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Uno Stato che, dopo aver raggiunto, quasi potrebbe dirsi, un primato di prosperità, di floridezza e di coltura, si arresta improvviso, tentenna, si sconnette, perde finalmente tutto quanto aveva acquistato con un lavoro assiduo di mezzo secolo; nè solo perde ciò che possedeva di bello e di grande, ma cade nel più profondo della miseria e del languore; questo Stato, io dico, presenta senza dubbio uno spettacolo troppo degno che alcuno vi si fermi coll'attenzione; e tanto più in quanto contemporaneamente e nel medesimo paese, un'altro Stato raccogliendo gli effetti del lavoro di più secoli, e per l'impulso speciale e potente d'un uom solo, si porta invece di tratto al più alto punto della civiltà, e veste uno splendore ed un lusso, dirò quasi, festoso e tripudiante.

Quest'epoca e questo paese, in cui succedono due fatti così opposti, offrono un bel materiale d'operazione allo storico ed all'artista. Allo storico per l'indagine sagace delle cause, per la stima sapiente degli effetti; all'artista per quel forte contrasto d'elementi, di figure, di passioni, di tinte da cui, quasi sempre, suol scaturire il bello delle opere d'immaginazione.

Però codesto tratto di storia è l'argomento che sarebbe piaciuto poter sviluppare intero nel presente lavoro: Milano e Roma, le due prospettive da colorirsi a quelle così opposte intonazioni di tinte. Milano co' suoi duchi scaduti, viene a trovarsi implicata colla Francia, il suo re battagliero, i suoi luogo-tenenti crudeli; Roma e il magnifico suo pontefice che sono intesi a spegnere la folla dei tiranni nella media Italia, obbrobriosi per delitti e atrocità d'ogni maniera; nel mentre questi, aiutando Francia per tenersi forte contro il pontefice vengono a concorrere alla rovina del Milanese, fintantochè, percossi da Roma più potente, lascian nudo un fianco alla Francia, e Milano, giovata da quest'ordine di cose, da Roma, dalla lega, può riaversi un tratto da quel duro e atroce regime.

Dramma a larghissime dimensioni, nel quale più Stati son le figure colossali che aggruppano il nodo e s'affaticano allo scioglimento.

Se non che, trattandosi di un'opera d'immaginazione, in cui la materia storica dev'essere così stemprata nel diletto, che facilmente venga digerita anche dalle più gracili intelligenze, conveniva diminuire le troppo ampie dimensioni coll'accostare la periferia più che fosse possibile al centro, adoperando per altro di maniera, che se ne conservassero intatte le proporzioni relative; conveniva insomma far quello che fa la camera ottica, la quale, su d'una piccola tavola, raccoglie ciò che appena potrebb'essere contenuto da uno spazio di migliaia di metri.

A far questo era indispensabile un punto, che porgesse il mezzo di congiungere senza soverchia fatica, e, quel che più importa, senz'artifizio troppo palese, tutti gli elementi così lontani tra loro e così disparati; cosa che non sarebbe stata difficile qualora, camminando suite solite orme, si fosse voluto introdurre un personaggio ideale, e dare a lui l'incarico di guidare i lettori nella via della storia, e di connettere le cause e gli effetti de' più notabili avvenimenti.

Ma essendosi l'autore intestato che il protagonista avesse ad essere propriamente storico, se ne sarebbe al certo rimasto co' suoi desiderii, se la storia medesima non si fosse, a dir così, espressamente adoperata per mettergliene innanzi uno che a farlo apposta, non poteva per certo riuscir migliore.

Questo è il Manfredo Palavicino, giovane patrizio milanese, del quale l'ingegno e l'animo forte, le svariate vicende della vita e l'ultime sventure, porgevano senz'altro aiuto, abbastanza da fermar l'attenzione anche de' più indifferenti e svogliati.

Appartenendo esso alla classe de' patrizii, sebbene avverso al loro partito, ci porge tuttavia il mezzo d'investigare quanta parte avesse quel ceto nel complessivo risultato storico rispettivamente alla Lombardia nel secolo XVI.

Avendo, per essersi incontrato nella figlia del signore di Bologna, contratte relazioni e nimicizie ed odii con taluno che dominava nella media Italia, ne fa conoscere in parte la condizione, gli usi, gli abusi; ne conduce finalmente a veder Roma, la città eterna, dove per assai tempo ebbe a fermare la sua dimora.

Nemico alla Francia, e da lei assiduamente perseguitato, caldissimo fautore di Francesco Sforza e a lui carissimo, ne mette in bella luce le virtù di questo, ne fa conoscere l'ingiustizia di quella.

Sovrattutto parve all'autore, dopo aver tentato i segreti della storia, riuscisse sovramodo interessante il gruppo di quei tre personaggi Palavicino, Ginevra Bentivoglio, Sforza, perchè in quel loro incontro, nello stesso luogo e nel medesimo tempo, in quella parità di giovinezza, in quell'associazione di vita e di comunanza d'interessi, (comechè breve e lontana sia l'opera dell'ultimo di essi), in quel forte legame d'amore, a non voler star paghi del nudo fatto e della semplice cifra, gli sembrò vedere qualche cosa più di un puro accidente, ma alcun che invece di altamente prestabilito, ma una mano, provvida e sapiente che avesse espressamente gettate nel mondo e aggruppate quelle tre creature, perchè nel mentre avevano a soffrire per le colpe dei loro padri e della loro classe, ne fossero in una volta l'espiazione e la riparazione potente.

In questi tempi, in cui la fantasia stranamente prodiga di taluno de' nostri vicini d'oltremonte è usa imbandire così laute e forse indigeste mense alla folla incontentabile, ed a stordire il lettore nella sua noja più forse che ad appagarlo nelle sue pretese, lo trascina, quasi potrebbe dirsi, a coda di cavallo, sul popolato campo della vita attuale. In questi tempi che i labbri, viziati dagli spiritosi e forti liquori, facilmente fastidiscono ogni altra bevanda che loro sia porta, è ardua cosa assai il gettare alle moltitudini un libro qualunque esso sia.

Però l'autore non può dissimulare l'insolito timore dal quale è preso nel pubblicare il presente.

Di sè, dell'opera propria ha sempre dubitato e dubita tuttavia, con sensibile stringimento dei precordi, non tanto però quanto dell'inesorabile pubblico. Di questo pubblico sazio dall'abuso, indifferente, svogliato, e per nulla disposto a sperar bene di un lavoro che sia fatto da italiano, stampato in Italia, trattante italiane cose, e che lasciando il presente, benchè senza mai dimenticarlo, risalga al passato.

Ad ogni modo il libro è questo. L'autore vi si è applicato con amore, che nel corso dell'opera talvolta fu più, talvolta fu meno, talvolta eccessivo, talvolta anche nullo; ne ha concepita inoltre qualche speranza che comparve, disparve e ricomparve coll'assidua intermittenza delle febbri terzane. Ora quel che ne attenda, non saprebbe dir con certezza. Il lettore ci provveda, provvedeteci voi, amabili leggitrici, e perciò vogliate ascoltare una parola ancora.

Se talvolta facendo la via per certe aride steppe, l'ambio della cavalcatura fia per esser lento qualche poco, procurate rintuzzare il soporifero della noja, rintuzzarlo confortandovi nel pensiero che verrà il tempo delle corse affannate, delle aspettazioni ansiose, delle scosse non attese, dei forti affetti, e degli angori, più dell'acre cipolla, formidabile ai vasi lacrimali; e che forse anche dopo caduto il libro dalle mani vostre, le oscillazioni vorranno continuare per qualche poco ancora.—L'autore lo spera—Sperate anche voi.

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana

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