Читать книгу Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani - Страница 11

CAPITOLO VI.

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Giunto in sul canto di S. Martino in Nosigia, contrada che disparve, or farà un secolo, insieme alla chiesa di quel santo, visto il chiarore de' lumi alle finestre del palazzo del conte Mandello, amicissimo suo, pensò entrare da colui un momento, nella speranza che sarebbe esso pure nel numero dei pochi che avrebbero combattuto pei Sforza contro Francia. V'entrò dunque in fretta, e riconosciuto dai servi del conte, fu subito annunciato e messo dentro.

Il conte a quell'ora era seduto innanzi ad una gran tavola sulla quale stavano ancora le reliquie di un lauto pranzo e una selva di guastade, di vasi, di bottiglie di vino. Si comprendeva facilmente come il conte molto si dilettasse di quest'ultimo per certi segni di un rosso carico tendente al violetto che mostrava sulle guance e sul naso. Del resto, fuori di questo indizio, che forse non poteva dare un'idea molto dignitosa di un tal personaggio, tutti i tratti del suo aspetto e della sua fisonomia erano d'una nobiltà straordinaria, e ne era non comune anche la bellezza e l'eleganza, se non che queste scomparivano spesso sotto ad una trascuratezza e cascaggine, quasi potrebbe dirsi, affettata d'atteggiamenti. Aveva certi occhi neri pieni di brio e in quel momento più lucenti ancora del solito. Gli vestivan il labbro superiore due gran baffi neri lunghi e puntuti, quantunque il costume d'allora portasse che i gentiluomini avessero a radersi compiutamente.

Intorno alla tavola erano quattro seggiole alquanto smosse, nelle quali era manifesto che un momento prima ci dovean stare adagiate quattro persone, e gli oggetti che vi erano ancor dimenticati davano a divedere che quelle quattro persone dovevano appartenere al bel sesso. Il Palavicino, entrato in tempo per vedere a scomparir lesto lesto lo strascico d'una veste dietro una porta che subito erasi chiusa, s'era messo a sorridere guardando in faccia al conte, il quale fece in prima, a quell'atto, un volto assai significativo, poi soggiunse:

—Potevano benissimo star qui; ma forse, all'abito scuro, t'hanno scambiato pel sagrista di San Martino, che è un santo, ed ora ci scommetto che quelle care pazze ti stanno a dar la baia; ma bisogna compatirle.

—E anche tu sei sempre pazzo a un modo, caro conte.

—E tu sempre savio, e al di là di quanto fa bisogno a' nostri dì.

—La propria natura uno non può cambiarla.

—Benissimo detto!…. Ma io vorrei sapere la cagione di questa tua visita in ora così insolita.

—Mi rincresce che tu non l'abbia già indovinata.

A queste parole il conte Galeazzo guardò fisso il Manfredo, e stato così come sopra pensiero:

—Ah ah! disse; va benissimo… ora mi sovvengo! E crollando il capo e ridendo: Ma… prima però, hai da bere un bicchiere con me, chè questa è tal faccenda assai più importante di quella che tu di'. È un vino che bolle e frizza e fa il diavolo, ed è fatto apposta per guarire il dolor di capo.

Così dicendo colmò due bicchieri, ne presentò uno al Manfredo mentre se lo faceva seder vicino, vuotò l'altro tutto d'un fiato, e continuò:

—È già dal tredici, caro Manfredo, ch'io non prendo più arme, e al Besozzo maestro, che tien sala qui a due passi da me, non è mai riuscito in due anni, farmi prendere nè fioretto nè stocco; però non so bene s'io potrei fare il debito domani quando per caso volessi venire con voi a codesta scaramuccia.

—Non siam più che una cinquantina, Galeazzo, ed è invero una gran vergogna! Ma se tu fossi mai per mancare, più non saprei che dire di questi tempi così scaduti.

—Tempi scaduti certo. Ma!… non so cosa dirti. Io per me non ho polmoni che bastino a metter aria in questa vescica così vizza e screpolata, e quando un corpo è accidentato, altro che ortiche ci vogliono. E poi…. questo duca Massimiliano…

—Lascia il duca Massimiliano… e pensa alla sola causa sforzesca e al duca di Bari, e più che tutto, a que' scomunicati braconi, che faranno il diavolo, e peggio, se mai venisse lor fatto di rimettere il piede qui.

—Tu parli bene; ma io tengo che ci verranno senz' altro i braconi.

Il Manfredo aggrottò le ciglia, e soggiunse:

—Il cardinale di Sion e i suoi Svizzeri sapranno però far testa, e noi….

—Noi?…. rispose il Mandello ridendo e crollando il capo e vuotando a metà un altro bicchiere.

—Che vuoi tu dire?

—Nulla voglio dire….Del resto, quando in duomo batterà campana a martello io sarò a cavallo e verrò dove voi andrete.

—Pare però che tu non ci venga di buona voglia….

—Perchè no?

—Se tu sei persuaso che non possa venirne alcun utile….

—L'utile che tu intendi….no….ma io ci verrò nullameno. Da due anni a questo dì mi si è ingrossato il sangue maladettamente….e mi dice madonna, che questo mio naso è diventato così pavonazzo, che non è cosa più soffribile ormai….Io so benissimo che è il vino d'oltrapò, il quale bisogna bene che si faccia vedere in qualche luogo, e so pure che è questa vita inerte e tediosa la causa che l'oltrapò faccia deposito. Il Chiodo, chirurgo, mi consigliava stamattina a farmi applicar le mignatte a un tal sito per tirare al basso i tristi umori, ma io ho pensato invece farmi cacciare in altro modo il sangue che mi cresce, e dare una buona scrollata a questo corpo, che un dì più dell'altro va coprendosi di lardo. Se dunque io m'acconcio a venire con voi domani al tocco della campana, ci vengo per questo appunto, nè vogliate darmene un merito al mondo voi altri patriotti.

—Ma che sentimenti sono i tuoi, caro conte?

—Per ora non ne ho altri; ma io ti farò capace di tutto in breve. E comincio dal domandarti a che gioverà l'aver noi menate le mani in quest'occasione, quando i quattro quinti de' gentiluomini e delle case che più contano, altro non desiderano al mondo che si rimettano le brache di Normandia e torni in voga il vino di Borgogna….

—Che fa a noi di questi quattro quinti, se il popolo….

—Lascia stare il popolo, che lui non c'entra in queste cose qui….E tu guardati bene dal fare il Cajo Gracco un'altra volta.

—Che cosa vorresti dire con queste parole, Galeazzo?

—Niente affatto; ma il Tita, cameriere, t'ha veduto a Santa Maria della Scala a ricevere i battimani dei trecconi, e mi ha fatto ridere assai. Ma, come ti dicevo, il vino di Borgogna pare che debba tornare in prezzo, e lo si desidera ardentemente, perchè, vedi, tu devi crederlo a me, quando le lancie di re Luigi usciron di Milano, nel 12, si è anche sparsa più d'una lagrimetta qui. La contessa Clelia, che sta lì in sul canto, baciava e ribaciava, l'altro dì, i suoi due figli biondi, e se la maggior parte di noi non li avesse, come suol dirsi, veduti a nascere, direbbe ognuno che alla Senna, al Rodano, e alla Loira si è attinta l'acqua pel battesimo dei bimbi. E la cosa è naturalissima, perchè io giocherei la mia dritta, che il conte padre non ci ha nè colpa, nè peccato….tu mi comprendi. Ma io ho guadagnato più di trecento e più di quattrocento gigli d'oro giuocando al faraone col barone De-la-Palice che frequentava la casa, e ci perdeva volentieri, e trovava da far buona pesca perdendo. Nessuno diffatto potrebbe dire che la contessa non fosse allora un pezzo di femmina ben ghiotto.

—Ma io non so comprendere come tu possa ripetere codeste infamie, e non fremere al solo pensarci.

—Fremerne?…sicuramente che uno può anche fremerne! Ma sta a vedere ch'io vorrò alterare un sistema di quieto vivere, nel quale durai tanta fatica ad adagiarmi, perchè la contessa Clelia ha i figli biondi?…

Qui il Mandello si tacque, come uno che sta richiamandosi in mente qualche cosa, poi ghignando d'un fare tutto suo.

—Il contestabile di Boissy, riprese, un borgognone, il quale aveva assai più della bestia, che dell'uomo, un dì che il discorso piegò sulle nostre donne, disse cose che mai non avrebbe dovuto dire. Ma anche lui aveva una moglie molto bella e molto giovane, alla quale si capiva benissimo ch'esso erale venuto fieramente a noia, e per verità aveva aspettato anche troppo. La contessa Clelia, che sta qui in sul canto, baciava, come ti dicevo, i suoi due figli biondi; ma nel 12, la moglie del contestabile ne baciava uno di pupille nerissime, quantunque il borgognone avesse occhi gialli e pel rosso. E però anche vero che qualche anno fa io mi dilettavo a spruzzarmi coll'acqua nanfa, e l'oltrapò non aveva ancor fatto deposito; capirai dunque che una mano lava l'altra, senza venire a duelli per cose di sì poco conto; almeno tal modo è comodo….Ma tu ti mostri impensierito!

—Se domani mi verranno in mente codeste infamie, io temo che la spada abbia a croccarmi tra le mani. Ma tuttavia mi conforta che in taluni ancora, o non son pochi, c'è ancora moltissima virtù.

—Vorrei crederlo, caro marchese, ma per quanto io vada guardandomi attorno, se voglio prendere un conforto, convien pure che io ritorni qui! (e batteva le nocche della mano sul bicchiere che gli stava innanzi).

—Malissimo, conte.

—Perchè malissimo?

—Perchè la tua riputazione, e a me lo puoi credere, va perdendo prezzo di dì in dì.

—Ci ho rinunciato al tutto, caro mio. Il circolo de' miei diletti s'è cangiato e ristretto; quand'io mi sento girar nella testa come una ruota di mulino, al punto da non saper racapezzare più nulla di quanto avviene d'intorno a me, allora io posso dire di star bene, perchè delle cose che avvengono oggidì, meno si vede, più si guadagna.

A questo punto Manfredo, vedendo che il conte continuava a vuotar bicchieri, così mezzo ridendo, gli disse:

—Io non voglio già che tu debba cambiare il tuo costume, ma per stassera fa il piacer mio e bevi acqua fresca, giacchè noi dobbiamo recarci insieme dal conte Besozzo dove si raccoglieranno ipochi che stanno per lo Sforza.

—Benissimo; e noi andremo da quel buon vecchio, l'unico del quale io faccio grandissima stima. È un vecchio bravo e pieno d'onore, peccato che abbia un po' del matto, o mi fa ridere quando veggo che tiene ancora la catena alla punta delle scarpe e porta il berretto di Filippo Maria. È un caro matto, ma pieno d'onore, torno a dire.

Qui il conte s'alzò dalla seggiola, mostrando una statura di un'altezza straordinaria, s'arricciò i baffi colle due mani, il quale atto gli era abituale e caratteristico, guardò in volto a Manfredo, poi disse:

—Ora che mi ricordo, tu mi dicevi poco fa, ch'io dovessi bere acqua fresca. Ma tu sei un pessimo consigliere, e stassera ho bisogno più che mai che mi vengano i bagliori, che così il mio occhio vedrà a doppio.

—Cosa vuoi dire con questo, Galeazzo?

—Voglio dire, che avvezzo a veder truppe ben agguerrite, e conti e baroni a migliaia, e bene a cavallo ogni qual volta trattossi di venire a giornata, a me parrà di sognare, non vedendo altro che quel pugno sbrancato di raccogliticci come tu dì, però vorrei che l'oltrapò mi facesse stravedere…. Ora, se tu vuoi che andiamo dal conte, usciam tosto di qui, che vorrei arrivare in tempo per vedere anch'io qualcuno di coloro che vanno in volta per la città a bordellare senza costrutto. Già la mia casa, penso che non la si vorrà toccare, che per la pura verità, ti so dire che si ha più rispetto di me, quantunque taluna volta m'abbian veduto un po' sostentato, che del presidente dei novecento il quale, con tanta edificazione del pubblico, altro non beve che acqua temprata coi ginepro.

Così dicendo, si staccò dalla tavola, alla quale si era sempre tenuto appoggiato. Fece due o tre barcolloni come se non fosse benissimo in equilibrio, ma finalmente, trovato il centro di gravità, potè a poco a poco imprimer l'orma con abbastanza sicurezza e decoro.

In quel momento il servo gli recò spada, cappa e cappello, ed egli si vestì compiutamente. Come fu in ordine:

—Usciremo a piedi, disse al Manfredo, e il tuo cavallo te lo farò condurre a casa a mano. Voglio che ce ne andiamo in volta per qualche tempo, che la sera è bellissima, e non è un pericolo al mondo che le nostre cappe abbiano ad aver timore dei farsetti, sebbene stanotte, per una bizzarria dell'accidente, tocchi loro ad aver ragione; così dicendo uscì col Palavicino.

Ora è probabile che il lettore desideri qualche parola d'illustrazione intorno al conte Galeazzo Mandello, il quale, la bella prima volta, ci si manifestò, a volergli usar de' riguardi, per un uomo molto originale. E lo era di fatto.

Appartenente ad uno de' più cospicui casati milanesi, arricchito inoltre dalla pingue eredità d'uno zio materno, era tra più facoltosi signori della città; con tutto ciò, a trentasei anni, che tanti ne aveva, s'era ridotto a condurre una vita affatto solitaria. E non parea vero come avesse potuto acconciarvisi, mentre sembrava appunto costituito espressamente per vivere nel bel mezzo della società e al cospetto dell'universale. La natura, per crear lui, aveva, a così dire vuotato il sacco. Bellezza di forme, potenza di braccio, tanto che era in voce d'uno de' migliori schermidori d'Italia; svegliato ed acutissimo ingegno; attitudine a far tutto ciò che gli fosse piaciuto. E quantunque in nessuna cosa non avesse fatti studii profondi, che non ne aveva mai avuto nè tempo nè modo, pure di tutto era intendentissimo. Ma questa esuberanza di doni appunto doveva poi produrre effetti singolari e quali non erano a desiderarsi.

All'età di quindici anni aveva militato in Francia sotto la condotta del Trivulzio, e tanto s'era distinto, che re Luigi lo aveva insignito dell'ordine di San Michele. D'allora in poi s'era trovato a quasi tutte le guerre del tempo, aveva percorso mezza la Francia, visitata tutta Italia, era stato a tutte le Corti, aveva conosciuti ed accostati la maggior parte de' principi regnanti, s'era trovato a quattrocchi più d'una volta con Cesare Borgia; Alessandro VI e Giulio II gli eran noti assai bene.

Essendosi ora trovato implicato in quasi tutti i fatti memorabili del tempo, avendo tenuto dietro a' movimenti, alle gare, alle guerre di tanti Stati, essendo stato spettatore di tante e così gravi cose, e per quella sua mirabile sottigliezza ed abitudine a considerarle ad occhio nudo, senza prisma, senza metafisica, senza poesia, avendo saputo scrutarne il fondo senza lasciarsi allucinare dalle apparenze, appena ebbe varcato la sua prima giovinezza, si sentì come sopraffatto da una sazietà morbosa; non fu più nessun fatto, per quanto straordinario che valesse a destare la sua meraviglia. Essendo poi riuscite a vuoto tutte le sue speranze, e da tanto intreccio di eventi non avendo veduto uscire un costrutto che gli piacesse, non v'era partito oramai che attirasse di preferenza la sua attenzione e il suo amore, e se pure continuava a seguirne taluno, era assai più per avere una via in cui mettersi con determinato proposito, che per convinzione vera.

Tocchi i trent'anni, morto il Moro, al quale voleva un po' di bene per alcuni buoni frutti che l'infelice principe aveva saputo far maturare in Lombardia, la quale gli stava al cuore fortemente, veduto come tutta la classe de' patrizii aveva con tanta spontaneità piegati i ginocchi a Lodovico XII, provò tanto ribrezzo di quella generale abbiezione, che in prima tentò ricorrere al flagello dell'ironia per mettere un po' di buon senso in tante teste vacue, ma non riuscitogli un tal tentativo, ed accorgendosi ormai di venire sgradito alla maggior parte, risolse ritrarsi in tutto a far vita privata. Scacciati poi i Francesi, e venuto Massimiliano al ducato, sentì tanto sdegno al vedere come quel giovane leggero e spensierato avesse mandato in dileguo tutte le buone speranze che si erano concepite di lui, che non volle più saper nulla di nulla, e a troncare ogni occasione di nuove contese e di nuove noie coi patrizii colleghi che s'affannavano a provargli quanto meglio si vivesse sotto Luigi XII, levò persino il saluto ad una quantità infinita di gentiluomini che gli movevano i dispetti soltanto a vederli, e, quel che aveva risoluto, fece in effetto.

Ma un uomo di tanta suscettibilità, non poteva certamente far della sua casa una cella da penitente solitario; tutt'altro. In prima, non aveva, a quanto egli ne sapeva, nessuna colpa da espiare; poi, la natura, pel suo solito sistema di compensazione, a quelle sue straordinarie virtù aveva unito un fardello molto considerevole di vizi, ai quali, appena che le sue virtù si misero in istato di quiescenza e di letargo, fu permesso di uscir fuori liberamente e di far il loro comodo. Non è rarissimo il caso che, un uomo il quale trovi ingombra la via per la quale si sarebbe messo con grandissima alacrità, e non trovi la natura dei tempi acconcia all'indole del proprio ingegno e della volontà propria, non potendo in altra guisa dare uscita alla vitalità soverchia che gli ferve nelle vene, procuri sbalordirsi coll'ebbrezza e colla vertigine delle voluttà che smorzano l'intelligenza e ottundano i sensi.

E dal momento che il conte Mandello erasi ritirato dalla società, questa, che mai non lo volle perdere di vista, vide svilupparsi in lui due qualità delle quali certo doveva essere antico il germe in lui: la concupiscenza e l'intemperanza. E non è a dire quanto la critica invidiosa de' patrizi colleghi si bagnasse volontieri in quelle pozzanghere, e si gettasse a corpo perduto sull'uomo che tanto aveva fatto per non esser più riconoscibile.

Fu detto che nelle aule saliche di Carlo Magno, il numero delle amanti regali pareggiasse quello degl'insetti in un bel giorno d'estate. E la cronaca pretende, che il conte Galeazzo avesse fatto degli studi forti su Carlo Magno, e fosse preso dal contagioso desiderio d'imitarlo. È fama che i più insigni bevitori d'Europa fossero in quel tempo i borghesi di Gand, ma siamo assicurati che, se per caso si fosse trovato a far testa a qualcheduno di coloro, il conte avrebbe fatto tuttavia la prima figura.

È difficile a sapersi come mai abbia potuto svilupparsi in quel degno gentiluomo un amore così appassionato per il buon vino, ma è certo che il patriziato calunniatore, al quale il conte era argomento assiduo di parlari diversi, affermava ch'esso non era fresco di mente la mattina più di quel che il fosse alla sera, e ciò, colle debite restrizioni, poteva esser vero. Del resto, v'era un fenomeno ben notabile in quell'uomo singolare, ed è che il suo mirabile buon senso veniva sempre a galla dell'oltrapò, del quale, come sappiamo, egli era tenerissimo. Avveniva bensì, allorquando i vapori gli andavano alla testa, che la frase non fosse sempre purissima, che la parola penasse ad uscirgli di bocca, e quando pure ne uscisse, fosse a strascico, a frastagli, smozzicata. Ma l'idea era sempre lucida, ma il vero era quasi sempre colto. Si raccontano miracoli del sonnambulismo, e noi ne mettiamo qui uno cospicuo dell'ebrietà.

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana

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