Читать книгу Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani - Страница 13

CAPITOLO VIII.

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Licenziatosi così il Palavicino, e pensato se avesse dato ordine a tuttociò che gli sarebbe abbisognato per il giorno successivo, si ridusse anch'esso finalmente alla sua casa, eh'era in via a S. Erasmo, contrada che ora non esiste più, ma che doveva, senza dubbio, trovarsi lì fra quelle di Borgonuovo e dell'Annunciata.

Il giovane, nel far la via così solo, si sentiva nell'animo un peso, un'arrovesciatura, una, a dir così, presaga tristezza che, a lui medesimo, riuscivano assai strane. Era quella, per dir vero, la vigilia dì un gran giorno; pure non era la prima volta ch'esso trovavasi in simili contingenze; nè al mondo vi era uomo di lui più coraggioso e men curante della vita, ma la cattiva condizione della città sua, le parole che in quel giorno aveagli detto il Morone, alla cui straordinaria conoscenza delle cose bisognava pur credere, lo mettevano in gran pensiero.

Considerava poi come e quanto dall'esito della vicina battaglia, dipendesse l'assoluta destinazione del resto del viver suo per quanto spettava la figlia del Bentivoglio, signor di Bologna, il quale, se Francia avesse trionfato, com'era a presumersi, mai non sarebbesi indotto, nella speranza di più alti destini, a concedere la propria figlia ad un semplice gentiluomo. Con questi pensieri giunse finalmente alla soglia del proprio palazzo; ma qui, tentato da un altro improvviso pensiero si fermò di tratto e fu a un punto di rimettersi in via. Gli era entrato il desiderio di recarsi ad una tal casa, dove soleva praticare la madre sua, a prender commiato ed a ricevere la materna benedizione prima della battaglia. Considerando però che innanzi a quella donna, alle parole, al pianto di lei, non avrebbe potuto star saldo, e se ne sarebbe allontanato più tristo che mai, fermò non farne altro, e senza più salì nel proprio appartamento.

Dati alcuni ordini al servo che gli faceva lume, ed esaminate con lui parte a parte le sue armi, ch'eran già preparate, non avendo a far altro, lo licenziò raccomandandogli gli entrasse in camera due ore prima dell'alba, e si chiuse dentro disponendosi a buttarsi così sul letto per quelle ore che rimanevano.

Allora, accostatosi così per caso ad uno de' finestroni che rispondevano sulla contrada, ed erano aperti, gli giunse all'orecchio, proprio dal piede del proprio palazzo, un barattar di parole frequente e vivacissimo tra molte persone quasi si stesse a porre in consulto alcuna cosa di gravissimo momento. Per essere l'ora ben tarda, e la via tra le più remote e silenziose della città, si poteva intendere benissimo qualunque cosa vi si dicesse; pure il Palavicino non vi avrebbe già prestato orecchio, se l'importanza del soggetto non avesse alquanto fermata la sua attenzione.

—Quel che oggi non è ben pensato, diceva uno tra gl'interlocutori, non sarà fatto domani, credetelo a me, e se adesso non si piglia di tratto il partito pel crine e dubitiamo ancora di porci al soldo de' Francesi, e di strappare dal nostro berretto la penna di Ghibellino non saremo per far mai cosa buona in vita nostra, e sarem sempre; quel che or siamo, se per giunta non si andrà di male in peggio.

—Io per me il mio partito l'ho preso, diceva un altro; stanotte prima che battano otto ore in castello, mi porrò in via fuori di porta romana, e domani avrò la borgognata in testa e i gigli di Francia in petto. Tant'e tanto uno di questi dì, dopo essermi guardato attorno ben bene, nè trovando uno spiraglio, avevo già fermo lasciarmi andar giù per l'Olona e finirla. I debiti son tanti, amici cari, che mi vorrebbero dieci anni di lavoro e di vita allo stecco, per rimettermi così sulle ginocchia, chè in piedi già non mi rimetto più. In quanto poi al marcire nelle prigioni della Malastalla non me ne sento volontà per adesso. Aiutati che t'aiuterò, e se non colgo questa bell'occasione, io son rovinato per sempre.

—Io poi non ho nè debiti nè altro, entrava a dire un terzo; e se volessi dire che mio padre mi dia scarso appuntamento, direi quello che non è. E mio zio mi vuol pure un gran bene, ed ha un poderetto qui fuori a tre miglia, con prati a marcita che rendono una bella sommetta. E non è tutto; il padre di mia madre mi ha promesso la sua casetta col cavalcavia a San Prospero, purchè mi faccia addottorar presto e diventi un gran sapiente; ciò che tanto desidera mio padre e lo zio, e mia madre anche. E cosa che fa poc'onore, e può anch'essere una fatalità, ma io non la penso così; in prima quell'aria morta di Padova è ancor più viziata di questa nostra, e le toghe dei professori mi guastano il sangue; poi se penso all'eredità, sto fresco…è come la terra promessa…ed io non mi sento di viaggiar quarant'anni, perchè, in quanto allo zio, se non è gran fatto giovane, non ha però un acciacco che prometta bene, e quantunque il nonno, se si guarda agli anni, sia ben decrepito, pure a desinare si mangia ancora il suo buon capponcello, e appoggiato al suo bastone di pino, fa tuttavia il giro delle mura a piedi che è tutto dire. Dunque vedete, s'io non vengo con voi domani, penso che a simil vita non si dura; l'inspirazione non può esser migliore, tu saldi i debiti, e a chi tocca tocca, ed io diserto casa, parenti, professori, e, viva Dio!…Ma tu…che gran diavolo volgi in testa ora?…parla e spacciati presto.

—Di che ho da spacciarmi io, per la Madonna! Il mio pensiero l'ho detto, e sto sodo. La condizione mia vuol così, e tal sia. Vadasi presto, e si faccia quel che si ha a fare… Già l'opera è bella veramente, l'opera è santa: mettersi a mangiar lardo insieme a quei bestioni di Borgogna, e tornar qui con loro a far man bassa sui nostri senza modo e senza pietà. Oh! va benone…ma l'hanno voluto, lo vogliono, e tal sia, ch'io non son già quello che possa cambiare il mio destino maledetto… Ho moglie e figli che non han pane, e pel fallito non c'è più credenza qui, no… Ma la recherò io la buona credenza, e ci sguazzeremo, perdio! Presto sarò di ritorno qui, e la vedremo… Dunque, come t'ho detto, sprechi il fiato a interpellarmi me…

—E tu, continuava lo studente, volto ad un altro che mai non aveva parlato, che cosa dici?

—Dico che ci ho bell'è pensato.

—E così?

—E così, verrò con te dimani.

—Bravo; ora sei uomo, ed io t'assicuro che ogni tuo danno sarà per volgersi in bene.

—Sentite adesso: giacchè siam tutti d'accordo, prendiam tosto per San Donato che sinchè si è qui, i pentimenti possono ancora guastare i savi disegni.

—Ben pensato… Ma e voi, che state a far lì tutti d'un pezzo?…

Ohe! dormite?

—Per me ho promesso di venire al campo, e ci verrò, ma a un patto.

—A quale?

—Che di Francesi non voglio saperne, e starò pel duca.

—Bella questa… Ma sai tu perchè si ha ad uscire di città?

—Per tentar la fortuna, lo so benissimo.

—Ma la nostra fortuna, devi sapere, quella del duca non già, che si starebbe freschi…

—Chi lo può dire?

—La cassa del duca che è vuota, lo dice.

—La città che per lui corre pericolo di fallire, lo dice.

—I signori che mal si comportano questo pazzo duca, lo dicono.

—Ma se gli Svizzeri che stanno per noi…

—Pel duca, vuoi dire.

—Ebbene sia…dunque dicevo…se gli Svizzeri vinceran domani, come han vinto nel 13 a Novara, che avreste voi fatto?

—Un mal passo, no certo, che chi s'accosta alla Francia fa sempre guadagno, e guardiamo il Trivulzio…

—Viva il Trivulzio!

—Certo, il Trivulzio, ed io non ci pensavo.

—Considerate ora voi che accoglimento ci vorrà fare il maresciallo.

—La nostra fortuna è dunque fatta.

—È fatta; non c'è più dubbio.

—E fa conto che tornerai presto, vestito da capitan borgognone, e invece di corone col s. Ambrogio, piattonate a' creditori che ti verranno dappresso colle solite noje.

—Ma il diletto di metter sossopra i banchi delle scuole del Calchi dove il Calcondila mi ha fatto tanto dormire quando spiegava Omero, credo lo lascierete a me solo.

—Presto dunque via di qui e in cammino, ch'io già mi sento arder tutto d'un fuoco inusitato.

Nel momento che costoro, senz'altre parole, già si disponevano ad allontanarsi di lì, svoltò il canto una figura lunga e magra, la quale, a capo chino, a passo tardo, strascinando un bastone, presso a poco nell'attitudine con cui Fingallo, perduta la battaglia, traevasi dietro la lunga sua lancia, e se ne veniva innanzi radendo il muro del palazzo.

Quando fu presso a quel crocchio di giovani, lo studente, osservatolo così alla sfuggita e riconosciutolo, lo chiamò per nome.

—Ohe, Pierin da Sesto, buon'anima, dove vai tu così solo a quest'ora e per queste contrade, dove non vi suol mai bazzicare anima viva?

Quella lunga figura stette così un momento senza parlare, poi rispose:

—Buon dì, e buon anno, caro signore; aspetto mezzanotte, e vado così, non so io ben dove: ma sono in compagnia dei miei pensieri.

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana

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