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Il percorso scientifico di Giuliano Bernini

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Un’antica amicizia mi lega a Giuliano Bernini, da quando ci conoscemmo in un tristissimo e un po’ ammuffito appartamento ministeriale in Viale Cristoforo Colombo a Roma per sostenere nel lontano 1986-1987 l’esame orale di un concorso per professore associato. Da allora la nostra frequentazione è stata sempre fitta, cordialissima, molto affettuosa.

Sono doppiamente felice della testimonianza che il suo Ateneo ha inteso giustamente dedicargli. Prima di tutto felice perché la sua attività instancabile per quella che è da sempre stata la sua Università (a Bergamo ha avuto i primi incarichi ed è stato ricercatore per poi trasferirvisi definitivamente e conseguirvi l’ordinariato dopo una parentesi decennale a Pavia) merita riconoscimenti altissimi. Le parole introduttive del Magnifico Rettore Morzenti Pellegrini hanno colto perfettamente il senso della sua partecipazione alla vita istituzionale dell’Ateneo con i tanti incarichi ricoperti, l’impegno profuso come Delegato del Rettore per l’internazionalizzazione (da cui scaturirono alcune interessanti riflessioni raccolte in Bernini 2012c e Bernini 2014), Presidente del Presidio di Qualità, Direttore del Centro di Competenza Lingue, Direttore della SISS per le sedi di Brescia e di Bergamo e, soprattutto, come Preside della Facoltà di Lingue e letterature straniere per ben otto anni.

In secondo luogo confesso di essere particolarmente onorato e contento che mi sia stato chiesto di annotare qualcosa del suo profilo sia accademico – per come l’ho potuto apprezzare in ormai quasi quarant’anni di frequentazione –, sia scientifico. Giuliano è per tanti versi una personalità non comune. Non solo perché è fra i pochissimi docenti capace di coniugare cómpiti istituzionali e attività scientifiche di livello eccellente, riconosciute sia internazionalmente (non casualmente Giuliano è, fra le tante cose, membro delle prestigiose “Societas Linguistica Europaea” e della “Association for Linguistic Typology”) sia nazionalmente: voglio rammentare la sua direzione della Rivista “Linguistica e filologia” e la sua presenza nel Comitato scientifico della più antica Rivista italiana di linguistica, l’“Archivio glottologico italiano”, due attività che lo impegnano moltissimo.

La cifra morale – se posso dire – costituisce di sicuro il tratto più evidente della personalità di Giuliano Bernini. Una moralità che si manifesta attraverso la sua serietà nella vita istituzionale, la sua lealtà nei rapporti interpersonali, il suo rigore nelle ricerche scientifiche. La comunità dei linguisti gli deve molto, intanto perché Giuliano, dopo alcune esperienze nei Direttivi della Società Italiana di Glottologia e nella Società di Linguistica Italiana, ha guidato in qualità di Presidente l’Associazione Italiana di Linguistica Applicata (dal 2010 al 2016) e sta guidando la Società di Linguistica Italiana (dal 2020). Ma Giuliano si è rivelato soprattutto un Collega preziosissimo in una serie di delicati cómpiti che gli sono stati affidati a livello nazionale come Membro del GEV 10 per la VQR 2011-2014 (è stato coordinatore del subGEV-4 per l’Italianistica e la Linguistica) fra il 2015 e il 2017 e in qualità di componente del Comitato di selezione del PRIN 2017 per il sotto-settore ERC SH 5, dal 2018 al 2019.

Posso testimoniare in prima persona che queste sue esperienze, unite alle profonde e precise competenze nel settore della didattica linguistica in tutte le articolazioni disciplinari, hanno aiutato in modo fondamentale gli Organismi ministeriali in almeno tre circostanze cruciali. La prima è stata la redazione delle Classi per l’insegnamento (sfociate poi nel D.P.R. 19/2016 all’epoca della “Buona Scuola”); la seconda la rivisitazione delle Classi di Laurea triennali e magistrali (incluse quelle per la “Logopedia” in stretta collaborazione con Francesca Dovetto, allora rappresentante per l’Area 10 al Consiglio Universitario Nazionale), revisione che dura tutt’ora e che vede impegnatissimo Giuliano assieme ai Presidenti delle Società scientifiche dell’area linguistico-glottologica; la terza circostanza è stata ed è tutt’ora l’interesse per il riconoscimento e la promozione istituzionale della LIS, lo strumento linguistico della comunità italiana dei sordi. In tutti questi momenti Giuliano Bernini è stato un punto di riferimento straordinario per puntualità, rapidità esecutiva (un tratto cruciale quando si ha a che fare con i Ministeri) e, ovviamente, per competenze tecniche.

Va detto che l’ampia e variegata esperienza scientifica di Giuliano, comprovata dalla partecipazione e dal coordinamento di decine di progetti scientifici nazionali ed europei, un’esperienza che spazia dalla glottodidattica alla sociolinguistica, alla linguistica storica, alla linguistica germanica, all’apprendimento dell’italiano L2 fino alla tipologia areale, lo rende in modo naturale un punto di raccordo al momento di trattare di tematiche interdisciplinari e transdisciplinari. Questa riconosciuta posizione di riferimento fra le tante aree delle discipline linguistiche gli ha consentito di recente di ottenere un importantissimo e ambìto riconoscimento, quello di rappresentante per l’Italia nel Comité International Permanent des Linguistes (CIPL) su indicazione congiunta della Società Italiana di Glottologia, della Società di Linguistica Italiana e dell’Accademia della Crusca.

Ho appena ricordato in modo cursorio il profilo scientifico di Giuliano Bernini. Difficilissimo sintetizzarlo in poche battute. Volendo inevitabilmente semplificare si può affermare che la formazione di Giuliano, al netto delle importanti esperienze di ricerca svolte all’estero, si sia sviluppata all’interno di una costellazione formata da tre rilevanti sedi universitarie (Milano statale, Bergamo e Pavia), ciascuna corrispondente a singole personalità che hanno influito su di lui e a precisi àmbiti tematici della sua produzione scientifica.

A Milano Giuliano si laureò in Glottologia con colui che da non molti anni aveva raccolto l’eredità imponente di Vittore Pisani e cioè Enzo Evangelisti. La sua tesi, discussa alla metà degli anni Settanta, verteva sui nomi delle parti del corpo in gotico e presagiva quelle ampie e variegate competenze nel settore delle lingue germaniche che da sempre hanno costituito uno dei corpora maggiormente battuti con invidiabile competenza da Bernini, in lavori sia di linguistica tedesca sia di tipologia areale. Ma non va dimenticato che questa primissima esperienza glottologica (ossia nell’àmbito della linguistica storica classica) ha fatto sì che negli anni a venire Giuliano non abbia mai perso il contatto con le tematiche del mutamento linguistico, tematiche che affiorano spesso nei lavori tipologici e in quelli dedicati all’apprendimento delle lingue seconde.

Per Bernini (ci tornerò più avanti) la diacronia è uno dei banchi di prova più importanti per sondare la tenuta concreta delle categorie tipologiche. Così una delle sue primissime incursioni nella tematica a cui ha dedicato la maggior parte dei suoi saggi tipologici, quella della struttura sintattica della negazione, riguardò i sintagmi negativizzanti nelle lingue indo-europee e la postulazione di una loro collocazione nella proto-lingua (Bernini 1987d). Pochi anni dopo tornava su un possibile drift diacronico che avrebbe condotto l’elemento negativizzante, lungo un asse di progressiva marcatezza, dalla posizione preverbale a quella post-verbale nelle lingue indo-europee (Bernini 1990a). Ma considerazioni utilissime per decifrare i meccanismi del cambiamento – spesso, come è giusto, connessi con le variabili del contatto e dell’apprendimento spontaneo secondo un modello di interpretazione sociolinguistica che risale almeno a Thomason/Kaufman 1988 – sono presenti in molti suoi lavori.

Dicevamo dei maestri e delle sedi. L’esperienza presso l’Istituto Universitario (poi Università) di Bergamo significò innanzitutto il contatto e la collaborazione con Monica Berretta verso la quale Giuliano ha sempre riconosciuto un debito di affetto oltre che di scienza (Bernini 2002). Il rapporto di colleganza e di cooperazione tra i due fu sempre strettissimo. La Berretta aveva assunto già negli anni Settanta, fra le primissime in Italia, un incarico di “Didattica delle lingue moderne” e, assieme ad Anna Giacalone Ramat, ha costituito per Bernini un punto di riferimento costante per le ricerche sull’apprendimento delle lingue seconde, sia in contesti guidati sia, molto più estesamente, in contesti spontanei. Ma lo ha anche stimolato a occuparsi precocemente di pragmatica linguistica, un fattore per lui fondamentale nella spiegazione, ad esempio, della genesi delle categorie e delle forme sia in situazioni di contatto che di mutamento.

Questo segmento scientifico è sicuramente quello al quale Bernini ha dedicato la maggior parte delle sue ricerche e sul quale ha esercitato più a lungo le sue riflessioni, anche teoriche. Inizialmente Giuliano era guidato dall’intento dichiarato di una scansione analitica e coerente delle strategie acquisizionali dell’italiano L2, mediante la focalizzazione su pressoché tutte le componenti della lingua-target. L’avvio nella seconda metà degli anni Ottanta del cosiddetto “Progetto di Pavia” coordinato da Anna Giacalone Ramat (Bernini 1994b) con il preciso intento di arare un “terreno inesplorato” (Giacalone Ramat 2003:13) all’interno di una fitta rete interuniversitaria e con un paradigma omogeneamente funzionalista, ha ulteriormente indotto Bernini a occuparsi in maniera sistematica dell’inventario fonologico (Bernini 1988) e delle strutture morfosintattiche, specie di quelle che rientrano nell’àmbito del sintagma verbale: le preposizioni (Bernini 1987e), gli avverbî (Bernini 2008c, Bernini 2008d, Bernini 2010a, Bernini 2012b), il sistema verbale nel suo complesso (Bernini 1989 e Bernini 2003a), l’imperfetto (Bernini 1990b), i verbi modali (Bernini 1995), i sintagmi verbali con copula (Bernini 2003b), i verbi pronominali (Bernini 2005a), i verbi di moto (Bernini 2006b, Bernini 2006c, Bernini 2006d e Bernini 2008a e Bernini 2008b). La maturazione di una visione d’insieme sui problemi tipologici delle strutture della negazione finì con l’interferire con questo ricco filone di studî: di qui i saggi Bernini 1996a, Bernini 1998c, Bernini 2000 e, soprattutto, la visione d’insieme offerta in Bernini 1999 e Bernini 2005b.

Dopo questa fitta serie di ricerche di dettaglio, Giuliano ha prodotto alcune sintesi importanti della sua visione complessiva dei processi di apprendimento. Il lavoro La seconda volta. La (ri)costituzione di categorie linguistiche nell’acquisizione di L2 apparso negli Atti del Convegno annuale della S.I.G. del 2003 (Bernini 2004) chiarisce la catena implicazionale che Bernini individua nella regolare scansione dei percorsi dell’apprendimento spontaneo. La genesi delle categorie altro non è che il banco di prova della “costituzione interna della categoria verbo e la configurazione dei rapporti che ne legano tratti e valori” (Bernini 2004:122). In sostanza la complessificazione delle varietà di apprendimento, basiche e post-basiche, è un test cruciale per la definizione e la consistenza delle categorie tipologiche e delle loro rispettive gerarchie di marcatezza nell’ouput degli apprendenti. Qui Giuliano riunisce le sue due principali esperienze di ricerca in una robusta sintesi esplicativa che mira alla classificazione rigorosa delle categorie funzionali del verbo in una prospettiva tendenzialmente universalista mediante la rilevazione di un crescendo di “mise en grammaire”. Un simile percorso muove dai tratti prototipici del verbo per giungere a quelli periferici allontanandosi progressivamente dal dominio della pragmatica discorsiva fondata sulla struttura elementare topic/comment. Posizioni simili emergono anche nella sintesi per l’Enciclopedia dell’italiano curata da Raffaele Simone (Bernini 2010c) nonché in Bernini 2017.

Giuliano è anche un eccellente dialettologo. Dopo le prove giovanili di descrizione della fonologia e della morfologia delle varietà bergamasche (Bernini 1987a, Bernini 1987b, Bernini 1987c), ha voluto contaminare – per così dire – queste sue cognizioni con la sensibilità per i fenomeni acquisizionali e per le descrizioni di tipologia areale. La base teorica di questa “contaminazione” si ritrova in un saggio molto rilevante ossia Bernini 2006d che abbiamo già citato. Ivi il ragionamento muove da una distinzione tipologica, introdotta da Leonard Talmy, circa le strategie di lessicalizzazione dei componenti della struttura concettuale nella localizzazione spaziale nei verbi di movimento. Si distinguono lingue che lessicalizzano queste componenti nel lessema verbale (Verb-Framed) e lingue che invece lo lessicalizzano nelle particelle (affissi, avverbî, ecc.) (Satellite-Framed). L’italiano appartiene al primo tipo (es. uscire), il tedesco (come in genere molte lingue a forte componente sintetica in àmbito indo-europeo) al secondo (es. ausgehen). L’importante distinzione viene problematizzata: proprio i dialetti italiani settentrionali sono quelli che mostrano un diverso e inatteso comportamento (S-Framed) in area italo-romanza. Sulla base di un esame dedicato all’acquisizione del tipo V-Framed rappresentato dall’italiano a opera di apprendenti principianti (studenti che sono in Italia da quattro-dodici mesi) con L1 una lingua S-Framed (tedesco, neerlandese) o una lingua che oscilla tra i due (inglese) si riscontra come effettivamente la L1 incida nell’uso della L2. Per tutti i parlanti una delle strategie più usate è quella di impiegare un verbo italiano già caratterizzato nei valori spaziali, accompagnato da una preposizione locativa che regge un sintagma nominale (sale […] sulla testa; è uscito dal buco); accanto a questa, i parlanti inglesi tendono però anche a impiegare una codificazione nel verbo (es. ma ritornata con una delle altri piccoli), quelli olandesi o tedeschi usano spesso un verbo di movimento generico con un sintagma preposizionale (es. va al lago).

Il tema di questa distinzione tipologica, oltre che in prospettiva sempre acquisizionale in Bernini 2006b e Bernini 2006c, viene ripreso in due studi dialettologici dedicati a varietà settentrionali, tra cui il bergamasco (Bernini 2008b e Bernini 2012a), ed è sviluppato soprattutto in Bernini 2021, in cui si esaminano espressioni di questo tipo nei dialetti tedeschi, ladini (romancio e ladino dolomitico) e italiani, in contatto tra loro lungo l’arco alpino. In quest’ultimo lavoro, basato su un amplissimo spettro geolinguistico tratto dall’AIS (i dialetti italiani settentrionali, toscani e gran parte di quelli di Umbria e Marche; le varietà della Svizzera romanza, il ladino, il friulano e le varietà gallo-romanze occidentali come l’occitano, il provenzale, il franco-provenzale), si rileva come esista una evidente concentrazione delle espressioni sintagmatiche del tipo “cadere giù”, “andare giù”, “togliere via” proprio nei dialetti lombardi (compresi i ticinesi) e quelli romanci. Non solo. Si rileva che il tipo sintagmatico è più diffuso (a) nelle varietà montane rispetto a quello di fondovalle e di pianura, (b) nelle Alpi centrali e orientali, in cui le varietà romanze sono a contatto con i dialetti tedeschi, rispetto a quelle occidentali, in cui le varietà italiane sono a contatto con dialetti gallo-romanzi.

Viene registrato il fatto – ben noto alle descrizioni etno-linguistiche da Cardona in poi (Cardona 1985:21-42) – che nelle varietà montane è molto diffusa la deissi spaziale orientata secondo lo scorrere dei corsi d’acqua, incentrata sui villaggi, con i deittici del tipo “su”, “giù”, “sopra”, “sotto”, ecc. Ciò può spiegare in parte la diffusione dei verbi sintagmatici del tipo “andare su”, “andare sopra” ecc. Ma la spiegazione fondamentale che si fornisce è di tipo areale: lo sviluppo di queste codificazioni lessicali sarebbe dovuto all’influsso dei dialettici alemannici delle Alpi centrali (quindi sui dialetti romanci e lombardi della Svizzera) e di quelli bavaresi delle Alpi orientali (Alto Adige, Carnia, ecc.). Un influsso del genere dovuto a un’intensa fase di bilinguismo romanzo-germanico a partire dall’XI secolo fu sostenuto anche da Belardi (vedi Belardi 1994:61 e, più diffusamente, Belardi 1991:274-283 ove viene postulata un’origine relativamente tarda di questi fenomeni sintagmatici). Dalle varietà romanze più in contatto con quelle tedesche, il tipo si sarebbe poi diffuso verso il fondovalle, fino alla Pianura Padana. L’influsso tedesco avrebbe rafforzato una tendenza all’uso dei deittici spaziali già presente nelle varietà romanze di montagna. Una sorta di ipotesi dai tratti vagamente “anti-ascoliani”, se si tiene presente la famosa teoria del regresso dell’area ladina arcaica rispetto a quella veneta sostenuta nei Saggi ladini di Ascoli nel 1873, regresso che vide le zone montane come ultima roccaforte dell’onda di avanzamento italo-romanza.

All’interno di questo ricchissimo filone di lavori acquisizionali emerge più di recente un gruppo di studî di Bernini generato da un’esperienza coordinata di insegnamento elementare di una lingua straniera, il polacco. Una buona sintesi è in Bernini 2018a. Si tratta di lavori eminentemente fonologici (una sorta di ritorno ai primissimi interessi di Giuliano) all’interno dell’interessante progetto internazionale VILLA – Varieties of Initial Learners in Language Acquisition, progetto che prevede un corso rivolto a giovani adulti (studenti universitari di facoltà non umanistiche, molto breve, 14 ore complessive in dieci giorni, accompagnate da test quotidiani, svolte dalla medesima insegnante, con un input controllato, replicato in modo stabile ovunque, comprendente circa 1000 lessemi. Alla fine del corso, è stato registrato il parlato degli apprendenti in diverse modalità (spontaneo, guidato, narrativo). Il progetto si è svolto, oltre che in Italia nelle Università di Bergamo e Pavia, in Francia, nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in Germania, dove il corso ha avuto anche una versione per bambini, per controllare la variabile dell’età.

Tutti i lavori di Bernini in questo specifico àmbito (Bernini 2015, Bernini 2016b, Bernini 2016c, Bernini 2018a, Bernini 2018b, Bernini 2019) si basano sull’analisi del parlato registrato nei test finali, e hanno come obiettivo quello di osservare le realizzazioni fonetiche degli apprendenti confrontandole con quelle della lingua modello. la questione di fondo è “se sia possibile ritrovare caratteristiche specifiche della componente fonetica negli stadi iniziali di una L2” (Bernini 2019:33) paragonabili a quelle morfo-sintattiche attribuibili alla Basic Variety. Nuovamente affiora l’approccio universalistico di Bernini in questo settore. Vengono rilevate tendenze verso la semplificazione della fonologia della lingua-target non attribuibili meramente all’interferenza del sistema di L1, ma a una sua strutturazione autonoma, e una capacità di manipolare la fonologia della fine di parola in cui hanno influsso fattori morfologici (la desinenza dello strumentale nei nomi, o la terza persona plurale del verbo).

Così, ad esempio, molti parlanti realizzano alcuni lessemi con la sonora finale di parola, mentre in polacco non si hanno sonore finali, le quali, dunque, non possono esser state fornite dall’input. Almeno per alcuni casi ciò può essere spiegato mediante la capacità di manipolazione da parte del parlante; è realizzata sonora la consonante finale di un lessema che è confrontato con forme corradicali in cui però la consonante non è in posizione finale: p. es. in parlanti francesi si ha la sonora finale nella forma /ˈstraʂ/ straż “guardia”, che compare nel loro parlato accanto a /ˈstraʐak/ strażak e /straˈʐakʲɛm/ strażakiem “pompiere”, rispettivamente al nominativo e allo strumentale singolare (Bernini 2019:47). Il fenomeno che maggiormente caratterizza questa varietà di apprendimento molto precoce, che quindi non ha ancora raggiunto il livello della Basic Variety è la grande dispersione delle realizzazioni fonetiche riscontrabile, per uno stesso lessema, tra i vari parlanti e anche nello stesso parlante. Per esempio uno di loro, un parlante italiano, rende il modello del polacco /ˈstraʐak/ strażak ‘pompiere’, con le realizzazioni fonetiche [ˈstraʒak], [ˈtraʒak], [ˈs:traʒa], /ˈpɔʐar/ pożar ‘incendio’, con [ˈpɔʒar] e [poˈʒaːr] (Bernini 2016b: 142-43).

A questo punto Bernini formula un’ipotesi generale circa lo sviluppo della fonologia dell’interlingua di apprendimento: un parallelismo tra lo sviluppo dei livelli di analisi biplanari e quello dell’espressione linguistica:

lessico > morfologia e sintassi > pragmatica

fonetica > fonologia e prosodia > prosodia

Nella varietà pre-basica si ha un tentativo dei parlanti di imitare l’input della lingua modello con notevole dispersione dei risultati; nella varietà basica invece i parlanti tendono a imitare la “norma”, dell’insegnante, cioè come mera ripetizione degli stimoli ascoltati, secondo quella caratterizzazione fatta da Coseriu della “norma” come “ripetizione dei modelli anteriori”, astraendo dalle particolarità delle singole realizzazioni. A un simile livello strutturale esistono fortissime semplificazioni della struttura fonologica della L2, fenomeni di interferenza classici, descritti dalla linguistica del contatto, con la L1, e fenomeni di strutturazione autonoma della varietà di apprendimento. Nelle varietà post-basiche invece si ha una strutturazione delle forme fonologiche mediante una serie di ipotesi proiettate dall’apprendente sulla base degli input ricevuti. Qui le singole forme si stabilizzano e viene superata la dispersione. Ancora una volta, dunque, l’obiettivo è quello di cogliere in vitro lo stato nascente di quelle forme linguistiche che caratterizzano il livello strutturale della lingua, le forme, cioè, che interessano la considerazione tipologica.

Il contatto con la sede di Pavia e con la scuola di Anna e Paolo Ramat, che con grande generosità inserirono immediatamente Giuliano nella loro fitta rete di contatti scientifici sul piano internazionale (Giuliano compare presto come co-editor di alcuni volumi pubblicati da de Gruyter dedicati a questioni tipologiche, cfr. Bechert/Bernini/Buridant 1990, Bernini/Schwartz 2006), significò un deciso ampliamento dei suoi interessi scientifici in senso tipologico. In quell’epoca (siamo nella seconda metà degli anni Ottanta) Paolo Ramat stava lavorando sulla interrelazione tra diffusione areale e tratti tipologici dei sistemi linguistici, un filone di ricerca che confluì agli inizî degli anni Novanta del secolo scorso nel grande progetto quinquennale “EUROTYP – Typology of Languages in Europe” (1990-1994) finanziato dalla European Science Foundation (ESF) e diretto da Ekkehard König, che vide proprio in Ramat (assieme a Bechert, Buridant e Harris) uno dei principali promotori verso la fine del 1989 (Pottier 1990) e che diede luogo a una serie di nove volumi di ricerche linguistiche orientate essenzialmente verso la tipologia morfo-sintattica (inclusi gli aspetti prosodici). L’ipotesi di fondo, comprovata da una notevole serie di riscontri fattuali e fondata sull’intuizione dell’esistenza di uno Standard Average European, SAE (cfr. Whorf 1970:103), uno Sprachbund all’interno di quella che verrà poi chiamata “area linguistica di Carlo Magno”, è che si siano prodotti nel corso del tempo fenomeni di convergenza areale tra lingue non strettamente imparentate e che questi fenomeni siano evidenti sul piano delle caratteristiche tipologiche.

Entro una simile cornice teorica (che si basa su una prospettiva eminentemente funzionalista della tipologia che considera “la langue comme ‘problem solving system’”, Ramat 1985:21) s’inseriscono le ricerche di Bernini sulla tipologia della negazione, ricerche nelle quali non manca mai un’attenzione peculiare agli aspetti semantico-pragmatici, una sorta di sphragís tipica di Giuliano. Così, ad esempio, si dimostra la solidarietà areale esistente fra lingue con morfemi negativizzanti post-verbali che discendono da antichi sintagmi discontinui (Bernini 1990a), si delinea lo sviluppo dei differenti quantificatori autonomi e la codificazione semantica dei quantificatori intrinsecamente negativi (Bernini 1991), si descrive il micro-sistema degli strumenti della negazione in italiano (Bernini 1992b), si ipotizza la possibile origine da contatto col portoghese dell’uso della negazione finale di frase in afrikaans (Bernini 1994a). Queste e molte altre linee di ricerca si trovano sintetizzate nel volume pubblicato assieme a Paolo Ramat uscito prima in italiano (Bernini 1992a) e poi in una versione ampliata in inglese (Bernini 1996b; vedi anche Bernini 1994c, Bernini 1998a e Bernini 2011).

Successivamente a questo milestone nella sua produzione scientifica Giuliano Bernini si è interessato più in generale di descrizioni tipologiche sia delle forme di negazione proibitiva e di proposizione (Bernini 1998b), sia delle forme di codificazione della topicalizzazione nelle lingue d’Europa (nell’importante lavoro di Bernini 2006a) e della lessicalizzazione delle relazioni spaziali legate alla disponibilità di determinate classi di parole, non senza – ancora una volta – un’attenta considerazione dell’incidenza di fattori pragmatici (Bernini 2010b). Scopo dichiarato quello di rintracciare possibili fenomeni universali da ascrivere al dominio sintattico e pragmatico delle lingue.

Nella complessa e articolata produzione scientifica di Giuliano Bernini il lavoro del 2016 sull’eredità saussuriana e sui moderni approcci funzionalisti costituisce, a mio giudizio, un’eccellente visione di sintesi delle convinzioni teoriche dello studioso nei confronti delle tante tematiche di ricerca che ha affrontato e che abbiamo provato a riassumere in grandissime linee. Il paradigma saussuriano declinato nelle celebri antinomie del Cours è discusso alla luce di quello che è il precipuo interesse scientifico di Bernini: l’esame concreto del funzionamento delle categorie grammaticali, definite in sede di comparazione tipologica, in due differenti test cruciali, i processi acquisizionali forieri del contatto linguistico e gli scenarî diacronici. Superata la nozione di arbitrarietà e riguadagnata quella di “motivazione relativa” (inclusi l’iconismo e la marcatezza) ma rivista alla luce della “posizione funzionalista [che] individua invece la motivazione nel rapporto tra piano del contenuto e piano dell’espressione”, Bernini nota con convinzione come uno dei fattori più rilevanti dell’allontanamento da Saussure consista nella “motivazione dei segni [che] è verificata e valutata ricorrendo a fattori esterni alla lingua, appiattendo così sullo stesso sfondo le differenze riscontrate all’interno della stessa lingua e oscurandone le eventuali connessioni di sistema” (Bernini 2016a: 13).

La tendenza omogenizzante del funzionalismo moderno che oscura le variazioni (incluso il secondo livello “normale” della tecnica linguistica evidenziato a suo tempo da Coseriu) è giustamente falsificata, secondo Bernini, non solo alla luce dei fattori pragmatici che agiscono nel circuito discorsivo, ma anche e soprattutto dallo studio delle modalità acquisizionali: “proprio l’osservazione di interazioni tra parlanti diverse varietà di apprendimento, native e non-native, illumina il problema metodologico che l’approccio funzionalista incontra ipotizzando comunità di parlanti omogenee. Infatti la presenza di elementi o costruzioni comuni nell’interazione di due parlanti può nascondere organizzazioni grammaticali anche molto diverse, che si possono individuare solo osservando più estesamente il comportamento linguistico dei parlanti coinvolti” (Bernini 2016a: 16).

In definitiva, anche nel caso della diacronia e delle strategie di grammaticalizzazione che interessano le differenti organizzazioni linguistiche delle mappe concettuali, emerge una posizione molto equilibrata di Bernini che fa tesoro sia dei tanti insegnamenti ricevuti nel corso della sua lunga e proficua carriera scientifica sia delle concrete esperienze di ricerca sul campo che hanno costellato la sua produzione. Da un lato una scelta di campo netta per il funzionalismo ancorato alla realtà dei contenuti comunicativi, dall’altro un’attenzione verso i contesti cruciali nei quali nascono e si consolidano le categorie – l’acquisizione spontanea e il contatto nonché i riflessi nella diacronia delle lingue. Con l’intento chiarissimo di poter attingere ai livelli sistemici e possibilmente universali delle lingue e del linguaggio, nella instancabile e rigorosa quête di ciò che Wilhelm von Humboldt in un passo celebre dell’Über die Verschiedenheit des menschlichen Sprachbaues und ihren Einfluss auf die geistige Entwickelung des Menschengeschlechts chiamò “die sich ewig wiederholende Arbeit des Geistes, den articulirten Laut zum Ausdruck des Gedanken fähig zu machen”, ossia “il lavoro eternamente reiterato dello spirito, volto a rendere il suono articolato capace di esprimere il pensiero” (Humboldt 1836:41, trad. it. Humboldt 1991:37).

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