Читать книгу Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio - Страница 16
14
Оглавление«Guarda dove vai!» urlò adirato un individuo incappucciato scostandosi goffamente.
«Mi scusi», si affrettò Santos fermando di colpo i cavalli con un'energica tirata delle briglie.
Il diverbio e il brusco arresto, lo svegliarono di soprassalto. Ancora con gli occhi pesanti, Jack si voltò verso il suo maestro.
«Tranquillo, va tutto bene», lo tranquillizzò l'astro poggiandogli un mano sulla spalla.
Dopo un lungo sbadiglio e un contorto allungamento delle braccia, il giovane si riprese dallo scomodo riposo.
Davanti a lui, fra i palazzi, alte mura tagliavano la città.
«Siamo arrivati nel quarto distretto. D'ora in poi, stai attento e non parlare con nessuno.», si premunì Santos ordinando nuovamente ai due piccoli cavalli di riprendere la marcia.
Jack annuì rannicchiandosi nel suo asfissiante mantello.
Per quanto gli avesse provocato un fastidioso mal di schiena, il riposo lo aveva rigenerato. In un miscuglio di ansia e curiosità, sospirò profondamente.
«Fammi spazio giovanotto!», lo spintonò Boris arrampicandosi sulla sua ruvida cappa.
«È meglio che stia nell’ombra anche io», così dicendo, si riposizionò nella tasca interna strizzandogli l’occhio in segno di complicità.
A pochi metri, un grosso arco univa le due spesse mura permettendo così il passaggio ai numerosi e quotidiani visitatori.
Alte una decina di metri, segnavano il confine tra i distretti abitati dalle ninfe e quelli del mercato. La chiave di volta raffigurava, scolpita nella roccia, una grossa testa di leone, simbolo che da sempre accompagnava i mercanti di Abram. Dal centro dell’arco, accoglieva con le fauci spalancate gli stranieri mettendoli in guardia su quel che potevano trovare all’interno. Con i mercanti di Fati, di certo non c’era da scherzare. Provenienti da antiche discendenze di commercianti, i cento fondatori avevano costruito la città con determinazione difendendola da ogni pericolo e allontanando gli ospiti indesiderati armi alla mano. Ottimi venditori, abili truffatori e criminali incalliti, questi erano i profili dei padroni della città.
Superate le mura, tutto mutò improvvisamente.
Su entrambi i lati del viale, lunghe file di bancarelle apparvero a perdita d'occhio in uno sfondo caratteristico e caotico.
Mercanti dai più strani lineamenti urlavano elogiando le proprie merci nel tentativo di attirare nuovi clienti con ogni stratagemma. Dalle deserte e strette vie dei distretti delle ninfe, in pochi metri, i tre compagni si ritrovarono in un ingorgo d'individui inimmaginabile.
Jack, con i timpani doloranti a causa dell'assordante vociare e con il naso tappato dall'aria pesante mista a sabbia, si sentì immediatamente mancare.
Con gli occhi frenetici e pieni di immagini, si voltò verso l'arco confuso fortemente.
Prima di attraversarlo, aveva solo visto un lungo viale totalmente deserto e ritrovarsi in quel caos lo aveva lasciato senza parole.
«Magia delle ninfe» gli spiegò Boris vedendolo in quello stato.
«Non hai da preoccuparti, non stai avendo delle allucinazioni. Incantesimo di occultamento allo stato puro. Grazie a esso, i confini tra i distretti rimangono costantemente tranquilli e le ninfe, abituate a una vita tranquilla, non risentono dell'immane frastuono dei mercati».
Nel ricevere quelle informazioni, Jack si tranquillizzò rasserenato. La sua mente stava bene e quelle che credeva fossero allucinazioni, fortunatamente, non lo erano. Ma il suo malessere non svanì del tutto. Di suo, aveva sempre odiato i posti affollati e in primo luogo i mercati. Non tanto per quel che c’era al loro interno ma per la moltitudine di persone che li frequentavano, rendendo il cammino una vera e propria agonia.
Fin da piccolo, dopo le prime esperienze in compagnia della madre, aveva mostrato una scarsa resistenza in quei luoghi portando così la donna a scegliere, a malincuore, di lasciarlo a casa ogni volta che lei ci andava.
Questa volta però davanti a lui non c'erano le poche bancarelle del mercato di Sentils ma una vera e propria città. Una città costruita con il solo e unico scopo di vendere.
Nonostante il suo forte disagio, anche il mercato lo lasciò senza parole. Splendenti e lussuosi palazzi, appartenenti ai mercanti fondatori, si ergevano tra le catapecchie che regnavano in ogni direzione. Non c’era una distinzione tra le zone povere e quelle residenziali, sintomo dello stesso stile di vita di tutti gli abitanti della metropoli.
Il piccolo calesse proseguì a fatica nel traffico e vicolo dopo vicolo, Jack ne rimase sempre più affascinato. Nani, elfi e altre creature che non sapeva identificare erano impegnate a contrattare ogni tipo di merce.
Alla sua sinistra, su una piccola bancarella gestita da due giovani elfi, vide numerose ampolle contenenti svariati animali immersi in liquidi dai colori più strambi. Provò, senza riuscirci, a immaginarsi l’utilità di quelle strane fialette tanto affascinanti quanto macabre. Insetti, ratti, pesci e altri animali a lui sconosciuti erano lì, privi di vita, galleggianti nei colorati fluidi chissà per quale strano motivo.
Poco più avanti, su un’enorme bancarella di un grosso e vecchio nano, un’infinità di armi poggiavano le une sulle altre sopra a vecchi e sporchi pezzi di stoffa. Asce, pugnali, coltelli, archi, lance, balestre, mazze chiodate e armature dalle diverse misure ne facevano un vero e proprio arsenale in grado di armare un centinaio se non più di soldati.
Il grosso e basso mercante urlava elogiando l’affidabilità e la qualità delle proprie armi, impegnato ad affilarne una contro un’apposita pietra circolare messa in moto da uno strano strumento a pedali.
Con gli occhi arrossati a causa della polvere alzata dalle migliaia di stivali in movimento, Jack si strofinò fortemente il viso da sopra la rete del mantello, andando così a peggiorarne il fastidio.
Quel cambiamento, così improvviso quanto eccitante, lo stava travolgendo ogni secondo di più alternando in lui diverse sensazioni. L'intenso e inebriante profumo di fiori dei primi tre distretti aveva abbandonato le sue narici ormai sature dei forti fetori presenti. Muffa, sudore, escrementi e altre orribili e sconosciute esalazioni non gli davano tregua e nonostante l'immensa meraviglia, un forte conato lo contorse sul piccolo e scomodo sedile.
«Profumo del mercato, caro mio!», scoppiò a ridere da sotto il mantello il barbuto folletto abituato, come l'astro, a quei nauseabondi fetori.
Nell'assistere alla scena, Santos si lasciò scappare un leggero sorriso felice di avere al suo fianco il piccolo amico.
Forse, tutto sarebbe andato nel migliore dei modi e nel vedere Boris così spensierato, capì che, nonostante la situazione, ridere non poteva di certo peggiorarla ma, al contrario, renderla più piacevole.
Per sfuggire a quell'insopportabile tanfo, Jack si strinse il cappuccio sul viso nel tentativo di filtrare il più possibile l’aria circostante. Con il passare dei minuti, capì che non tutti gli odori poi erano così cattivi. Alcuni, nuovi per le sue narici, si dimostrarono addirittura piacevoli donandogli così piccoli sprazzi di tregua.
«Hooo…», fermò di colpo il carro il suo maestro.
«Ho una faccenda da sbrigare, restate qui sul carro e non muovetevi per nessuna ragione.» ordinò l’astro scendendo dal calesse con agilità.
Jack, stupito da quell'improvvisa fermata, annuì da sotto il cappuccio, ben attento a tenerselo stretto sul viso.
«Tranquillo, è con me!» gli rispose di petto Boris sbucando leggermente dal mantello.
«Ed è per questo che mi preoccupo» urlò l'astro ormai avvolto dalla folla.
«Sfacciato che non sei altro!», s'infuriò il folletto strattonando i lembi rugosi della cappa.
Jack, nell’assistere all’ennesima scenetta, si lasciò scappare una lieve risata. Aumentò così la furia del piccolo re dell'Ovest, che paonazzo lo fissò seriamente.
«Ma chi si crede di essere?», continuò Boris offeso.
«Sono un re, non il primo scapestrato che gli si è parato davanti. Sono un re!».
Jack, nonostante il simpatico siparietto, smise di ascoltarlo. Nei suoi occhi, lo sguardo indecifrabile di Santos visto di sfuggita da sotto il cappuccio poco prima di essere inghiottito dal mare d'individui presenti.
Per quanto l’astro avesse provato a nasconderglielo, non era sfuggito. Qualcosa turbava il suo maestro, un qualcosa di intimo e profondo.
Tristezza?
Preoccupazione?
Non era riuscito a capirlo in uno sguardo così veloce e l'unica cosa che poteva fare era aspettare il suo ritorno.
Poi, nel mezzo della confusione, la sua attenzione si spostò su un acceso diverbio poco distante.
«Non scherzare, elfo, ne vale almeno il doppio!»
«Sono serio più che mai, nano! Nel mio pianeta costano quindici Pugni e se vuoi fregare qualcuno, di certo non sarò io!»
«Chiudi quella sporca bocca e apri le tue ridicole orecchie a punta: Brit non frega nessuno, hai capito, razza d’ignorante?»
«Non ti conviene alzare la voce, mercante, potresti ritrovarti con un pugnale conficcato nel collo senza accorgertene!» minacciò l'alto e mingherlino elfo portando la mano all'elsa legata in vita.
Di fronte a lui, quattro volte più largo e decisamente più basso, il nano lo fissò in cagnesco impugnando con sicurezza un'accetta dai bordi affilati.
«Non cambieranno mai… Zoticoni!», si lamentò Boris infastidito.
Ne aveva per tutti, sempre.
«Tieniti pure la tua merce, ladro di un mercante!» urlò infine l’elfo andandosene adirato. Il nano restò immobile e rosso dalla collera.
«Mantelli, mantelli signori! Ottimi mantelli di ogni taglia e per qualsiasi esigenza!» urlò improvvisamente un grosso e muscoloso individuo dal viso ricoperto da strani tatuaggi.
Jack, senza accorgersene, si voltò nella sua direzione. Nel vederlo, socchiuse gli occhi incredulo cercando di metterlo a fuoco nel migliore dei modi.
«È un umano?» chiese stupito.
«Quell'irresponsabile allora non ti ha detto proprio nulla!», scosse il capo Boris nell'ennesima predica.
«Mi ha parlato della Grande Guerra, di Marmorn e dell’esclusione della Terra dalla Grande Costellazione»
«Abbassa la voce… sciocco!», lo rimproverò l'amico cambiando subito espressione.
Nel vederlo così serio, Jack si portò le mani alla bocca spaventato.
Cosa mai aveva detto di così grave?
«Dovunque sarai e con chiunque mai parlerai, tieniti per te queste informazioni. E come cosa più importante, prima di ogni altra cosa non pronunciare più il nome del Re Nero! Hai capito bene?».
Jack, stupito da quella reazione, annuì sentendosi in colpa.
«Da molti anni ormai non se ne parla più. La gente vuole dimenticare, vivere in pace.»
«Anche sulla Terra ci sono state numerose e violente guerre con migliaia di caduti». Sospirò il terrestre, cercando di trovare le parole migliori. Con un filo di voce riprese.
«Ma tutte le nuove generazioni le studiano, leggono delle atrocità commesse in passato dai propri simili e non lo fanno per non vivere in pace ma per non dimenticare, per far sì che nessun altro ripercorra le strade di quegli assassini. Le si studia per ricordare e onorare i soldati morti in battaglia. Dimenticare vorrebbe dire infangare la memoria delle vittime che con coraggio hanno sacrificato la propria vita per salvare quella degli altri. Ti sembra giusto?», terminò non accorgendosi del tono di voce sempre più alto.
La pronta risposta di Boris morì tra le sue piccole labbra e, fissandolo diritto negli occhi, si bloccò.
Quelle parole lo avevano spiazzato. Il discorso del giovane aveva una logica, un forte senso di responsabilità e di orgoglio. Nei nove mondi però la mentalità era ben diversa.
«Qui funziona in un altro modo, ragazzo!», provò a ricomporsi.
«Dopo la fine della guerra, gli antichi saggi hanno avviato questa politica cercando di nascondere, generazione dopo generazione, i ricordi atroci e violenti di quei terribili anni».
Entrambe le ideologie alla fine avevano un senso e continuare il discorso sarebbe stato inutile.
I due si guardarono per un istante, segno del reciproco rispetto. Boris, con il corpo nascosto nella tasca interna del mantello, annuì con il capo lasciando sbucare di pochi centimetri il suo piccolo cappello verdastro a punta, dal quale non si separava mai.
«Comunque c’è altro che è meglio tu sappia, ragazzo!».
Curioso, Jack abbassò la testa verso di lui.
«Come già sai, i superstiti dell’armata umana, dopo la sconfitta del loro re, furono esiliati sulla Terra ed esclusi dalla Grande Costellazione privi di ogni ricordo. Quando Marmorn…», bisbigliò coprendosi le labbra con la mano, «… Quando il Re Nero venne sconfitto, Astor, il salvatore, oltre a provare pietà per lui la provò per l’intero genere umano».
Jack ascoltava immobile, estraniatosi ormai dalla confusione che li circondava.
«Sigillò il Re Nero nelle viscere della Terra e, grazie all’aiuto congiunto dei maghi e delle sacerdotesse più potenti, riuscì a cancellare le memorie delle guerre da loro combattute e ogni altro ricordo legato alla loro vita passata. Fu un forte e coraggioso atto di clemenza. I libri antichi raccontano di un discorso fatto da Astor in persona in cui giustifica la sua scelta affermando che non era giusto sterminare un’intera razza per colpa di chi aveva tradito la Costellazione. Ci furono accesi dibattiti ma poi si accettò il volere del re di Tio».
Boris era nato per parlare e intrattenere su di sé le attenzioni. Forse, pensò il giovane, era proprio grazie a questa sua innata dote che era riuscito a diventare re dei folletti delle terre dell’Ovest.
«Per voi fu un nuovo inizio. Ripartiste dalle origini, privi di memorie e di conoscenze. Fu una scelta quasi obbligata riportarvi agli albori. Le antiche sacerdotesse erano convinte che, ripartendo da zero, per la vostra specie ci sarebbe stata la possibilità di svilupparsi in un modo completamente diverso, giovando così dell’esilio a cui eravate ormai condannati non risentendone in alcun modo».
Il folletto si fermò un istante, deglutendo con fatica. Gli capitava spesso di dilungarsi nei discorsi senza accorgersene e di arrivare poi ad avere la bocca secca e la gola infiammata. Questo però non era un discorso qualunque e Zeno doveva sapere ogni cosa.
«Da lì nasce la vostra storia. Ben lontana comunque dalla verità!».
Nel risentire quel racconto, ma decisamente più accurato e ricco di dettagli, Jack non riuscì a capacitarsene.
Nel primo incontro con Santos, quando l’astro aveva provato a raccontargli ogni cosa, molte delle parole neanche le aveva sentite, vittima della paura.
Forse, neanche in quel preciso istante le aveva capite a fondo, ma pensare che il mondo nel quale era nato e cresciuto si fondava su informazioni completamente errate lo bloccò facendolo tremare.
Villaggi, città e Stati erano nati guerra dopo guerra. Per rivendicare i propri ideali religiosi si aveva da sempre ucciso e sterminato senza alcuna pietà. Il tutto, per convinzioni false e lontane dalla realtà.
Cosa sarebbe successo se il mondo avesse appreso la verità sulle sue origini? Le religioni e i loro esponenti che fine avrebbero fatto?
Sarebbe stato il caos più assoluto o sarebbe iniziata una nuova era di pace e prosperità?
Nel pensare alla Terra, a com'era e agli ideali di ricchezza e materialità sui quali si basava la società, rabbrividì. L'inquinamento costante e fuori controllo, i soprusi, la povertà e le guerre ormai combattute nell'ombra avrebbero contagiato i nove mondi? Sarebbero scoppiate nuove guerre tra i terrestri e gli “alieni”?
Quelle, domande troppo pesanti a cui rispondere. Forse, era giusto così, la Terra ai terrestri e la Grande Costellazione ai suoi abitanti.
«Non fare quella faccia, giovanotto!», provò a tirarlo su il folletto vedendolo in quello stato.
Jack sospirò mandando giù quelle preoccupazioni. Non era il caso.
«Quello non è un umano!», riprese il piccolo pozzo di informazioni.
«Nel grande esilio, non furono coinvolti gli incrociati».
Il ragazzo, quasi avesse realmente dimenticato i suoi pensieri, sgranò gli occhi colpito da quelle parole.
«Sono gli individui nati dall’amore di genitori di razze diverse. Un tempo era vista come una cosa normale ma, con il passare degli anni, venne considerato un atto impuro, un comportamento che avrebbe portato alla scomparsa delle razze originali. Per preservare le specie, le unioni miste vennero proibite dalla legge».
Non si pronunciò, attratto più che mai da quella contorta quanto affascinante spiegazione.
Per quanto reale, non riusciva ancora a capacitarsi pienamente di quel che gli stava succedendo.
«Queste leggi entrarono in vigore dopo la Grande Guerra. Furono troppi i caduti e per preservare le diverse razze, l’unica soluzione fu quella. Si dovevano stabilizzare le popolazioni e come ti dicevo, all’esilio non parteciparono gli incrociati umani. Fu un rischio certo, ma i saggi dell’epoca ebbero clemenza per i mezzi uomini. Sapevano che, con il passare delle generazioni, i geni della vostra razza sarebbero scomparsi».
Boris era un’autentica enciclopedia.
«Quel mercante, che tanto assomiglia ed effettivamente ricorda un tuo simile, avrà come lontanissimo parente l’incrocio originale, il frutto dell’amore tra un umano e chissà quale altra razza».
«Mantelli, mantelli di ottima qualità provenienti da tutti i mondi», continuò l'individuo rivolto verso un passante a pochi metri da loro.
Jack non riusciva a credere a quel che gli stava raccontando il piccolo compagno di viaggio.
Da sempre, sulla Terra si parlava di alieni e di altri mondi abitati, ma si sapeva che era pura fantascienza. Una chimera che gli scienziati cercavano in ogni modo di raggiungere.
La ricerca di altre forme di vita, la consapevolezza di non essere gli unici ad abitare la galassia di certo non era errata e quel richiamo costante e irraggiungibile, che dagli albori aveva accompagnato il genere umano, forse era il frutto dell'esilio dal quale tutto poi aveva avuto nuovamente inizio.
«Quei simboli che vedi sul suo viso, e che sono anche presenti sulle mani e sulle gambe, sono segni che contraddistinguono gli incrociati umani e tutti i loro discendenti».
Concluse Boris cercando riposo per le sue piccole mascelle.
Sulla fronte del mercante, diversi pallini neri allineati correvano da una tempia all’altra. Sui polsi, gli stessi simboli si chiudevano come bracciali, dandogli così un tono misterioso.
Gli aveva detto tutto, ora anche il salvatore conosceva la storia sul suo mondo e sui restanti nove. Nel vedere l’espressione perplessa del suo interlocutore, Boris precisò:
«Quando tutto finì, i maghi e le sacerdotesse più potenti fecero un incantesimo marchiando così a vista le discendenze umane. Il fine fu quello di non perderle mai di vista e di riconoscerle sempre. Questa è la croce che portano i discendenti della tua razza. Il marchio della debolezza e della violenza»
«Non bastava semplicemente cancellare a tutti la memoria senza doverli esiliare?». Jack non capiva, quello che la sua razza aveva subito per colpa di Marmorn era umiliante e doloroso.
Boris scosse il capo.
«Ragazzo, la decisione di Astor, per quanto difficile, fu molto saggia. Non devo certo ricordarti che il Re Nero era un umano. Non poteva rischiare in alcun modo che altri della stessa razza ripercorressero il suo cammino. La Grande Costellazione non poteva reggere una seconda guerra. L’esilio completo fu l’unica soluzione. In ballo c’erano le vite degli abitanti dei nove pianeti, un rischio troppo alto da non sottovalutare in alcun modo. Come prova della purezza del suo cuore, Astor diede clemenza e speranza agli incrociati, confidando nella forza del sangue delle altre razze dalle quali erano nati.
Così, permise loro di continuare a vivere nei nove mondi, con la speranza che i difetti delle vostre genti scomparissero nel corso delle generazioni».
Era difficile per un sedicenne comprendere pienamente quelle scelte. Sapeva dell’immenso dolore provocato da Marmorn ma, nel pensare a tutti gli innocenti costretti a pagare per delle colpe non loro, gli si strinse il cuore.
Boris capì pienamente come si potesse sentire. Era la sua razza e sapere la verità sull’esilio e sui marchi non doveva essere di certo facile.
«Purtroppo Jack, anche se sono sicuro che la Terra sia piena di bravissime persone, la vostra è una delle razze più crudeli e corrotte. Siete deboli e facilmente abbracciate la via del male», terminò cupo il folletto.
Doveva fargli capire pienamente.
Quello, l'unico modo per dargli tutte le basi e la consapevolezza per compiere il proprio destino.
«Se fosse così per tutti, dammi una valida ragione per la quale lo spirito del vostro dio ha scelto me» rispose nervoso Jack, senza accorgersene.
«Questa, caro mio, è una domanda a cui purtroppo non so rispondere».
Per quanto fosse informato e preparato su migliaia di cose, Boris non aveva alcuna frase, nessuna informazione valida da potergli fornire. Con lo sguardo rivolto verso il mare di folla, sospirò pensieroso.
Se l'era chiesto più e più volte da quando era venuto a conoscenza dei fatti, ma quello era un mistero che solo il tempo avrebbe potuto chiarire.
Improvvisamente, dopo una decina di minuti nei quali entrambi rimasero in silenzio prede dei loro pensieri, tutto iniziò spaventosamente a tremare.
Colto alla sprovvista, Jack si guardò intorno. A parte lui, nessuno sembrò minimamente turbato dalle forti scosse.
«Boris!», lo chiamò preoccupato.
Nello sbucare nuovamente dal mantello, il folletto non si pronunciò fingendo una calma ben lontana dalla verità.
Erano anni che non tornava a Fati e, nonostante la forte preoccupazione, decise di non spaventare ulteriormente il giovane, conscio della tranquillità delle persone intorno a loro.
«Tranquillo, non hai da preoccuparti!».
A seguito di quella finta rassicurazione, un grosso palco di chissà quale animale cadde da una bancarella alla loro sinistra seguito poi dalle molteplici armi poggiate su quella dell'irascibile nano e dai numerosi vasi dei terrazzi circostanti. Il tutto, senza preoccupare minimamente i presenti che, con estrema abilità, schivavano ogni oggetto cadente, continuando comunque a svolgere le proprie faccende.
Che fossero solo allucinazioni frutto della sua ormai debole mente?
Jack provò a scuotere il capo, a strizzare con decisione gli occhi e a massaggiarsi le tempie senza successo.
«Che succede, Boris?» domandò sempre più agitato.
Il folletto non ebbe il tempo di pensare a cosa dire che tutto fu chiaro.
In lontananza, dalla folla, due grandi corni bianchi emersero con decisione e, nel vederli dirigersi verso di loro, il giovane trasalì.
Poi, dopo alcuni secondi, quello che gli si presentò davanti agli occhi lo lasciò a bocca aperta.
Alti più di quattro metri e larghi come tir, due imponenti rinoceronti avanzavano lenti nella via principale. Magnifici e possenti, i due animali procedevano lungo la strada. I lunghi corni affilati dondolavano a destra e sinistra al ritmo dei loro apatici e pesanti passi. La pelle, grigia e ruvida, sembrava scolpita nella roccia. Nessuno, a parte Jack, sembrò però interessato.
Quattro individui, avvolti in lunghi mantelli gialli ocra e dalle sfumature arancioni brillanti, camminavano ai due lati, scortandoli e indirizzandone il percorso, armati di lunghe e affilate lance. Alle caviglie delle due creature, grosse catene in ferro dagli anelli arrugginiti andavano via via rimpicciolendosi terminando poi nelle mani libere degli uomini incappucciati.
«Rinoceronti delle montagne!» spiegò Boris una volta identificati.
Era la prima volta che ne vedeva uno dal vivo. Conosciuti solo di fama, vederne due in un colpo solo fu una sorpresa e un piacere non da poco.
Nel sentire la tranquillità di quelle parole, Jack si calmò riuscendo così a godersi quell'insolito spettacolo.
Rapiti entrambi da quella visione, i due non si accorsero del continuo e veloce avvicinarsi delle due creature e dopo alcuni minuti, le loro fattezze furono decisamente ben visibili.
«Poveri animali…», Jack ne percepì, essendo a quanto pare l'unico, la chiara sofferenza provata. Con gli occhi spenti, quasi assenti, i due rinoceronti avanzavano in modo meccanico, consci di non avere altra scelta se non quella di ubbidire ai comandi imposti dai loro guardiani.
«Ragazzo mio, il mercato degli animali è uno dei più corrotti e cospicui che ci siano. Fati ne è il fulcro da anni ormai.» spiegò il folletto stupendosi della profondità delle parole del sedicenne. Si sentì in imbarazzo nel non essere stato lui a pronunciarle. Doveva essere una saggia guida e, scoprendosi solo estasiato, scosse il capo ritrovando il proprio buonsenso per un attimo smarrito.
La terra iniziò a tremare ancor più forte coinvolgendo così inevitabilmente il piccolo carro. Sotto le forti scosse, cominciò a cigolare.
In quell'istante, gli occhi di Jack si posarono sul piccolo amico, consci dell'imminente pericolo.
Dovevano spostarsi al più presto.
«Ti conviene spostare il carro se non vuoi essere schiacciato, straniero!» suggerì una dura voce da una bancarella alle sue spalle.
Nel sentirla, il giovane tremò.
Santos era stato chiaro, non dovevano in alcun modo muoversi da lì. In più, non aveva mai guidato un carro in vita sua.
Ricoperto in pochi secondi da un viscido alone di sudore, maledì il giorno in cui, durante una gita nelle campagne vicine a Sentils, aveva rifiutato, insieme a Max, di seguire le poche e basilari lezioni di equitazione. L’aveva fatto non tanto per il mancato interesse ma per indispettire quella vecchia megera della professoressa Lort.
Il ricordo di Max balenò nel momento meno opportuno, ampliando così il suo malessere. Se ci fosse stato l’amico al suo fianco, una soluzione l’avrebbero sicuramente trovata. Insieme erano imbattibili e le decine di vicissitudini affrontate negli anni ne erano la prova.
«Sei sordo, straniero? Così verrai travolto» gli urlò nuovamente il mercante alle sue spalle.
Qualcuno gli stava parlando. Qualcuno si era accorto di lui. La testa iniziò a girare, si sentì nudo, spoglio delle vesti e fragile come non mai. Doveva passare nell’ombra, senza che nessuno si accorgesse della sua presenza. Non aveva tempo per voltarsi e scappare, il suo corpo non ne voleva sapere.
Le due creature ormai li avevano raggiunti, distanti solo più pochi metri.
Le scosse, un vero e proprio terremoto.
Non aveva immaginato quanto grandi fossero realmente e ora, bloccato e in preda al panico, si trovava lì, sul quel piccolo quanto fragile carretto senza via d'uscita.
«Le redini, ragazzo, cosa aspetti?» urlò Boris paonazzo.
Doveva provarci, era l’unica soluzione. Davanti a lui, i due piccoli cavalli iniziarono a sbattere gli zoccoli al suolo muovendo freneticamente la coda.
Buttò fuori tutta l'aria presente nei polmoni e cercò inutilmente coraggio chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, afferrò le fragili redini in cuoio muovendole poi timidamente.
Quel gesto, tanto nevrotico quanto inutile, non provocò nessun effetto. L'agitazione aumentò.
«Dai ragazzi, partite…» balbettò non sapendo più che fare.
Intorno a lui, tutto continuava come se nulla fosse. Miriadi di individui passavano da ogni parte schivando il carro senza neanche degnarlo di uno sguardo, quasi fosse invisibile.
«Spostati da lì!» ripeté con decisione la voce alle sue spalle.
Non poteva arrendersi, doveva trovare una soluzione.
«Ce la posso fare!», così dicendo scosse nuovamente le redini con forza. Il risultato però fu il medesimo.
I due ronzini, per quanto agitati, non si mossero, rimanendo fermi davanti a lui nel duro sterrato.
«Ma è possibile che non vi accorgiate del pericolo, stupide bestie?», perse il controllo il giovane, urlando a perdifiato.
Improvvisamente, quasi avessero sentito e capito le sue parole, i due cavalli scattarono velocemente in avanti, rompendo così l’imbragatura che li teneva legati al carro per poi scappare veloci tra la folla, creando un leggero scompiglio.
Il piccolo e fragile calesse cadde al suolo vittima della gravità, facendo così capitolare Jack che cercando di atterrare in piedi, si slogò la caviglia destra rovinando poi con il viso sullo sterrato.
Stordito e paralizzato dalla paura, riuscì a vedere solo più una sagoma scura sormontarlo.
Era spacciato, ancora un passo e l’enorme zampa del rinoceronte lo avrebbe spappolato al suolo.
Boris urlava, imprigionato nella tasca del mantello.
Ma all'ultimo secondo, qualcuno afferrò con forza il giovane sollevandolo.
Intorno a lui, tutto si offuscò. Gli occhi, ricoperti dalla terra filtrata nella rete del cappuccio, rossi e quasi del tutto chiusi.
Dopo alcuni istanti, quando riuscì nuovamente a focalizzare le immagini, vide l'immensa zampa destra di uno dei due rinoceronti calpestare il loro piccolo carro, distruggendolo completamente.
Dotate di una scarsa vista, le creature non si accorsero minimamente del minuscolo ostacolo, continuando la loro lunga e lenta marcia.
Così com'erano apparsi, svanirono un centinaio di metri più avanti, svoltando in un altro grosso viale. Alle loro spalle, solo più i resti sbriciolati del calesse e delle loro ormai inutilizzabili provviste.
La folla, scostatasi leggermente, si rituffò nella strada ignorando l'accaduto come se nulla fosse. Quelle, le dure regole del Gran Mercato. In quel luogo corrotto, ognuno pensava a se stesso e per i visitatori disattenti, non c'erano seconde possibilità.
Nessuno, a parte il loro misterioso salvatore, si era fermato anche solo un istante per assistere o per capire quel che era successo.
Jack, ancora confuso e seduto al suolo, provò a guardarsi intorno. Non si era accorto di nulla.
L’urlo ai cavalli, la caduta, il dolore alla caviglia e poi quelle grosse mani che con forza lo avevano afferrato salvandogli la vita da una morte certa.
Nel ripensare alle serie di raccomandazioni del suo maestro, si sentì mancare.
Aveva disubbidito e anche se tutt'intorno apparentemente nessuno gli aveva prestato attenzione, il suo salvatore lo aveva fatto.
Agitato, si voltò velocemente con la paura che qualcuno lo avesse scoperto. Si portò frenetico le mani alla testa per accertarsi che il cappuccio non si fosse sfilato.
Con suo grande sollievo, la dura stoffa non si era mossa nella concitazione proteggendo così la sua identità.
«Hai rischiato grosso straniero!».
Quelle parole, un colpo al cuore.
Terribilmente spaventato, Jack si voltò lentamente.
Pochi passi più indietro, un enorme individuo dalla folta barba nera lo scrutava perplesso. Era il mercante che aveva dato vita alla lunga discussione con Boris e, dall'alto dei suoi due metri d'altezza, gli si avvicinò incuriosito.
«Non sei di queste parti, vero?».
Cosa poteva fare?
Il non rispondere non aveva provocato l'effetto sperato. Al posto di allontanare il suo interlocutore, lo aveva avvicinato ancor di più.
«Grazie…» balbettò chinando il capo con la paura di essere scoperto.
«Io sono Gult, è un piacere», continuò il mercante.
Il cappuccio che tanto lo soffocava e che aveva desiderato costantemente di strapparsi di dosso, improvvisamente sembrò trasparente.
Paralizzato, Jack si limitò in un lieve movimento del capo.
«Sei stato fortunato, in questa città nessuno dà retta a nessuno, a meno che tu non abbia qualcosa da vendere o sia intenzionato ad acquistare. In caso contrario, puoi anche morire nel bel mezzo della via senza che nessuno si fermi a soccorrerti.» gli urlò ridendo l’incrociato, alzando le spalle.
«Grazie mille…» replicò il ragazzo non trovando altro da dire.
«Siamo di poche parole, eh?».
Jack provò ad alzarsi. Doveva spostarsi, andarsene lontano dalla curiosità dell’individuo. Era pericoloso.
Non ebbe neanche il tempo di tirarsi su completamente che un forte dolore alla caviglia destra lo fece barcollare. Prima che potesse capitolare nuovamente al suolo, il mercante lo afferrò con destrezza.
«Appoggiati a me, straniero, qui intralci il passaggio.»
«Potrai stare dietro la mia bancarella fin quando non riuscirai a camminare meglio», concluse trascinandoselo e sorreggendolo da sotto le braccia.
Cosa voleva da lui quel possente sconosciuto?
Tutta quella gentilezza, fin troppo assurda per un luogo aspro come quello.
Stretto nelle possenti e muscolose braccia, Jack non riuscì a muoversi. Impotente, si ritrovò in pochi secondi dietro al grosso banco seduto su uno sgabello intagliato nel legno.
Riparata da un rudimentale gazebo a punta ricoperto da enormi teli dagli scuri colori, la bancarella presentò una protezione inaspettata e gradevole dalla confusione della strada.
Seduto, lo guardò attentamente da sotto la rete del cappuccio. Con due spalle possenti e un fisico muscoloso, gli sembrò un vero e proprio guerriero e i lunghi e lisci capelli brizzolati, stretti in una coda spartana, ne marcarono ancor di più i duri tratti.
Le basette, lunghe fino alle spalle, gli accarezzavano il collo, sul quale, minacciose, alcune vene pulsavano così energicamente che gli fu possibile vederle a occhio nudo.
Vestito con un semplice pantalone nero e una maglietta bianca dalle maniche strappate, l’individuo emanava forza da ogni poro. I grossi stivali di cuoio e le lunghe collane arricchirono di dettagli la figura a cui Jack lo aveva associato.
Ma a renderlo decisamente più minaccioso erano i simboli che gli ricoprivano la fronte e i polsi.
Per quanto affascinanti, erano l’etichetta con la quale Gult aveva avuto a che fare fin dalla nascita. Ovunque andasse, ancor prima di presentarsi o di conoscere qualcuno, le sue origini lo anticipavano creando così negli altri molteplici e svariate reazioni.
Nel ripensare al loro significato, il terrestre s'incupì provando a immaginare le difficoltà provate dal suo salvatore.
La vita di un incrociato umano doveva essere tutt’altro che facile.
Vendeva mantelli, numerosissimi mantelli dalle diverse tonalità. Alcuni erano rivestiti da splendide pellicce mentre altri, così fini da sembrare quasi finti.
Jack iniziò a far scorrere lo sguardo da un angolo all’altro della bancarella rapito dalle pregiate stoffe con le quali erano stati prodotti quegli indumenti.
«Mantello da ricognizione degli astri, li adoro!», commentò il mercante guardandolo stupito.
Subito non se ne era accorto ma ora che la situazione si era calmata lo aveva riconosciuto. I mantelli dei vari ordini, quelli usati dai guerrieri, erano i suoi preferiti.
«Dall’aspetto malconcio che ha devi aver girato in lungo e in largo nonostante la tua giovane età.», continuò sgranando gli occhi.
Quello, un modello difficile da trovare anche per lui.
«O più semplicemente lo hai comprato già ridotto così, o ancor più facile…», si fermò un istante.
«L’hai rubato», concluse serio.
Jack, ammutolito, si girò di scatto.
Oltre a quell'accusa, lo avevano colto alla sprovvista le parole riguardanti la sua età.
Aveva fatto trasparire un altro indizio sulla sua identità e l'ansia d'esser scoperto aumentò decisamente.
«Scherzo straniero, scherzo!», gli sorrise l'uomo passandosi le mani tra i lunghi capelli color fumo, vedendo il ragazzo irrigidirsi.
Solo nel guardare velocemente il suo mantello, il mercante si era fatto un’idea di chi si potesse celare sotto il cappuccio. Come un detective cerca ed esamina le prove, anche per Gult era lo stesso quando si trattava del suo lavoro. Era il terzo di una lunga generazione di venditori, tutti specializzati nella creazione, nella ricerca e nella vendita di mantelli di ogni tipo. Dai più lussuosi a quelli trasandati, da Gult il sarto potevi esser certo di trovare il mantello più adatto e dall’ottima, quasi ineguagliabile, qualità.
Tutti disposti in ordine perfetto, ricoprivano l’intera bancarella e altri ancora scendevano sopra le loro teste, appesi in modo da essere più visibili agli occhi dei clienti.
«Mio nonno ne fece uno anche per re Notem», continuò il venditore nel vedere il giovane fissarli con attenzione.
Jack, non sapendo chi fosse questo re, annuì con il capo cercando comunque di rimanere con il viso il più coperto possibile.
Aspettandosi una reazione di meraviglia dopo aver detto quelle parole, Gult si stupì dell’indifferenza del ragazzo.
Jack non aveva mai visto così tanti mantelli in vita sua. Dalla bellezza indiscussa e dalle lavorazioni accurate, sembravano quelli usati nei film fantasy, che da sempre, oltre ai polizieschi, lo appassionavano.
«Sono bellissimi», si limitò cercando di camuffare la voce, rendendola più roca e pesante.
Gult inchinò il capo soddisfatto del complimento.
«Per quanto magnifico, il tuo mantello ha sicuramente visto giornate migliori. Oggi mi sento di buon umore…», s’interruppe e aprì le braccia verso la bancarella.
«Scegli quello che vuoi, estivo, invernale, rosso, nero, sceglilo come più ti aggrada».
Il mercante aveva ragione. Quello che indossava puzzava ed era sgualcito in diversi punti.
Si stupì della gentilezza mostrata da quell’incrociato dal fisico scolpito e dall’aria burbera. Non si conoscevano, eppure, oltre ad avergli salvato la vita, gli stava donando uno tra i suoi mantelli.
Jack, indeciso sul da farsi, alzò le spalle senza parole.
«Tranquillo ragazzo, non te lo faccio mica pagare.»
«Non posso, ti ringrazio…». Le parole di Santos continuavano a ripetersi nella sua mente.
Non osava neanche immaginare la reazione dell’astro una volta scoperto quel che era successo. Il carro con le provviste era andato distrutto e lui ora si trovava a parlare con un mercante sconosciuto che, per quanto bravo e gentile, rimaneva pur sempre un estraneo potenzialmente pericoloso.
«Suvvia straniero, non fare il difficile. Sarebbe una grande offesa per me questo tuo rifiuto!» continuò Gult dandogli una pacca sulla spalla con la sua gigantesca e pesante mano.
Non avendo altra scelta, Jack si fece coraggio e iniziò a esaminare l’intera bancarella. Accettare il dono forse era l’unico modo per non incuriosire ancor di più l'individuo.
Chi, sano di mente, avrebbe rinunciato a un’offerta così allettante?
Nel profondo però non stava più nella pelle consapevole della straordinaria bellezza dei capi che gli si presentavano davanti.
Cercò di mantenere la calma regolando il respiro ormai fuori controllo. Dopo alcuni secondi di concentrazione, spostò lo sguardo su un lungo mantello nero ricoperto, sul collo e nel cappuccio, da una folta pelliccia marrone. La stoffa era di ottima qualità. Decise comunque di guardarli tutti, non voleva perdersene neanche uno. Era in imbarazzo e nello stesso tempo in estasi. Li avrebbe guardati tutti solo per ammirarli scegliendo comunque il meno bello. Non poteva approfittarne. Il dono offertogli era un segno di gentilezza e con lo stesso gesto, lui avrebbe ricambiato quel mercante privandolo del mantello meno caro così da non arrecargli un mancato e sicuro guadagno. Nel voltarsi per guardare l’angolo destro della bancarella, fu subito rapito dal mantello appeso sopra la sua testa. Ne restò folgorato. Anch’esso nero, presentava splendide e accurate decorazioni bianche cucite a mano. Un’infinità di piccoli fasci lattescenti s’intrecciavano tra loro creando splendidi motivi su tutta la stoffa.
Nel vederlo ammirare con tanta accuratezza uno dei suoi migliori capi, Gult sorrise appagato.
Era fantastico. Nella parte interna, una soffice e candida pelliccia bianca rendeva quel mantello unico.
«Se lo vuoi, lo tiro giù!».
A quelle parole, il primo impulso fu quello di urlare con eccitazione un sì che avrebbe fatto voltare l'intera via, ma tremante, si calmò deciso a scegliere il meno bello.
Anche se catturato dalla straordinaria bellezza del mantello sapeva, perché non serviva essere un esperto per capirlo, che quello era uno dei pezzi più pregiati della collezione. Era troppo per lui ma rifiutarlo significava offendere il mezzo uomo. Indeciso sulla risposta, si bloccò.
Non ebbe neanche il tempo di pensarci che Gult glielo tirò giù aprendoglielo davanti per farglielo ammirare nel dettaglio.
Era un capolavoro, non poteva accettarlo.
Con timore, perso tra le fattezze del capo, passò la sua piccola mano tra la folta pelliccia rimanendone estasiato. Morbida da sembrar finta e a dir poco unica nel suo genere. Posò poi lo sguardo sul cappuccio, anch’esso nero all’esterno e rivestito all’interno. Liscia come il ghiaccio, la parte esterna era ricoperta, come tutto il mantello, dalle incomprensibili decorazioni lattescenti. Una però brillava più delle altre. La testa di un grosso orso con le fauci spalancate era ricamata in modo più marcato dove le mascelle seguivano la forma del cappuccio. Il ricamo dava così l’impressione che il possente animale mordesse la testa di chi lo indossasse. Un lavoro d’alta scuola, opera solo di un professionista.
«Orso bianco» spiegò Gult.
Jack, perso nei fantastici dettagli.
«È rivestito con pelle d'orso bianco di Fenov». Si fermò un istante voltandosi verso l’angolo opposto della bancarella, dove un paio di individui incappucciati si erano fermati per ammirare i suoi capolavori.
«Qui sotto non soffrirai mai il freddo. La parte esterna, quella nera, è costituita da una speciale stoffa imbevuta nel grasso dell’animale che la rende completamente impermeabile. La pelliccia ti scalderà quando ne avrai il bisogno e ti isolerà dalle alte temperature senza che tu debba cambiare mantello». Continuò fiero il mercante.
«È un’opera d’arte…», si limitò Jack, senza parole.
«Non ti resta che provarlo, amico mio!» gli suggerì Gult, posandogli la grossa e pelosa mano sulla testa.
Fu un secondo. Ritirandola, il mercante involontariamente si portò via il cappuccio lasciando così il giovane con il viso scoperto.
In quell'istante, tutto perse colore. Paralizzato, Jack barcollò con gli occhi spalancati. Le parole di Santos ormai tuonanti nella sua mente.
Era successo tutto quello che non doveva accadere e, bloccato dalla paura che qualcuno potesse notarlo, iniziò a sudare.
«Tutto bene, ragazzo?».
Jack, in preda al panico, non rispose ormai sul punto svenire.
Qualcosa gli pizzicò fortemente il petto.
«Sì!» esclamò velocemente tirandosi su il cappuccio. Boris, che fino a quel momento era rimasto in disparte, era intervenuto per aiutarlo.
«Accetta le mie scuse, non era mia intenzione metterti a disagio», si sbrigò a scusarsi il mercante dispiaciuto.
Il giovane non sentì. Qualcosa lo aveva destabilizzato nel profondo, una sensazione nuova e tremendamente spiacevole. Per una frazione di secondo aveva sentito un forte impulso provenirgli dalle viscere, talmente rapido da accorgersene a malapena. L’impulso di uccidere.
«Alle tue spalle c’è un piccolo camerino, provalo pure», continuò Gult cercando di cambiare discorso.
Jack annuì ancora affannato, invaso dalla paura che il mercante o chiunque altro tra la folla lo avesse riconosciuto.
Santos era scomparso ormai da una trentina di minuti e di lui, ancora nessuna traccia.
Il giovane si voltò lentamente. Alle sue spalle un rudimentale camerino. Composto da quattro assi di legno grezzo piantate nel terreno e ricoperte da due grossi teloni, poteva essere il giusto luogo dove ritrovare la calma.
Provò ad alzarsi dallo sgabello ma il dolore lo fece sussultare. Stringendo i denti e poggiando il meno possibile il piede dolorante a terra, raggiunse il camerino per poi tirarsi alle spalle i lunghi e spessi teli.
Finalmente, si ritrovò solo.
Si sfilò veloce il sudicio mantello di dosso e respirò a pieni polmoni. La paura e l’ansia lo stavano ancora facendo ribollire.
Passò le mani tra i folti e ondulati capelli neri impregnati dal sudore e il senso d'oppressione lentamente iniziò a svanire. Appiccicati gli uni agli altri, gli impiastrarono entrambe le mani. Piegò la schiena in avanti e ripeté il gesto con più convinzione. Così facendo, i capelli si aprirono disordinati prendendo aria.
Poi mise la mano nel piccolo taschino interno del mantello poggiato a terra, senza però trovarci nulla.
Boris era sparito.
Fece un gran respiro guardandosi intorno.
Il sollievo trovato nel togliersi la sudicia veste di dosso lo aveva già abbandonato.
Stavano capitando tutte a lui, una dietro l’altra.
«Cerca di calmarti!», lo rimproverò serio Boris sbucando da sotto i lunghi teli del camerino.
Jack si lasciò andare in un lungo sospiro di sollievo.
«Ma dov'eri finito?»
Ricordava il forte pizzico sul petto pochi istanti prima.
«Ti avviso ragazzo, non osare più gettarmi a terra come fossi uno straccio!».
Nella frenesia di levarsi da dosso quella stoffa opprimente si era totalmente dimenticato di lui.
«Ti chiedo scusa, non volevo mancarti di rispetto», si affrettò dispiaciuto.
Vedendolo in quello stato, con i capelli arruffati e visibilmente scosso, Boris scoppiò a ridere di gusto spiazzandolo del tutto.
«Smettila con queste smancerie, stavo scherzando!», continuò il folletto massaggiandosi la folta barba dalle zone ancora bruciacchiate.
«Comunque, dobbiamo lavorare ancora molto sul tuo autocontrollo. Non puoi permetterti di reagire in questo modo e per tutti gli dei, finiscila di comportarti come una ragazzina!».