Читать книгу Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio - Страница 10

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Un rumore fastidioso gli penetrò i timpani e sbuffando, dopo essersi portato il cuscino blu del divano alle orecchie, si alzò frastornato. Era il campanello, Max era arrivato.

Nell’alzarsi, con gli occhi ancora semi chiusi, si accorse di aver passato la notte in salotto. La madre, svegliatasi poi dopo poche ore nel cuore della notte, aveva deciso di non disturbarlo e di prepararsi in silenzio per andare al lavoro, dove l’attendeva il consueto turno massacrante.

Erano le sette e mezzo in punto e dalla piccola finestra vicino all’ingresso, i raggi del sole entravano timidi.

«Puntuale come un orologio» disse Jack assonnato aprendo la porta.

«Ciao anche a te, allora che facciamo andiamo in periferia?» il paffuto amico, fresco come una rosa, entrò gettandosi sul divano sorridente.

«Certo che andiamo, devo solo preparami.»

Il giovane salì le scale e si chiuse in bagno uscendone dopo pochi minuti, con la faccia ancora bagnata. L’acqua fresca del rubinetto non aveva quasi mai gli effetti sperati, lasciandolo ugualmente stordito almeno per le prime due ore da quando apriva costantemente controvoglia gli occhi.

I vestiti erano ancora dove li aveva lasciati la sera prima, arrotolati sulla sedia.

Quando scese le scale, Max era ancora sul divano ma con un grosso panino tra le mani.

«Sono neanche le otto e sei già lì che mangi, guarda che prima o poi esplodi» disse Jack grattandosi la testa sbadigliando. Per lui era praticamente impossibile far colazione appena sveglio. Il semplice odore del cibo gli penetrava nelle narici fastidiosamente. Il suo maestro, un piccolo uomo orientale dal fisico impeccabile, insisteva, come d'altronde la madre, per fargli capire l’importanza di quel pasto.

“Abbiamo bisogno della nostra benzina anche il mattino. Dobbiamo aver cura del nostro corpo, esso è il tempio della nostra anima e preservarlo nelle migliori condizioni è un nostro dovere” ripeteva sempre l’uomo quando affrontavano il discorso. Jack, sollecitato vivacemente, ci aveva anche provato. I saggi consigli del maestro erano sempre presi alla lettera molto seriamente. Una mattina, convinto più che mai, provò a far colazione con una piccola tazza di latte accompagnata dai suoi cereali preferiti, quelli al cioccolato. Il tentativo, per quanto delizioso, fu un vero buco nell’acqua, portandolo subito ad avere una terribile nausea per l’intera giornata, passata poi con i crampi allo stomaco. Quella fu l’unica volta in cui provò e al posto di aiutarlo, aumentò il suo rifiuto verso il cibo mattutino.

L'amico, a differenza, già alle prime luci dell’alba divorava ogni cosa. Dai dolci ai cibi salati, senza distinzioni. Era un’autentica macchina divoratrice.

I due si guardarono per un secondo e poi scoppiarono a ridere allegramente.

Usciti di casa, Jack si guardò intorno con estrema attenzione. I fatti del giorno precedente erano ancora ben vivi nella sua mente.

«Cosa stai facendo? Aspetti qualcuno?» chiese Max inghiottendo l’ultimo pezzo del suo enorme panino al tacchino immerso nella maionese.

«No, tutto a posto», si limitò il giovane dando l’ultima occhiata. I due imboccarono la strada e si avviarono verso la piazza del mercato. L’aria del mattino, fresca e rigeneratrice, lentamente svegliò del tutto Jack che, con grande sollievo, si passò le mani tra i folti e ondulati capelli corvini. Arrivati nella piazza dove i mercanti avevano già montato le loro bancarelle, decisero di sedersi su una panchina sotto i portici del comune che faceva da sfondo alle attività commerciali quotidiane. Da lì potevano osservare, senza essere visti, la porta del palazzo dove, a detta del povero Miles, abitava il vecchio gobbo.

Vista l'ora, l’uomo non doveva ancora essere sceso. Intendevano aspettarlo, così da poterlo seguire nella speranza di riuscire a capire qualcosa di più sul suo conto.

Nonostante il sole avesse intrapreso già da tempo il suo viaggio verso ovest, del vecchio, nessuna traccia.

Max stava addentando il quinto panino quando la porta della palazzina vicino al bar si aprì lentamente.

Ne uscì una figura gobba e malandata, era lui.

L’uomo si guardò attorno analizzando bene la piazza e Jack, d’istinto, diede all'amico una leggera gomitata, forte al punto giusto per farlo rannicchiare. I due si nascosero velocemente dietro a una delle venti colonne che segnavano il perimetro della facciata principale del comune.

Il gobbo attraversò la piazza come un’ombra superando la meravigliosa fontana di marmo per poi raggiungere la parte opposta. Si guardò ancora intorno sospettoso e dopo essersi accertato che nessuno si fosse accorto della sua presenza, si avviò verso casa di Jack imboccando la strada che i due avevano percorso da neanche un paio d’ore. Il giovane non si stupì, ma venne scosso da dei brividi lungo la schiena.

Quell’uomo voleva qualcosa da sua madre, doveva saperne di più.

La speranza era che il sogno non si avverasse. Non credeva possibile una cosa del genere, era assurdo, ma la paura non ne voleva sapere e, aggressiva, gli strinse lo stomaco.

Per lui, il destino aveva altri piani.

I due ragazzi si gettarono veloci nella piazza rimanendo però sui lati, cercando così di non essere visti. La città era piccola e non volevano assolutamente che qualcuno li notasse. I loro genitori non dovevano sapere in nessun modo che entrambi avevano marinato la scuola. Sarebbe stato impossibile spiegare il motivo di quell’assenza e nessuno li avrebbe presi sul serio. Superato il mercato, rimanendo nascosti tra un cespuglio e l’altro, arrivarono in pochi minuti all’imbocco della strada che portava verso la sua abitazione. Lontano un centinaio di metri, la sagoma del vecchio.

Nel vederlo camminare così lentamente, Jack s'insospettì.

«È davvero inquietante, sai?».

Max buttò la carta del panino nel bidone dell’immondizia ripulendosi nervoso la bocca dalle briciole.

«Lo so amico, lo so!», si limitò Jack teso.

Non riusciva a pensare a niente. Le idee erano confuse, solo una cosa era chiara: seguire l’uomo.

I due riuscirono a non farsi vedere. Macchine e alberi, ottimi nascondigli.

Dopo una ventina di minuti, il vecchio raggiunse il vialetto della casa, attraversò la strada e si sedette sulla panchina di fronte all’abitazione. Il sole gli illuminò il viso rugoso inquietando ancor di più i pedinatori che, tesi come una corda di violino, continuarono a rimanere nascosti.

Accovacciati dietro a un grosso e argentato fuoristrada, pulito maniacalmente da un noto avvocato che spendeva il suo buon capitale in oggetti che neanche usava, i due si fissarono intensamente. Ma dopo qualche istante, si accorsero che da lì non potevano più muoversi.

L’uomo iniziò a guardarsi intorno freneticamente come se stesse aspettando qualcuno.

Quel qualcuno, sicuramente sua madre pensò Jack agitandosi ancor di più.

Guardò l'ora, erano le dieci passate e l'ormai caldo sole non era d'aiuto.

Jack continuò a spiare il vecchio attraverso i vetri del veicolo, non si era accorto della loro presenza, o così sembrava.

«Ho le gambe a pezzi, non riesco più a stare piegato» brontolò Max toccandosi i tondi polpacci. La sua resistenza fisica lasciava a desiderare ma non si poteva pretendere di più dal paffuto ragazzo. A differenza dell’amico e il fisico lo dimostrava, Max non aveva mai fatto nessuno sport se non alle elementari, quando, spinto da una voglia poi scomparsa definitivamente, si era iscritto nella squadra di rugby della scuola. Ma per quanto fosse portato, la svogliataggine aveva avuto il sopravvento, facendogli abbandonare così in pochi mesi l’unica esperienza sportiva.

«Lo so, ma se ci muoviamo adesso rischiamo di farci vedere», lo esortò Jack buttando l’occhio verso il vecchio appostato sul marciapiede opposto al loro.

Max si stravaccò per terra e dopo aver aperto lo zainetto, tirò fuori una merendina al cioccolato, le sue preferite.

«Ma come diavolo fai? Hai già mangiato cinque panini, quanto spazio c’è là dentro?», lo guardò a bocca aperta. Per quanto fossero cresciuti insieme, l’ingordigia dell’amico riusciva sempre a sorprenderlo.

«Dovresti saperlo, quando sono nervoso mangio, mi rilassa» rispose Max mordendo lo snack compiaciuto.

L’uomo era lì, impegnato a osservare tutto quel che succedeva intorno a lui.

La giornata era ancora lunga.

Passata un’altra mezzora, nella quale per fortuna Max non addentò più nulla, qualcuno si avvicinò a loro di soppiatto.

«Cosa state facendo vicino alla mia macchina?», li rimproverò sospettosa una signora di mezza età uscita da un portoncino a pochi passi da loro.

I due, presi alle spalle, si voltarono di scatto. Nei loro occhi, il terrore.

Era la vicina di casa, moglie dell’avvocato più importante della città, una donna sulla cinquantina dai lunghi capelli tinti di un biondo cenere e che tirata nel suo abito nero, troppo corto per la sua età, li guardava malamente. Le voci che giravano sulla signora tra i pettegoli più accaniti la descrivevano come una ricca casalinga tremendamente annoiata e dal carattere irascibile.

«Non pensi male, signora Donley. Ho perso le chiavi di casa e stavo guardando se erano finite sotto le ruote del suo meraviglioso fuoristrada», si affrettò Jack sudando freddo.

«Beh, penso che tu non le abbia trovate sotto la macchina di mio marito. Ora spostatevi, devo andare via!», terminò scorbutica la donna visibilmente infastidita.

Jack sapeva che se si fossero alzati in quel momento, il gobbo li avrebbe visti.

Ma in quel preciso istante, la fortuna li aiutò. All’angolo opposto, in fondo alla via che portava all'ospedale, due macchine si urtarono lievemente attirando così l’attenzione dell’uomo.

«Ci scusi signora Donley», si affrettò Jack afferrando l'amico per il braccio per poi trascinarlo velocemente dietro ai bidoni dell’immondizia poco più indietro. Sotto lo sguardo stupito della moglie dell'avvocato, i due finsero nuovamente la loro ricerca accentuando vistosamente i movimenti in una scenetta poco credibile.

Con un'ultima e sottile occhiataccia rimproverante, la donna salì sulla sua fiammante auto andandosene insospettita.

Ci furono diversi minuti di confusione nella via. I due proprietari delle vetture, scesi entrambi di corsa per assicurarsi che le proprie auto non si fossero danneggiate, avevano iniziato a insultarsi fortemente attirando così i curiosi nelle vicinanze che, come avvoltoi, si erano accalcati ormai tutt'intorno per godersi al meglio la scena.

Jack, agitato, non riuscì a vedere un posto dove potersi nuovamente nascondere.

Sapeva che se si fosse fatto vedere il vecchio se ne sarebbe andato e questo non doveva assolutamente succedere.

Nel frattempo, le sirene della polizia locale riecheggiarono fortemente preannunciando cosi l'arrivo della volante.

Era la pattuglia che vigilava nella piazza del mercato e che in pochi minuti, chiamata da qualche passante ficcanaso, aveva raggiunto il luogo del piccolo incidente. Un grosso fuoristrada nero, uscito dal proprio garage senza guardare, era stato tamponato sul fianco da una vecchia utilitaria verde metallizzato. La volante si arrestò davanti ai due che, appena visti gli agenti, si bloccarono all’istante continuando comunque a guardarsi in cagnesco.

I poliziotti, due uomini dall'aria addormentata, scesero dall'auto con un’espressione scocciata stampata sui loro volti.

Jack riconobbe l’agente Mirtin, padre del montato Flin Mirtin, suo compagno di classe.

La polizia del paese, cosa ormai risaputa, non era delle più affidabili. Il sindaco aveva assegnato il compito a delle persone non qualificate e di sua conoscenza. Nessuno però aveva mai fatto domande o presentato reclami. Si sapeva che in una piccola cittadina come Sentils l’appoggio del sindaco poteva essere veramente utile, sia per fare carriera che per la vita di tutti i giorni.

L’unica cosa che gli abitanti non volevano era avercelo contro. L’uomo, un signore paffuto sulla sessantina, era ben rispettato e da sotto i suoi curati baffi neri, si assicurava da tempo indefinito il bene dei suoi cittadini, giovandone personalmente in molte occasioni.

I poliziotti calmarono gli spiriti dei due uomini e li invitarono a risalire sulle loro vetture senza fare ulteriori storie. Le persone accorse si dispersero in pochi secondi ritornando così alle proprie attività quotidiane. Lo spettacolo giornaliero ormai era finito.

Il vecchio, dopo aver assistito impassibile alla scena, si voltò di scatto nella loro direzione scrutando con attenzione l'ambiente circostante.

Jack sussultò. Quel movimento, così rapido quanto innaturale per un signore di quell'età, gli impose di trovare un nascondiglio migliore.

La marmaglia che aveva assistito alla scena ormai stava risalendo la via, entro pochi secondi sarebbe passata proprio accanto a loro. Quasi tutti erano diretti nella piazza del mercato e occupavano buona parte della strada.

A Sentils, c’erano più pedoni che automobili. Lì, i mezzi più usati erano la bicicletta e il cavallo e, quest’ultimo, solo più in periferia. Essendo piccolo, il paese attirava ogni anno sempre più turisti, attratti dai bellissimi boschi e dai verdi campi dove chiunque poteva godersi un po’ di sana e meritata tranquillità. Alcune delle fattorie più grosse ospitavano diversi cavalli con cui riuscivano a guadagnare, durante le festività, ottime somme di denaro organizzando escursioni nelle vallate circostanti o portando in giro per la città i turisti a bordo di semplici e rudi carrozze che rievocavano in loro quel sapore tipico che solo la campagna poteva regalare.

Erano sempre più vicini.

«Perché non ci mischiamo tra la folla e raggiungiamo quel muretto?» consigliò Max svaccandosi nuovamente a terra.

«Ma sei un genio amico mio, un genio!», lo abbracciò Jack sorridendogli fortemente. Non ci aveva pensato perché fino a pochi minuti prima, a coprire quel nascondiglio, c’era un enorme camion di merci.

I due aspettarono che la folla fosse più vicina e, usandola come scudo, attraversarono la strada zigzagando tra la gente e raggiungendo così il muretto che costeggiava il piccolo giardinetto pubblico. Quello, un ottimo nascondiglio. Da lì, potevano osservare il vecchio senza essere visti se non con una sua completa e impossibile torsione del collo.

Ormai erano quasi le undici, orario in cui la madre, il giovedì, tornava a casa giusto per la pausa di un paio d’ore per poi schizzare nuovamente in reparto.

Pensando alla donna, Jack tremò. Se l'avesse scoperto nuovamente a saltare la scuola, questa volta la punizione sarebbe stata esemplare.

In lontananza, dall’altra parte della via che portava nella zona dei negozi e dell’ospedale, apparve la figura della madre che, a passo lento e stanco, stava raggiungendo la propria abitazione con due grosse buste della spesa tra le mani. Nel vederla così vicino a quell’individuo, con solo la stretta strada a dividerli l’uno dall’altra, il ragazzo si bloccò assalito dalla paura.

La donna, esausta, raggiunse il vialetto di casa per poi sparire tra il verde del suo giardino. A render diversa quell'abitudinaria cornice di normalità, l'ambigua presenza del vecchio dalla pelle rugosa.

Poi, un pensiero gli balenò in mente.

“Quella strega della Lort avrà sicuramente chiamato mia madre.” imprecò arrabbiato. Quella vecchia megera non aspettava altro, ne era sicuro. Ma ora, c’era qualcosa di più importante a cui pensare.

L’uomo aspettò che la donna fosse entrata e, dopo aver riattraversato la strada, si fermò davanti alla casa di Jack. La analizzò per una manciata di secondi e si avviò verso la piazza del mercato con le mani immerse nelle tasche del suo impermeabile beige. Il giovane prese velocemente la testa dell’amico e la nascose dietro il muretto con il cuore a mille. Dall’altro marciapiede, per il vecchio sarebbe stato facile accorgersi di loro. Dopo una decina di secondi, l’uomo passò a pochi metri dal nascondiglio e continuò il cammino diritto verso la piazza.

«Per fortuna non si è accorto di noi», sorrise Max sollevato.

«Ora dobbiamo vedere dove va!», si affrettò Jack.

A differenza dell'andata, l'uomo presentò un'andatura più rapida, raggiungendo così l'affollato mercato in poco tempo.

Attraversò la piazza passando tra le bancarelle e giunse davanti al portoncino vicino al bar. Inaspettatamente, si fermò di colpo.

I suoi sottili occhi scrutarono meticolosamente la zona circostante e dopo alcuni interminabili secondi, nei quali i due si nascosero dietro a un banco della frutta, l'uomo scomparve all’interno del palazzo.

«Max, tu resta qui, io vado alla fattoria! Se mai dovesse uscire di casa, seguilo rimanendogli distante e se vedi che si dirige verso il bosco della periferia, chiamami immediatamente sul cellulare!» gli ordinò Jack agitato. Aveva paura, ma doveva andare. «Non ti preoccupare, fidati di me! Sarò la sua ombra», gli strizzò l’occhio Max continuando a farfugliare altre promesse, immerso pienamente nella parte. «Mi raccomando, fai attenzione. Quell’uomo non mi piace, magari ha dei complici che ti attendono e se fosse così, saresti veramente in pericolo» continuò preoccupato.

«Hai bisogno di un’arma!», volò con la fantasia.

«Calmati, so badare a me stesso», si limitò il ragazzo poggiandogli una mano sulla spalla per tranquillizzarlo.

Jack si avviò velocemente verso la fattoria salutando l’amico. Non sapeva che, dietro le tendine della finestra del palazzo sopra il bar, un’ombra lo stava spiando.

Lo Spirito Del Fuoco

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