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1.3.7 Per

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Per compare nei primi stadi di apprendimento col significato generico di fine/meta/benefattivo. Alcuni esempi:


Nel corpus degli arabofoni compaiono qua e là anche espressioni idiomatiche, come p. es. per niente, per cento, che vanno ovviamente considerate come unità a se stanti. Inoltre AP ha qualche caso di per strumentale, come p. es.


La caratteristica più interessante dell’uso di per è però il suo utilizzo per codificare il dativo nei primi stadi di apprendimento, come mostrano i seguenti esempi:


A questi esempi fanno riscontro altri casi di per per il dativo prodotti in conversazioni spontanee da apprendenti eritrei più avanzati di TI1. È facile individuare in quest’uso di per un’estensione del senso finale/benefattivo, più simile a quello dativo che non il senso locativo-direttivo di a. A questo proposito occorre notare che anche TE, che usa prevalentemente zero o a per il dativo, in un caso che compare abbastanza tardi nel periodo di osservazione utilizza per, cfr.

TE: scrivo qualche lettera per mie figlie (16.7.86)2

La forte presenza di per dativo nel corpus di arabofoni e tigrinofoni può far supporre un caso di interferenza. Mi sembra però di poter escludere tale ipotesi per almeno tre ragioni. La prima è data dal fatto che per è usato per il dativo anche presso TE e che preposizioni analoghe si riscontrano anche in processi di apprendimento che vedono coinvolte altre lingue3. La seconda deriva dall’osservazione che, nonostante l’identità formale e funzionale delle funzioni di direttivo, dativo e finale nelle lingue prime, i nostri apprendenti usano da una parte a e in per la prima di queste funzioni e per per le altre due. Particolarmente istruttivo è a questo proposito l’esempio di AE1, già citato, e che ripetiamo qui:


In arabo a quest’esempio corrisponderebbe l’uso di li con Egitto e di una preposizione come cand “presso” con Mubarak. L’esempio di AE1 va quindi interpretato come una costruzione autonoma, indipendente dalle regole della lingua prima, e che sfrutta gli elementi del sistema di quella fase di interlingua. A tutto questo si può aggiungere che l’identificazione delle funzioni direttiva e locativa di a e in non comporta problemi, nonostante vengano espresse in arabo da due preposizioni diverse (cfr. § 1.2). Infine, la funzione finale di per a prescindere dalle lingue prime è confermata, come vedremo più dettagliatamente al § 1.3.10, dal suo uso con sintagmi verbali.

Siamo dunque di fronte a un caso molto interessante di sviluppo del dativo a partire da una funzione “finale” e che potrebbe rappresentare un punto obbligato dei percorsi di apprendimento oltre che la manifestazione di una strategia di massima trasparenza. È però necessario approfondire le considerazioni fatte qui con l’osservazione di altri apprendenti.

Questo punto potrebbe anche essere molto importante per la valutazione e l’interpretazione dei processi di cambiamento linguistico. Fermo restando che tutta la questione merita un approfondimento che tenga conto di più lingue diverse, non si può fare a meno di rilevare che, diacronicamente, nel passaggio da una morfologia sintetica a una analitica, in molte lingue il dativo è stato ricodificato tramite preposizioni spaziali, cfr. it. e romanzo in generale a (dal lat. ad), gr. mod. σ(ε) (dal class. εἰς), ingl. to, neerl. aan, sved. (e nordico) till. Anche il tedesco conosce costruzioni alternative al dativo con le preposizioni spaziali zu (p. es. col verbo sagen “dire”) e an (p. es. col verbo schreiben “scrivere”). Al contrario, nell’afrikaans, che è il risultato di processi di creolizzazione del neerlandese, troviamo per il dativo la preposizione vir (neerl. voor “per”), che attualmente viene generalizzata a marcare accusativi umani allo stesso modo di a in alcune delle lingue romanze (Raidt 1983:182 sgg.)4. Anche i creoli a base inglese e francese mostrano un uso esteso delle preposizioni per “per”, cioè fo(r) e pu rispettivamente, delle lingue lessificatrici come congiunzioni (Boretzky 1983:194-205 passim).

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