Читать книгу Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani - Страница 9

CAPITOLO IV.

Оглавление

Indice

Ma per lasciare una volta quest'uomo, continuò il Palavicino, altre cose mi avvennero in quel torno di tempo, e fu in quell'occasione che per la prima volta potei conoscer dappresso la Bentivoglio. Non ebbi dunque nemmen campo di riavermi dalle ferite e da una violentissima febbre che spesso mi induceva in lunghi deliri, che altre forti e dolorose scosse eran preparate per me. E quando trovandomi bene oramai e avendo risoluto partirmi di Rimini, mi volli recare a ringraziare, com'era dovere, e a prender licenza dalla signora che sempre aveva mandato a prender notizie di me, m'incontrai, mentre metteva il piede in palazzo, in un tale che era suo famigliarissimo, il quale mi dice:—Due mesi fa cotesto palazzo poteva benissimo non avere invidia del paradiso, ma ora è diventata la casa del pianto; e alla signora, che dopo quel che è avvenuto s'è concentrata in se stessa, che non si sa più tanto che si pensare di lei, vennero a far compagnia altri sventurati. Già vi sarà ben noto come i Papalini siensi impadroniti di Bologna, e i Bentivoglio abbian dovuto fuggirne a furia. Ebbene, son qui padre e figlia. Il magnifico signor Giovanni e la Ginevra si son rifuggiati presso la duchessa.—Questa notizia mi fu causa di dolore e di piacere a un tempo, e per tutte le ragioni fu tale insomma, che mi fece risolvere a fermarmi ancora in Rimini. Ebbi a meravigliare però che il Bentivoglio avesse voluto scegliere quel luogo per suo rifugio chè certo non era il meglio adatto, e toccatogli di ciò a quel tale che mi diede l'altre notizie, soggiunse: che il motivo veramente dell'esser venuto colà era tutt'altro da quel che il Bentivoglio aveva voluto far parere, ed ecco com'era la cosa.

Il Bentivoglio sapeva che Giampaolo Baglione, signore di Perugia, non era ancor partito di Rimini, e al medesimo, che vedovo per la terza volta gli aveva chiesta la figlia due mesi prima, ed era rimasto senza risposta, veniva ora ad esibirgliela in fretta e in furia, sembrandogli in quell'improvvisa sua sventura, far grandissimo guadagno, e sperando per quelle nozze confederarsi stretto al Baglione, che era il più potente signore della Romagna e tutta cosa de' Francesi, e poter meglio così tentar l'impresa di ricuperare il dominio della sua Bologna.

In quel giorno, quando entrai nella camera della duchessa, stavan seduti con lei in un crocchio, il Bentivoglio, la Ginevra, il Baglione. Un colpo d'occhio mi svelò come stava l'animo di ciascuno e la Ginevra mi parve così accorata, così spaventata, che io mi sentii tutto commuovere di pietà; e tutto il mondo già sapeva che, per una donna, il dar la mano al Baglione era incominciare una serie interminabile di patimenti e di guai. A te ho già detto come, avendola veduta una sol volta a Bologna, mi facesse tale impressione che la sua figura sempre poi mi comparisse in fantasia. Non era per altro così pazzo ch'io osassi nutrire nemmeno la più lontana speranza! Chi poteva misurare la distanza che interveniva fra me così infelice, così solo, così abbandonato, e così povero, aggiungi, colla figlia di così reverito e potente signore, con quella fanciulla i cui destini parevano avessero a comporsi interamente coi destini di un re?

Ma in quest'occasione mi parve che si fosse immensamente accorciata quella distanza, ed io potessi farmele più dappresso senza che più mi paresse nè audacia, nè pazzia; forse un tale effetto dipendeva da ciò, ch'ella era divenuta così infelice, ch'io sentissi tanta pietà per lei, e che da questa appunto nascesse quella prepotenza d'amore che fa superare ogni ostacolo.

Mi piaceva poi ch'ella fosse la figlia di sì grande e riverito signore, che l'altezza della condizione riflette sempre un gran lume sull'uomo e sui pregi suoi naturali; ma il saperla caduta da quell'alta condizione, la rendeva assai più venerabile agli occhi miei, le aggiungeva uno straordinario, un ineffabile prestigio. Quel misto di miseria e di splendore, quella giovanile bellezza, precocemente sfiorata dagli affanni, produsse in me tale effetto, che io non tel saprei dir qui a parole; e allora pensavo al mio stato, consideravo come anch'io fossi caduto assai basso per l'inesorabile volontà del padre mio, e m'esagerava in mente, e quella prima altezza della mia condizione e quella bassezza presente, e per la prima volta ho saputo confortarmi delle miserie in cui trovavami, non per altro, che perchè somigliavan tanto alla condizione di lei. E mi affannava per persuadermi che il destino avesse espressamente combinata quella parità di sventura, e condotto gli eventi così, che io e quella fanciulla infelice ci trovassimo uniti ambedue nel medesimo tempo e nel luogo medesimo. Ma il veder lì presente quell'uomo osceno ed atroce del Baglione mi dava poi un insopportabile affanno.

E pensa come stesse l'animo mio quando, alcuni giorni dopo, l'Orlando mi parlò dell'angoscie e dei pianti di quella poveretta, e come tremasse della gelosa severità del padre suo e non osasse contraddirgli, e in pari tempo come avrebbe voluto morire piuttosto che darsi in braccio al Baglione. E però un giorno più dell'altro mi andavo sempre più infervorando in quell'amore che doveva essere la mia disperazione e il mio conforto a un tempo. Una sera nei giardini del palazzo della signora, la quale in quel tempo si comportava meco d'una maniera assai strana e impacciata, a me venne fatto di rivolgere alcune parole alla fanciulla, e d'udirla parlare, e si tenne parola della condizione di Bologna, e della loro fuga e de' Francesi, dai quali il padre suo sperava tutto, e rimasi maravigliato della perspicacia straordinaria di lei in cose segnatamente nelle quali le donne non sogliono, per lo più, aver molto intendimento. E più maravigliato ancora quando potei comprendere ch'ell'aveva in pessima stima il nome francese contro l'opinione del padre suo, e mi raccontò una storia mesta d'una giovanetta sua amica che da uno di que' gentiluomini francesi che stavano col Gastone era stata condotta a malissimo termine, onde ne era poi morta di crepacuore, e pensa che tenerezza io sentissi di lei in quel punto che, piena di santo sdegno malediceva quel tristo, e su quel viso fatto rosso dall'ira cadessero ad un tempo le lagrime a dirotta. Egli è a codesti slanci di passione e pietà inestimabili che una donna ti si fissa in cuore, e non te ne uscirà mai più per tutta la vita.

Ma tu vedi come provvedessi alla felicità mia sempre più infervorandomi in quell'amore che non poteva avere che un miserabilissimo fine, per esser le nozze col Baglione inevitabili. Alcuni giorni dopo ho potuto accorgermi di un far contegnoso ed insolito tra la duchessa e il Bentivoglio che mi ha messo in volontà di domandare quel che fosse avvenuto, e seppi poi che la duchessa Elena, a cui disperatamente la Ginevra erasi raccomandata s'era interposta e parlò al padre di lei, e tentò ogni mezzo a persuaderlo perchè non sagrificasse così miseramente l'unica sua figliuola. Ma riuscendo al Bentivoglio nuovissimi que' ragionari, e non sapendo nulla dalla figlia, che mai non aveva osato aprirsi con lui, salì in grandissimo furore e duramente si ritrasse colla Ginevra, che ebbe a passare amarissimi giorni, i più dolorosi della sua vita, ond'io tutt'alterato e commosso, e quasi disperato: Oh che fai tu, proruppi volgendomi a Dio e stoltamente imprecando, colla tua giustizia e colla tua misericordia se permetti che costei abbia a morire di angoscia per la tirannia dello spietato suo padre e se non provvedi a liberarla dalle mani scellerate di quel laido uomo del Baglione. Or senti cosa va a nascere, e va poi tu a negare la provvidenza di Dio infinita.

Due giorni dopo, faceva l'alba appena, entra da me l'Orlando: Grandi novità! mi dice; io m'alzo sul letto pieno d'attenzione, impaziente. Non sai nulla tu di Giampaolo Baglione?

—Nulla ne so, gli rispondo; ma cos'è avvenuto?

—È avvenuto, soggiunse, che stanotte i suoi famigli corsero per messer Liborio chirurgo, e credevano fosse morto in letto.

—Morto in letto?… Ma chi, morto in letto?

—Il Baglione, che non si sarebbe mai creduto. Stamattina però s'è alquanto riavuto, ma gli è dato fuori un male orribile, un mal vecchio; paga insomma i suoi disonesti peccati, ed ora è peggio malconcio assai di Lucio Silla. Altro che nozze, Manfredo, e il Bentivoglio è rimasto a secco.

Eran corsi due giorni infatto che il Baglione non s'era lasciato vedere a palazzo, ma nessuno ci badava sapendo che strano uomo lui fosse, e d'altra parte colle sue mille lancie alloggiava fuori di Rimini un miglio.

Io non ho saputo nè quel che ne disse, nè quel che ne pensò il Bentivoglio allora; nè ho potuto godere dell'improvviso sollievo della povera sua figlia, alla quale aveva Iddio così manifestamente provveduto. Fatto sta, che in quella settimana medesima m'alzo una mattina ed esco fuori. La città essendo ormai assai tranquilla, d'ogni minima cosa vi si parlava a lungo, però sento dire da tutti che il Bentivoglio colla figlia erano, da qualche ora, in viaggio diretti precisamente a Milano. Se tre dì prima io m'era sentito così confortato veggendola salva ormai dal pericolo d'andar sposa del Baglione, altrettanto fu l'abbattimento mio quando mi venne udito ch'ella non era più in Rimini. Quantunque non mi fosse conveniente il recarmi spesso presso a lei, finchè si rimase colla duchessa, e passassi molti dì senza nemmanco vederla, pure il sapere ch'ella respirava quell'aria medesima della città ov'io mi trovava, ch'ella mi era vicina, che se in me fosse mai nato un indomabile desiderio pel quale non potessi stare senza lei, avrei pure potuto recarmi a vedere quel divino suo volto, tutto ciò mi dava un indicibile conforto, e scosse e soprassalti di giubilo potente.

Quando seppi dunque ch'ella era partita, che una grande distanza già mi divideva da lei, ch'era forse probabile ch'io non avessi a rivederla mai più, io ne rimasi così percosso, così sconsolato che sentii pesarmi l'esistenza addosso e desiderai di morire. Nè il sapere ch'ella fra poco sarebbe stata in Milano, vedi bene che speranze poteva darmi, giacchè non v'era una ragione perch'io potessi tornarvi, e a vivere onoratamente senza ajuto altrui, ciò che troppo mi pesava, conveniva mi acconciassi con qualche capitano, il quale assoldasse gente e fosse in pari tempo nemico alla Francia.

Ora quel che avvenne di me da quelli anni in poi tu lo sai, e come risorgessi a un tratto per la subita morte del conte, fratello di mia madre, che volle beneficar me sovra tutti… Per verità che sino a questo punto, quantunque abbia trascorso dei momenti ben tristi, pure ho ancora a lodarmi della sorte mia, la quale mi cavò di tante sventure e tanti disastri; e volesse Iddio che le cose sempre, in avvenire, mi corressero così ma vuol essere difficile… Frattanto due sole cose io desidero ardentemente: che si vinca la battaglia di domani e che il Bentivoglio, vinto dalla necessità, non si rifiuti a concedermi la figliuola sua, della qual cosa è viva la speranza in me, vedendo che per la condizione in cui trovasi lui e la Ginevra, non è già facile che attiri l'attenzione di chi ha Stato o potenza in Italia o fuori. In quanto poi al Baglione, se non è già spacciato a quest'ora, non passerà gran tempo che lo sarà. So bene che qualche mese fa era corsa la voce ch'ei si fosse molto bene riavuto, ma io non ci credo niente, e il conte Besozzo che, non è gran tempo passò per Romagna, mi assicurò ch'altro non sono che falsissime dicerie."

A queste parole il duca di Bari, sapendogli male di lasciare l'amico in quell'inganno crudele, fu quasi tentato di metterlo in cognizione d'ogni cosa, ma ricordandosi della promessa fatta al Morone, e pensando che i consigli di costui non potevano essere in fallo, si tacque.

In questa, i due giovani udirono scattare il martello dell'orologio della torretta che battè due tocchi.

—L'ora è ben tarda, disse allora il Palavicino, e bisogna ch'io vada alla casa del Besozzo, dove stassera si raccoglieranno un cinquanta del nostri che staranno pel duca Massimiliano e per te, duca Francesco.

—Non so se il castellano abbia licenza dal cardinale di Sion di lasciarti uscire?

—Sa il cardinale il perchè, ed ha già dato gli ordini.

—Quando avremo a vederci noi?

—Domani all'alba.

—Addio dunque frattanto, e confida nella sorte e in Dio.

—E in chi altri ho a confidare? Dopo l'attentato di jeri notte, dopo ch'io so che la morte mia è desiderio e fine assiduo di chi si nasconde tra l'ombre, a me par come di passeggiare su d'un terreno, sotto il quale si celi una mina; però, se a me non accadrà d'esser balzato in aria sfracellato, non sarà che un miracolo d'Iddio.

Detto questo, si licenziò dal suo Francesco Sforza, che lo volle abbracciare. Quando fu per uscire si scontrò nel Morone, che veniva dalle camere di Massimiliano e che gli disse:

—È qui il duca Francesco?

—Egli è qui difatto; siete venuto a tempo, ed io vi lascio con lui; a rivederci all'alba.

E senza più altro si partì lasciando appunto il Morone col duca.

Quando il romore che faceva il puntale della spada del Palavicino si perdette sotto alle volte del castello, il Morone si rivolse al duca di Bari, il quale misurava a lenti passi lo spalto, richiamandosi in mente tutto quanto gli avea detto il suo amico.

—E così, disse il Morone, non sa nulla?

—Nulla affatto.

—Neppure un sospetto?

—Neppure. Ma io fui tentato dirgli ogni cosa, quando mi raccontò quel che avvenne tra lui e il Baglìone altra volta, e come la figlia del Bentivoglio per miracolo abbia potuto sfuggire dalle mani di costui; e mi faceva grandissima pietà il vedere quant'egli viva tranquillo e sicurissimo, e creda anzi che il Baglione sia così malcondotto da certo suo morbo osceno, che non possa ormai più riaversi.

—Ed era appunto quanto credeva tutta Italia, e quanto desideravano gli sventurati Perugini. Ma il lettore di medicina allo studio di Pisa, messer Lucio Bandini, voleva in ogni modo esser maladetto da tutti i suoi concittadini, e almanaccò notte e dì per guarire il Baglione, e vi riuscì; ed ora Giampaolo alloggia in Lodi colle sue cinquecento lande.

—Ma in che modo sapete che il Bentivoglio s'è recato da lui?

—Vi basti che ne sono certissimo, come son certo che le nozze che non han potuto aver luogo tre anni fa, tosto si compiranno in uno di questi dì. Il Marsiglio di Lodi venne jeri da me e mi disse ogni cosa, ed io gli raccomandai stesse alle vedette e m'informasse di tutto minutamente. So anche che il Bentivoglio jeri si recò a far visita all'abate di Chiaravalle; nessuno me ne disse il motivo, ma è facile congetturarlo. E pare che gli prema dar sesto alle sue cose in fretta e in furia, e sagrificare la figlia senza le formalità che possono trarre in lungo ciò che egli vuol subito.

—Il Palavicino mi disse il perchè, anche tre anni fa, premeva tanto al Bentivoglio d'unirsi in parentela col Baglione.

—Ed è facile a comprenderlo, e per ricuperare la sua Bologna metterebbe Cristo in croce; ma è quanto per verità io non vorrei che avvenisse.

—Perciò era mio consiglio mettere in cognizione di tutto il Palavicino stesso, il quale, chi sa, forse avrebbe trovato il modo di stornar quelle nozze.

—A suo luogo ed a suo tempo si potrà benissimo palesargli la cosa, ma oggi no. La notizia intempestiva l'avrebbe messo sossopra, e a noi è bisogno invece ch'egli sia benissimo in sè stesso. Perchè, già non è bisogno ripeterlo, questo giovane può essere di grandissimo peso nella causa vostra, e dell'ardore appassionato che ha per voi, e dell'odio che porta alla Francia può accender gli animi di tutto l'esercito. Io so benissimo come vanno queste cose, e come un solo talvolta valga per tutti. Dunque è bisogno ch'egli non sia stornato da nessun altro pensiero, che se domani si avesse mai a vincere la giornata, si troverebbe facilmente il modo di tener lontani il Bentivoglio e il Baglione e allora porrò il pegno io stesso che la Ginevra sarà sua e non d'altri.

—Sperate voi dunque che s'abbia a vincere la giornata?

—C'è l'uno per cento di probabilità; è ben poca cosa in vero, pure alle volte quest'uno è tutto, come ho detto. Del resto è sempre profittevole prepararsi al peggio che al meglio. Il re, senza contar le lancie, i lanschinetti, i fanti della Gheldria e i Guasconi, ha seco seimila cavalieri, il fiore della milizia d'oggidi, quarantamila fantaccini e diecimila uomini d'armi. E noi? cosa abbiamo noi? Cotesti svizzeri che non arrivano a cinquantamila, ed è qui tutto, e combattono per le paghe. Se poi le forze di re Francesco avesse ad ottenere quel che pur troppo è così facile ad ottenersi, allora la lega tra il Bentivoglio e il signore di Perugia mi porrebbe in peggior fastidio assai, e più che prima mi bisognerebbe che il Palavicino sposasse la Ginevra, e l'Appennino tagliasse l'amicizia dei due tiranni.

—Comprendo quel che volete dire; ma la cosa è al tutto impossibile. E per verità, sebbene in questa durissima stretta io non dovrei che pensare alla sventura della casa nostra, pure la sorte del Palavicino mi affanna, e vedo che furia di guai già lo minaccia dappresso.

—E questo mi pesa, per verità mi pesa, o duca, perchè alla fortuna di questo giovane io lego la vostra, la mia e la fortuna di tutta la città. Pure a molti costui non parrebbe che un semplice gentiluomo, buono tutt'al più che a lavorare di spada; ma io so bene quel che se ne cava.

—Anche se i Francesi avessero a rimettere il piede qui?

—Anche se Milano n'andasse tutta sossopra per loro, a me parrebbe d'aver fatto molto se mi riuscisse di gettar la discordia tra il Bentivoglio e il Baglione, e di mettere fra costoro due il Palavicino, perchè dopo, potete ben credere che giuocando a tavola reale, nessuno mi sbancherebbe.

—Ciò è verissimo.

—Questi tirannetti da feudo, sentine di vizj e di nefandità orribili, più dannosi della gramigna in un prato, han bisogno di una falciata ben netta che lor seghi il collo in una sol volta. Dieci anni fa si diceva ogni gran male del Valentino; ma a me, che ne ho sentito l'odore da lontano, non parve poi che portasse così gran fetore, e il ferro e il fuoco, a cui egli ricorreva così spesso, era buono a qualche cosa, credetelo a me. Ma tornando a noi, se il Bentivoglio, che in fondo è un galantuomo, si collegasse mai coll'atroce Baglione, papa Leone se ne resterebbe coi desiderj. Allora questo paese nostro anderà tuttoquanto sossopra, e i frantumi rimarranno nelle mani di coloro che, armati fino alla gola, se ne stanno a riva per godersi lo spettacolo del nostro naufragio. Ecco perchè desidero che il Palavicino sposi la Ginevra, e che nasca discordia tra questi due reicoli, che son quelli che più contano in Romagna. Son cose ben leggiere, leggiere al punto, che si perderanno inavvertite nella farragine di tanti avvenimenti; ma quando le cose saran condotte in modo che il Bentivoglio abbia sempre a correre in su ed in giù tra il desiderio e la speranza, e a guardar sempre da lontano la cupola del suo San Petronio; che il Baglione abbandonato a sè solo, abbia alla fin fine a piegar collo e ginocchio, e l'acqua perugina filtri, corrodendo, tra questo semenzajo di tirannetti, da' quali i Francesi ricevono tanto ajuto, vedrete che il papa prenderà il suo partito e virerà lui stesso la nave allora, e questo giovin re, così alterato dal vin di Provenza, pagherà forse ben cari i sorrisi, che il santo padre gli fa adesso. Dall'istante io temo tutto. Dall'avvenire qualche cosa attendo. Sperate.

—Per verità, messere, disse allora il duca di Bari, io tremo vedendo che nel Manfredo collocate le vostre speranze.

—Eppure se mi verrà fatto di stornar le nozze del Baglione colla Ginevra, io mi gioverò assai bene di questo giovane. In tutta Milano, come v'ho detto, non v'è altri che più vi sia affezionato di costui, e non so quel che farebbe per il maggior vantaggio della causa vostra.

—Ed è per questo che mi pone in apprensione grandissima il vederlo in così dura e pericolosa condizione, perchè, posto anche ch'egli abbia a sposar la Ginevra, non vedo per questo ch'egli possa essere al sicuro di nuove sciagure. Poco fa mi raccontò del Lautrec e della duchessa Elena, signora di Rimini; e che da questo strano intrigo non abbiano ad uscirne altri, è quanto ragionevolmente non si potrebbe credere. L'attentato d'jeri notte intanto n'è un tristo indizio.

—Pur troppo, o duca, gli è chiaro che il Lautrec ha pagato gli assassini… Ma adesso rechiamoci dall'eccellentissimo fratel vostro, che stassera mi è caduto d'animo affatto, e si vuole confortarlo.

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana

Подняться наверх