Читать книгу Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani - Страница 15

CAPITOLO XI.

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Non faceva ancora la prim'alba, ed era un cielo terso e lucentissimo del mese di settembre. Il silenzio della notte continuava tuttavia, quel silenzio particolare interrotto spesso da un vasto fremito generato o dal passaggio di venti improvvisi, o dallo stormire di estese masse d'alberi, o da rumori lontani, che prolungandosi di luogo in luogo, vanno a spirare nei recinti delle case.

Nella contrada di S. Erasmo, spopolata e silenziosa anche a di chiaro, non era indizio che abitasse anima viva, e solo ogni mezz'ora si sentiva rimbombare in quella quiete il martello dell'orologio dell'Annunziata.

Quando questo ebbe battuto dieci colpi, cominciò a partir qualche rumore dal palazzo del Palavicino, indi voci indistinte e nitriti di cavalli che risuonarono per tutta la contrada, e dopo qualche po' d'ora, lontan lontano s'udì come un rumor sordo di ruote scorrenti, e via via anche un trotto serrato, che s'andò sempre più avvicinando, sino a che svoltando dal Borgo Nuovo, e facendo rimbombar l'acciottolato, una carrozza, o meglio una lettiga a ruote, che fu la prima forma di cocchio che i Francesi avevano introdotto in Italia, non facevano allora molt'anni, andò a fermarsi innanzi al portone del palazzo del Palavicino.

Il servo, saltato a terra, battuto un colpo di martello alla porta, che subito venne spalancata, tosto si volse a stirar la cortina della lettiga, e diè il braccio a discendere ad una donna. Alcuni famigli del marchese, che erano usciti sulla soglia, conosciuta la signora, con grandissimo rispetto le si levarono di berretta.

Era dessa la madre di Manfredo.

A vederla così al primo poteva mostrare poco più di trent'anni, e solo ad avvicinarla e a guardarla per minuto le si dava un'età maggiore, per quanto fosse ancora attraente la sua non comune bellezza, alla quale dava un particolare carattere un certo pallore patito: e una tal quale rilassatezza di portamento. In quella mattina poi aveva il volto visibilmente scombujato, come per pianto recente. Vestiva una gran roba di velluto nero, e in testa aveva una cuffia parimenti di un tal velluto orlata di teletta d'argento.

La signora dimandò:

—È in camera mio figlio?

—È su in camera che sta armandosi, rispose un famiglio.

A queste parole, la signora fece un moto indescrivibile; presto salì lo scalone, e senza attendere che i servi la precedessero ad aprire gli usci, di una in altra camera giunse in quella di suo figlio.

Stava questo in quel momento adattandosi la corazzina; e quando, sentendo aprir l'uscio, si volse, rimase così impacciato e sconcertato vedendosi innanzi sua madre, che ella se ne dovette ben accorgere.

Ci fu qualche momento di silenzio e d'esitazione, ma infine, troppo rincrescendo al Manfredo ch'ella si amareggiasse stimandosi mal accolta:

—Non vi avrei già aspettata a quest'ora disse… jeri sera fui tentato di venire dai Beroaldo per vedervi.

—T'ho aspettato infatti fino a mezzanotte, tanto ero certa che ci saresti venuto; ho lasciato che ciascuno si partisse, e vi rimasi assai tempo ancora colla sola contessa, che pure ti aspettava; ma pur troppo ho dovuto dire fra me stessa: stavolta il mio Manfredo si è dimenticato di me.

Il giovane non rispondeva.

—E così venni a casa colla desolazione nel cuore; tuo padre e i tuoi fratelli mi aspettavano impazienti, perchè confidando nel mio buon Manfredo, loro aveva promesso che ti avrei persuaso a rimanere… pensa or tu come mi furon tutti contro, indispettiti e sdegnati, quando mi videro tornare così confusa e senza parole. Tuo padre, che vede disperata in tutto la condizione degli Sforza, trema per sè e per la sua casa, e pensa che la tua ostinazione porterà l'ultima rovina a tutti noi. In questi ultimi dì fu sempre così torvo e agitato e terribile, ch'io non ho avuto un'ora, un momento solo di quiete. Ma quando i tuoi fratelli gli replicarono l'incomportabile rimprovero, che avrebbe dovuto rimaner vedovo il resto de' suoi dì, che con me recò la sventura nella casa, l'ira lo trasportò, le sue parole traboccarono, tutte le sue imprecazioni vennero a cader su me.

Il giovane a tali parole si fe' tristissimo.

La signora stette guardandolo un pezzo, poi riprese:

—Hai tu dunque risoluto?

—Che cosa risoluto?

—Che tu combatta quest'oggi contro i Francesi?

—E ciò mi domandate? ma voi lo sapete pure. Quel ch'io pensavo a diciott'anni, anche oggi penso con quel fervore medesimo, e più. E ch'io debba combattere quest'oggi, è mio destino.

—E il mio è quello di viver sempre in affanno e di non aver mai una consolazione da te; ma, per carità, ascoltami, il mio Manfredo. Io non ho mai veduto tuo padre così inclinato, come oggi, che l'ho lasciato con qualche speranza, a dimenticare, a perdonar tutto. Non lasciarti sfuggire quest'occasione. Potrebbe non venire mai più, e lui altro non vuole se non che tu non combatta quest'oggi contro i Francesi, e rimanga in città… e tutto è finito, ed io sarei la più felice di tutte le madri.

Manfredo crollava il capo e pareva inquietissimo.

—Senti… tuo padre ti ha duramente scacciato per questa ostinazion tua… e ti ha maladetto…. Tu non ci hai colpa… lo so, tutti lo sanno. Ma la maledizione di un padre è terribile, il mio povero Manfredo, e viene il dì….

Il giovane si scosse a queste parole, e un misterioso raccapriccio gli tramestò tutta l'anima. Accorgendosi poi che la sua volontà quasi subiva la influenza di quel raccapriccio, indispettito di lasciarsi così sopraffare, e in quel momento, e per sua madre, tant'ira lo prese, che non bastò a dominarsi, e proruppe:

—Questo era il dì veramente, e l'ora opportuna per venir qui ad arrovesciarmi l'anima. Io aveva procurato scansar tutte l'occasioni per non veder voi innanzi a quest'ora, che già troppo m'immaginava i vostri soliti, perpetui, insopportabili pianti; ma voi, no, non lo avete voluto, e siete venuta qui pel mio malanno e pel vostro.

E misurando a gran passi la camera, l'impeto dell'ira sua appariva assai più dagli atti che da quelle parole medesime. Ma in quella foga sguardando un istante, e vedendo sul volto di quella donna soave di sua madre, un'attonitaggine accorata, un'avvilita sommessione, quasi fosse un suo soggetto intimorito dagli strapazzi e dalle contumelie, sentì come un rimorso e uno spavento repentino, rimorso che gli fece cadere a un tratto lo sdegno, gl'inspirò più forte che mai la tenerezza per sua madre, e gli sconvolse tutta l'anima d'una compassione che lo faceva tutto tremante. E' si fermò di tratto in prima, poi lento lento s'accostò alla madre e, stato un istante perplesso, le gettò le braccia al collo con una dimestichezza ingenua e abbandonata, che ricordava i suoi atti infantili, e stette così a guardarla senza dir altro. Allora la tenera donna, sentendo in quel punto tutt'in una volta l'effetto e dell'ira e della tenerezza del figlio suo, stette tuttavia attonita e immobile senza parlare, senza nemmeno guardarlo in viso. Ma dagli occhi lente le sgorgarono due sole lagrime, di quelle lagrime piene di passione che le promovono a dirotta in chi le osserva.

La somiglianza quasi perfetta di que' due volti, pallidi ambidue, sbattuti e atteggiati al dolore; quella madre ancora giovane, ancora avvenente, abbracciata dal suo unico figliuolo, con quell'atto d'amore insieme e di venerazione, avrebbero al certo fatta una impressione particolare in chi che sia li avesse veduti in quel punto. Stettero così in silenzio per qualche tempo, quando la madre:

—Ora ho a parlarti di una cosa, esclamò, di una cosa che importa assai, Manfredo; e stata un momento sopra di sè perplessa, soggiunse: la figlia del Bentivoglio mi parlò di te.

Il giovane non aveva mai dotto nulla di quell'amor suo alla madre, por ciò rimase assai maravigliato e scosso a quello parole inaspettate,

Ella se ne accorse, e continuò:

—Io so tutto, Manfredo, e da lei stessa lo so. Ieri sera, avendo ella saputo, non so come, ch'io era colla contessa, per gli orti che congiungono il palazzo dei Beroaldo col suo, di nascosto di suo padre e con grandissimo suo pericolo, come mi disse poi, entrò nelle stanze della contessa per parlare a me, e le parole e gli atti di quella fanciulla furono così ingenui e sinceri, ch'io dovetti abbracciarla e baciarla come se fosse mia, e l'amo adesso come amo te.

Il Palavicino, sentendo sua madre a parlare in tal modo della Bentivoglio, si sentì agitato da una tenerezza e da una gratitudine così viva per quella donna, che si mise a guardarla estatico, quasi fosse una cosa straordinaria, una cosa santa, e non trovava una parola per rispondere.

—Non avendo dunque il modo di parlare a te stesso, continuava la madre, appena seppe ch'io era dalla contessa, come dicevo, e riponendo ogni fiducia in me sola, quella povera tribolata venne a raccontarmi l'improvvisa sua sventura…. bisogna dunque che tu non esca di città, che tu rimanga qui domani…. il padre le fa forza, e tu devi conoscerlo, ed ella è costretta a delle nozze abborrite…. e l'uomo che la deve sposare è già qui. Egli è dunque anche per questo, anzi per questo particolarmente che sono venuta da te stamattina.

Il Manfredo, a tali parole, non fece un movimento, soltanto guardava in viso a sua madre, attonito, soltanto le labbra gli tremavano visibilmente.

—Ella mi raccontò in fretta ogni cosa, chè il tempo le mancava, e tremava di paura. Mi disse che sperava nel tuo aiuto, che sola, non gli basta l'animo a nulla, e teme il padre. Vedi dunque che il bisogno stringe, e che si vuole soccorrerla. Quando mi disse chi era l'uomo che ha da sposarla, io temetti volesse morirmi tra le braccia, tanto le fa orrore quel tetro uomo del Buglione.

A questo nome parve che al giovane si scomponessero le fattezze in un tratto, pure continuava a guardar la madre con occhi spaventati e mille parole gli vennero in furia sul labbro, ma il labbro gli balbutì e gli fu impossibile di parlare. Pareva come oppresso da qualche cosa che avesse chiusa dentro di sè, e volesse prorompere con violenza e non trovasse la via…. scoppiò finalmente quasi in un grido…. e si cacciò ambidue le mani fra i capegli, con quell'atto disperato che fa l'uomo quando gli entra l'orribile persuasione che per lui non v'è più scampo.

La madre intanto lo guardava spaventata, e giacchè prima d'entrargli in camera aveva pensato non manifestargli subito quella trista novella, e solo l'aveva fatto quando s'accorse che in altro modo non le sarebbe riuscito vincere la sua ostinazione e trattenerlo in città, ora quasi se ne pentiva, ed era tutta contristata, e pensava al miglior modo di placare quell'ira e quel dolore…. ma quel dolore proruppe:

—Dunque è vero, uscì a dire Manfredo con un accento in cui l'ira sentivasi già soverchiata dall'accoramento, dalla tenerezza, da quell'affanno che ha bisogno di stemprarsi in lagrime…. è dunque vero che l'uomo osceno s'è ancora aggrappato all'orlo del suo sepolcro e n'è uscito vivo, ancor vivo…. per la rovina mia…. per la disperazione di quella povera sfortunata fanciulla…

E passeggiava a gran passi prendendosi le vesti, contorcendosi le mani, mandando gemiti interrotti, come se un acuto, insopportabile tormento gli serpeggiasse nelle carni, non gli concedesse requie. La madre allora gli si accostò, e con una grazia sollecita e piena d'affetto gli pose una mano sulla spalla:

—Manfredo, disse poi, le cose non sono al punto che tu debba disperarti così…. non v'è nulla ancora di perduto,… io venni ad avvisarti di ciò appunto, perchè spero, perchè voglio veder felici te e quella povera fanciulla…. e in ogni modo, io farò quello che a nessuno non darà mai l'animo di fare…. spera….

Il giovane si fermò, tutto commosso di gratitudine e tenerezza, e a quelle provvide parole, lo spasimo che gli era derivato da un'orribile certezza, tornò a stemprarsi nelle oscillazioni del desiderio e della speranza.

Cessò l'ira, cessò l'orrore; solo rimase l'affetto per sua madre e per la fanciulla, il quale ora appunto ch'era nato quell'ostacolo crebbe a tal punto, che la stessa tenerezza gli generò un altro spasimo, e tanto trasporto lo prese, che fu per gettarsi ad abbracciar le ginocchia di sua madre. I suoi caldi pensieri volavano allora dalla madre alla fanciulla con una vicenda fervorosa e continua.

E qui cominciò a non ricordarsi più nè dello Sforza, nè dei Francesi, nè della battaglia. Altro non vedeva innanzi a sè che quelle due care donne.

La madre che lo teneva abbracciato, standogli tanto in sul cuore che non uscisse al campo, e ancora dubitando, dopo qualche momento:

—E così, gli domandò, possiamo sperare che tu ci esaudisca? vorrai tu finalmente rimandar consolate me e quella fanciulla infelice?

Il giovane si scosse, fece un volto compunto: l'impeto di una passione inestimabile gli mise le parole sulle labbra.

—Oh non partirò, non partirò. State tranquilla, non partirò…. voi…. lascierete finalmente, e per sempre, quella infame casa dove vi si fanno patire le angosce dell'inferno. Abbandonerete il rigido inflessibile vecchio, e verrete con me…. e con quella sventurata fanciulla.

E alzando a gradi a gradi la voce come l'eccitava la commozione:

—Oh non speri d'averla, il Baglione. Rimanga nella sua dura e superba solitudine il padre, la fanciulla verrà con me, con me e con voi. Ce ne andremo insieme una volta, e per sempre, dove migliori destini ci guideranno. Io, lo giuro per l'anima mia, io non ho altri al mondo che voi due sole, e piuttosto che abbandonarvi, non so quel che farei, povere donne mie, non lo so!

Così dicendo, come spossato da quel convulso anfanamento, si gettò a sedere prendendo la mano di sua madre a farsela seder vicina, e appoggiandosi a lei e abbracciandola, per effetto dell'immaginazione infervorata dall'amore, gli pareva, sotto a quell'abbraccio di sentire e toccare anche la soave figura della Ginevra.

E, cosa strana e incredibile, quello zelo così costante in lui per le cose della città sua, per la causa degli Sforza, il cui vantaggio aveva sempre desiderato colla foga d'una passione, furono in quel punto rintuzzati e vinti da quella tenerezza casalinga, la quale or sembrava a lui la più desiderabile, la più santa fra tutte le umane cose, ed era maravigliato anch'esso che tutto il resto gli sembrasse ora così vacuo, e peggio; e incontrandosi coi pensieri, che scorrevano rapidissimi, in quella floscia ed effemminata figura del duca Massimiliano, non gli parve più cotanto sprezzabile, ed ora che il Baglione era venuto a rompere duramente la pace sua, vide che in quelle ingenui gioie di famiglia, in quelle pure corrispondenze d'amore e di pace, c'era una voluttà ed un incanto potentissimi a legare una volontà per sempre.

La madre intanto, ch'era venuta lì così conturbata, così priva di speranze, e adesso udiva quelle proteste e quelle parole piene di un amore così sviscerato, e tenevasi tanto sicura che il figlio suo non sarebbe già uscito al campo, quasi non ricordandosi più di che nuovo dolore era egli afflitto, godeva in quel momento di una gioia piena ed intera, e scorrendo col pensiero tutta la sua vita, non vi trovava un istante così felice come questo, e abbandonando la mano in quella del caro suo figlio, lasciava che la mente vagasse in una dolce contemplazione.

In quel punto, impallidendo affatto la fiamma della lampada che ardeva ancora sulla tavola, entrava nella camera da una finestrella su in alto, lasciata aperta, il primo raggio dell'alba a piovere una mesta luce su quel quadro attraente di matronale bellezza, di bellezza giovanile, su quel gruppo appassionato del più sviscerato amor materno, della più gentile venerazione figliale.

Ma in quel punto medesimo, per l'ampio silenzio non mai interrotto prima, s'udì, trasportato dall'aria, un suono grave e profondo di tocchi accelerati e continui…. dan dan dan dan dan…. campana a martello in duomo; poi di lì a poco, più libero, più aereo, più maestoso, un altro suono in quella cadenza medesima…. dan dan dan dan dan…. campana a martello a S. Ambrogio. Quindi gli stessi tocchi a S. Marco, ai monasteri, al'Annunziata; finalmente un martellamento generale di tutte le campane delle chiese di Milano, un vasto frastuono, un agitarsi in turbine sonoro di tutte le onde dell'aria.

Era l'avviso che davasi a que' cittadini che avesser voluto prender l'armi in quel dì ed aggregarsi alla numerosa truppa degli Svizzeri che a momenti dovevano uscir dal castello.

Il volto del Palavicino diventò rosso infuocato come bragia, poi quasi nel medesimo tempo, pallido, inferriato come la faccia d'un cadavere. La mano, con cui teneva stretta quella di sua madre gli tremò quasi per repentina paralisi.

Che accadeva in quel momento nell'anima sua? con che ordine fatale gli si disposero improvvisamente nel pensiero gli Sforza, i Francesi, la battaglia, le promesse, il dovere, i concittadini, i colleghi che l'aspettavano, i dieci di cui la sera prima era riuscito a cambiare i propositi, le proteste di amore, le promesse di rimanere fatte alla madre, della quale teneva la mano ancor stretta nella propria, la sua Ginevra, le preghiere di lei, il grave pericolo che le sovrastava.

E allora, quasi sentisse una fitta, una doglia acuta un tormento fisico, mandò, senza volerlo, senza nemmeno avvedersene, un'esclamazione così angosciosa, così disperata, che sua madre ne trasalì.

In quella, avendo rimbombato per tutta la città lo sparo delle artiglierie del castello, il Palavicino balzò in piedi con quella rapidità che ha una molla che scatta, si volse, s'accostò alla tavola, prese, si calcò la borgognata in testa… e a sua madre, che s'era alzata essa pure tutta convulsa, e a cui non osava nemmen guardare:

—Ahi non m'è possibile, gridò.

In quel grido c'era il tremito del singhiozzo accorato, l'asprezza dell'ira, l'accento della disperazione. Era una di quelle voci che ha l'uomo per manifestare tante e diverse passioni in una volta, e che non si possono tradurre in nessuna maniera.

E tentato allora un ultimo sforzo, e sempre senza mai guardare in viso a sua madre, quasi ne avesse timore e vergogna, si sciolse duramente da lei e fuggì, chiudendo l'uscio dietro a sè.

Pochi momenti dopo s'udì il galoppo serrato di due cavalli suonare sull'acciottolato della contrada.

La madre, tenuto dietro a quell'ingrato rumore, finchè si perdette affatto, se ne rimase come trasognata. Non sapeva credere a sè stessa, le pareva impossibile, dopo che s'era tenuta sicura di quanto desiderava con tanto ardore, ch'ella or si trovasse di nuovo in quella medesima angoscia con cui era venuta a supplicar suo figlio, e non sapeva uscire da quell'attonita sospensione, ma persuadendosi alfine di quel che era veramente, sentendo il sanguinoso contrasto tra la disperazione presente e la gioia d'un momento prima, pensando al vecchio marito, all'inflessibile padre di Manfredo che, con impazienza stava attendendo una risposta, e più che altro assalita dal timore, che il figlio suo fosse per morirgli quel dì stesso, ed ella non avesse a vederlo mai più, diede in uno schianto così procelloso di pianto che minacciava affogarla.

Entrava allora in quella camera, non sapendo ch'ella vi si trovasse ancora, un domestico del Palavicino per dar sesto ad alcune cose. La poveretta si fece forza, si asciugò gli occhi in fretta, procurò ricomporsi, ed uscì.

Appena discesa, se le fece incontro il vecchio servo, che l'aspettava da un pezzo sotto l'androne della porta.

Notò il buon vecchio, che era affezionatissimo alla signora, gli occhi ancor molli di pianto o il turbamento straordinario…. e preso da compassione, colla voce tremante e gli occhi quasi bagnati, le disse qualche parola per confortarla…. Ma a quell'atto e a quelle parole ella tornò a dare in un altro scoppio di pianto con un angore che le toglieva il respiro, e quando si adagiò nella paravereda e la cortina si stirò, si mise il fazzoletto agli occhi, e pianse dirottamente finchè si fermò innanzi al portone del vecchio palazzo Palavicino.

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana

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