiva al Papa, e che perciò Giovanni VIII, l'avesse conceduta a Pandulfo Conte di Capua; nulladimanco fu quella ben tosto ricuperata da' Greci. I Papi pretendevano questa città per quelle ragioni, che gli fornì Carlo M. quando pretese toglierla a' Greci, e farne un dono alla Chiesa romana, siccome avea fatto di Terracina e delle altre spoglie de' Greci: ma Arechi immantenente s'oppose, e fece sì, che tosto questa città ritornasse nel dominio greco, onde da' Patrizj prima e poi da' Duchi fu governata. Ma perchè i Pontefici romani non si dimenticano così di leggieri dei loro diritti una volta che credono avergli acquistati, mantennero sempre vive le loro pretensioni, e quando le congiunture ed i tempi gli favorivano, non potendo ritenerla per se, la concedevano a qualche Principe potente, acciocchè potesse difendersela da' Greci, siccome fece Giovanni VIII, concedendola a Pandulfo; ma perchè da costui facevasi de' Gaetani aspro governo, Docibile, che si trovava allora Duca di Gaeta, ricorse sino agli aiuti de' Saraceni per discacciarlo; onde si vede, che ne gli stessi tempi che narra Ostiense, Gaeta ubbidire al Papa, si fa menzione de' Duchi, che furono in quella città, dependenti dagl'Imperadori greci, come fu Giovanni, Gregorio, Docibile ed altri; ed in molte carte fatte in questi medesimi tempi in Gaeta, alcune delle quali le dobbiamo all'Ughello, si vede perciò notato il nome degl'Imperadori d'Oriente, che allora regnavano. Così in una fatta nell'anno 812 si legge: Imperantibus Domino nostro piissimo Imperatore Augusto Michaelio et Theophilo magnis pacificis Imperatoribus. Ed in un'altra fatta dopo il tempo del quale parla Ostiense, nel 884 si dice: Imperantibus Domino nostro Leone et Alexandro pacificis magnis Imperatoribus[73]. Ciò che manifestamente si conosce dal vedersi, che i Normanni dopo averne discacciati i Greci, si vollero intitolare non meno Principi di Capua, che Duchi di Gaeta: ancorchè lasciassero in quella città la medesima politia e forma di governo, e che i suoi particolari Duchi e Consoli la governassero[74].

Per questa cagione avendo i Greci tanto dilatati i loro confini, e non riconoscendo Feudi, non si leggono così nella Puglia come nella Calabria in questi tempi nè Contadi, nè Ducati, nè altre Baronie; ma ben se ne leggono moltissime nelle province a' Principi longobardi sottoposte. Quivi, come si è veduto, si sono intese le Contee di Marsico, di Molise, d'Isernia, d'Apruzzi, di Tiano e tante altre; ma la Puglia e la Calabria non se non quando passarono sotto la dominazione de' Normanni conobbero i Feudi; poichè i Normanni, traendo la medesima origine de' Longobardi, gli riceverono insieme colle loro leggi e costumi. Quindi in tutti que' luoghi, che tolsero a' Greci, v'introdussero i Feudi: e sursero quindi (oltre i Conti di Puglia e di Calabria) i Conti di Capitanata, di Principato, di Lavello, di Loritello; i Conti di Conversano, la memoria de' quali spesso s'incontra non meno nell'antiche carte, che nell'Alessiade della Principessa Anna Comnena, nella Cronaca di Lione presso Malaterra, Oderico Vitale e di tanti altri Scrittori[75]; i Conti di Catanzaro, di Sinopoli e di Cosenza; i Conti d'Aversa e quelli di Lecce; i Conti d'Avellino, di Fondi, di Gravina, di Montecaveoso, di Tricarico e tanti altri, de' quali ne' tempi de' Normanni ci tornerà occasione di favellare. Prima, quando questi luoghi erano in potere de' Longobardi, furono, come si disse, divisi in Castaldati, che non erano veri Feudi, ma le loro città erano commesse in amministrazione ed in ufficio a que' Proceri longobardi, nè poterono essere mutate in Feudi, come fu fatto in quelle province, che lunga stagione si mantennero presso i Longobardi; perchè i Greci, che le tolsero parte a' Saraceni, i quali l'avean occupate a' Longobardi, e parte agl'istessi Longobardi, come s'è detto, non conoscevano Feudi.

Questo maggior vigore de' Greci ed estensione del loro dominio, portò ancora in conseguenza, che le Chiese di queste province, che secondo la disposizione dell'Imperador Lione furono sottoposte al trono di Costantinopoli, fossero con maggior vigore astrette ad ubbidire a' Patriarchi di Costantinopoli. Quindi si resero più vigorose le proibizioni di Niceforo Foca contro il rito latino, e che i Patriarchi di Costantinopoli s'avanzassero tanto, sino a comandare a tutti i Vescovi della Puglia e della Calabria, che per l'avvenire ne' sacrificj non si servissero più del pane azimo secondo il rito latino, ma del fermentato, conforme all'uso de' Greci; onde s'innasprirono le contese coi Pontefici romani, i quali non vollero in conto alcuno permetterlo, impegnando perciò l'Imperador Ottone a spedire, come si disse, Luitprando Vescovo di Cremona in Costantinopoli: le quali contese s'accrebbero assai più ne' tempi di Lione IX, quando il Patriarca Michele Cerulario scomunicò tutti i Latini, comprendendovi anche l'istesso Pontefice Lione, perchè, fra l'altre cagioni, non osservavano il divieto loro imposto di non consecrare più in azimo, ma che dovessero servirsi di pane fermentato. Donde è nato, che insino a' nostri tempi siano rimasi in questi luoghi alcuni vestigi del rito greco, e che molte Chiese insino al dì d'oggi il ritengano; ancorchè i Pontefici romani per abolire affatto questi vestigi della potestà esercitata quivi dal Patriarca d'Oriente, non abbiano trascurate le occasioni col tempo d'abolirgli, il che se bene fosse loro riuscito in moltissime città, non è però, che oggi siasi affatto estinto e non sia ritenuto in alcune.

Per quest'istessa ragione non è fuor di proposito il credere, che a tali tempi in questi luoghi le Novelle degl'Imperadori d'Oriente, e le Compilazioni dei Basilici, l'Ecloghe, e gli altri libri, de' quali abbiam fatta memoria nel precedente libro, avessero quivi avuto qualche uso ed autorità; e forte conghiettura ce ne diede l'essersi, come si disse, in Taranto ritrovata l'Ecloga de' Basilici, e l'essersi, mantenuta in Otranto lungo tempo quella famosa libreria d'Autori greci, della quale favella Antonio Galateo. Egli è però vero, che se pure di questi libri s'ebbe qualche uso, non potè durare se non per poco, poichè tosto questi luoghi, essendo caduti sotto la dominazione de' Normanni, i quali abbracciarono le leggi longobarde non riconobbero da poi altre leggi, che quelle di questi Principi e le longobarde: ciò che dimostrano chiaramente le consuetudini stesse della città di Bari, le quali quasi che tutte derivano dalle leggi longobarde, onde i Cittadini di quella città l'appresero, quando la medesima fu lungo tempo sotto la loro dominazione, e quando da' loro Castaldi era governata: di che altrove ci tornerà occasione di favellare.

Ecco dunque lo stato, nel quale erano queste province, che oggi compongono il nostro Regno nel declinar del decimo secolo dopo la morte d'Ottone II, mentre in Oriente imperavano Basilio e Costantino germani. La Puglia e la Calabria (province che dilatando molto i loro confini, abbracciavano tutta la Puglia, la Japigia, la Mesapia, l'una e l'altra Calabria, con quella parte della Lucania, che si distende verso il Mare Jonio, e che perciò avean ristretti i tre Principati di Capua, Benevento e Salerno) erano sotto la dominazione de' Greci. Il Ducato d'Amalfi, l'altro di Napoli e quello di Gaeta, ancorchè ritenessero aspetto di Repubblica, erano però per antichissime ragioni dipendenti dagl'Imperadori d'Oriente. In Capua reggeva Aloara con Landenulfo suo figliuolo. In Salerno Pandulfo suo fratello. In Benevento, Pandulfo II, il quale, avendo discacciato Landulfo IV figliuolo di Capo di ferro, aveva anche non molto da poi associato al Principato Landulfo suo figliuolo, che perciò Landulfo V lo diremo.

Ma sarebbe stato meno disordine, se questi tre Principati, ancorchè in gran parte estenuati da' Greci almeno avessero riconosciuti tre soli Signori: essi non solo riconoscevano per loro Sovrani gl'Imperadori di Occidente come Re d'Italia, i quali in quest'ultimi tempi v'esercitavano vigoroso potere ed autorità; ma, divisi ancora infra se stessi in più Contadi, diedero più pronta occasione alla lor ruina. Il Principato di Capua era diviso nel Contado di Fondi e di Sessa, ne' Contadi di Aquino, di Teano, d'Alife, di Caserta ed altri; quello di Benevento, ne' Contadi di Marsi, d'Isernia, di Chieti ed in alcuni altri; l'altro di Salerno nel Contado di Consa, di Capaccio, di Corneto e del Cilento; e molti Proceri de' Castelli di quel Principato eransi renduti già Signori; tanto che molti di questi Conti reputandosi, come lo erano, dell'istessa razza d'Atenulfo, altri come nati da' Principi di Salerno, da dependenti, ch'erano, si fecero assoluti Signori de' Contadi, come lo pretesero i Conti d'Aquino, di Marsi, d'Isernia, di S. Agata ed altri. Insino i Monaci Cassinesi, tutti quelli castelli, che per munificenza di varj Principi longobardi avean tratto tratto acquistato, pretesero come liberi dominargli; e l'Abate della Noce[76] ha voluto sostenere, che gli possederono in allodio non già in Feudo, e che non riconoscevan diretto Signore non pagando perciò adoa; e perciò il munirono di baluardi, ed assoldavan gente per difendergli, e si videro mantener truppe di soldati, non altrimenti che gli Abati di S. Gallo, ed altri Prelati si facciano in Germania.

Sarebbe dunque stata maraviglia se più lungamente fosse durata la dominazione de' Longobardi in questi Principati, già che tal politia v'introdussero, che diede perciò opportuna e ben aperta via a' Normanni d'occupargli. Nè tampoco de' Greci potea sperarsi in quelle province lunga dominazione; poichè rendutisi insolenti a' sudditi e non essendosi molto curati di scacciar da quelle i Saraceni, cagionaronsi perciò essi medesimi la loro ruina; onde, e per l'una e per l'altra cagione, riuscì a' Normanni occupare tutte queste nostre province, e di ridurle in decorso di tempo sotto un solo Principe, e stabilirvi una ben ampia e regolata Monarchia, come ne' seguenti libri vederemo.

63

Leo Ostiens. lib. 2 cap. 50.

64

Guill. Appul. lib. 1.

65

Ostiens. lib. 2 cap. 50.

66

Nicetas in Man. lib. 2.

67

Pellegr. Castigat. in Chron. Lupi Protosp.

68

Apud Pellegr. in Cast. p. 81.

69

Chron. Anon. Barens. apud Pellegr.

70

Guil. Appul. lib. 1.

71

Ostiens. lib. 2 c. 50.

72

Ostiens. lib. 2 cap. 43.

73

Ughel. tom. 1. Ital. Sacr. de Episc. Cajet.

74

Ab. de Nuce ad Ostiens. l. 1 c. 63.

75

V. Du-Fresne in Not. ad Alexiad. Annae Comnen.

76

Ab. de Nuce Chr. Ost. l. 1 c. 5.

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3

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