Читать книгу Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio - Страница 11
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ОглавлениеJack, confuso, alzò gli occhi al cielo continuando a camminare senza riuscire però a pensare a nulla. Non sapeva cosa avrebbe fatto una volta arrivato, ma doveva andarci.
In qualche modo, quel luogo, anche se inquietante, lo attirava trasmettendogli una sensazione che neanche lui riusciva a decifrare. Ripercorse la stessa strada del giorno precedente. Non la ricordava così corta.
Veloce, arrivò in periferia. Pochi metri e avrebbe imboccato il sentiero del piccolo bosco.
Appena fu avvolto dalla vegetazione, un candido pensiero lo investì.
Stella.
Quanto avrebbe voluto dirle quello che provava, prenderle le mani e portarla lontano, lontano da tutto quello che gli stava accadendo.
Un posto fantastico, pieno di ruscelli e animali, dove loro avrebbero vissuto in una tranquilla e normale casetta immersa nel verde, in compagnia magari di un paio di cani dalle orecchie penzolanti. Voleva portarla nel suo sogno, candito forse da fin troppe sdolcinerie. Ne era consapevole, non era da lui, ma ogni volta che la sua mente volava alla sua amata, tutto in cuor suo cambiava.
I pensieri furono interrotti da un fruscio poco distante. Si bloccò terrorizzato. Subito pensò che il vecchio lo avesse raggiunto e che, per qualche motivo, l’amico non fosse riuscito ad avvisarlo. Iniziò a sudare.
Si guardò velocemente intorno, un ramo, spesso come il suo braccio, sbucava dalle foglie secche che ricoprivano il terreno. Non ci pensò due volte, lo raccolse da terra e si nascose dietro a una grossa quercia.
Un forte brivido gli attraversò la schiena. Il fruscio aumentò. Il cuore gli scoppiò nel petto e con il corpo teso come una corda, pronto a scattare al minimo pericolo, sospirò cercando di calmarsi.
Il grosso cespuglio vicino a lui si mosse. Si stupì di come il suo corpo stesse reagendo appiattitosi contro la ruvida corteccia dell’albero, nonostante le centinaia di formiche che lo abitavano. Ma non si mosse, restò immobile anche davanti al ragno dai colori scarlatti che, con estrema delicatezza, gli si posò sulla spalla destra scendendo giù dal ramo più vicino. Non c’era tempo per aver paura di un insetto che, per quanto grosso come il suo pugno, non era la minaccia principale. L’aracnide, dopo pochi istanti, forse percependo l’aria tesa che si respirava, si arrampicò sulla sua resistente ragnatela, svanendo tra le foglie.
All’improvviso, una sagoma magra e slanciata apparve dalla vegetazione alla sua sinistra.
Le braccia si mossero da sole e il grosso bastone roteò velocemente rovinando così sul fianco della figura.
«Wo… Wo… Wo! Calmati ragazzino!» imprecò l’individuo massaggiandosi le costole.
Il viso, coperto da uno strano cappuccio con la punta storta cadente su se stessa.
«Chi sei? Cosa vuoi da me?» domandò Jack spaventato. Il suo corpo, tranquillo e immobile pronto a colpire nuovamente.
«Calmati giovanotto, sono anni che ti sto cercando e sinceramente, mi aspettavo un altro tipo di accoglienza.» disse pulendosi le strane vesti dalla polvere. Stretti pantaloni in pelle nera, consumati sulle ginocchia, terminavano dentro a un paio di stivali del medesimo colore che, morbidi, si avvolgevano sulle caviglie grazie a lunghe cinghie di bronzo intrecciate tra loro.
A coprire lo smunto petto, un pezzo di stoffa biancastra che, come un serpente, si stringeva creando un gioco di pieghe e ombre. Questo, insieme alle bretelle lasciate a penzoloni, davano all’individuo un’aria lontana.
«Voi terrestri!», si voltò scuotendo il capo. Jack lo fissò ammutolito. L’estraneo tirò fuori dalla tasca un piccolo pugnale e, con un sorriso stampato in viso, si girò di scatto lanciandolo verso di lui.
Le braccia del giovane si mossero nuovamente facendo roteare il bastone ancora saldo nelle proprie mani e dopo aver visto conficcarsi la lama sul legno al posto che sul suo viso, Jack cadde a terra terrorizzato.
«Bene, sei proprio tu Zeno!», scoppiò a ridere la figura soddisfatta. Il ragazzo, pietrificato, non riuscì a capire più nulla. Era stato in grado di parare il colpo senza accorgersene.
«Ma tu chi diavolo sei e che cosa vuoi da me?», si rialzò trasformando la paura in coraggio.
«Se ti fa stare meglio, Santos è il mio nome ma l'unica cosa importante è che tu ora venga via con me!», si limitò l’individuo sedendosi su un tronco spezzato dopo averlo accarezzato con amara dolcezza.
Jack si stropicciò il viso confuso. La testa iniziò a fargli male. Il tutto, incomprensibile. Poi, posò lo sguardo su quelle strane vesti. Decisamente particolari e stravaganti, la sua memoria non le riconobbe. La stoffa bianca, macchiata e logorata, s'interrompeva all’altezza delle spalle arrotolandosi disordinata e lasciandogli così scoperti i bicipiti. Da entrambi gli avambracci però, riprendeva il suo percorso serpentando fino a raggiungere le prime due falangi delle dita.
Al collo, uno strano ciondolo in legno raffigurante un salice piangente si adagiava all’altezza dei pettorali. Le braccia, più lunghe del normale, erano fini e con qualche cicatrice qua e là. Alto quasi due metri, lo sconosciuto sembrava uscito da qualche strano film medievale.
«Venire con te? Ti ha mandato mia madre, vero?» ipotizzò stupito il giovane. Pensò subito che quella vecchia arpia della professoressa Lort avesse chiamato la madre per informarla della sua assenza e che quello strano individuo, dall’aria bizzarra più che pericolosa, fosse un qualche amico della donna con orribili gusti nell’abbigliamento.
«Vedi Zeno…»
«Mi chiamo Jack!», lo interruppe nervoso.
«Jack… Tua madre non c’entra niente…», alzò gli occhi al cielo lo straniero.
«Non so come spiegartelo…»,
«Non hai notato niente di strano in questi giorni?» domandò grattandosi nervosamente la testa sotto il cappuccio.
Jack non seppe cosa rispondere. Di quel discorso, nulla di chiaro.
«Hai sbagliato completamente persona. Mi dispiace di averti colpito ma ora devo andare!»
Il pensiero della madre sgozzata gli tornò in mente con forza e l’unica cosa veramente importante era andare a ispezionare la fattoria.
Non poteva perdere tempo con uno squilibrato del genere.
Si voltò e riprese il sentiero.
«Guarda che non serve a niente andare nella fattoria. Tua madre non è in pericolo» disse l’individuo tutto d'un fiato.
Quelle parole gli squarciarono il petto e sentendosi improvvisamente indifeso e vulnerabile, Jack si voltò di scatto.
Chi era quell'individuo? Cosa voleva e come faceva a sapere quelle cose?
Gli tornarono in mente le parole di Max. Forse, l'amico aveva visto bene. Molto probabilmente la persona davanti a lui era un complice del vecchio.
Era in pericolo, doveva scappare.
Cominciò a correre il più velocemente possibile senza scegliere dove andare. L'importante era seminarlo.
Alberi, cespugli e rocce si susseguirono alternandosi ritmicamente in un ambiente ormai confuso per lui.
A terra, un letto di foglie scricchiolante a ogni passo.
In pochi secondi, si smarrì.
Il cuore pompò a più non posso e con le tempie pulsanti e il sudore scrosciante, la testa iniziò a girargli. I polmoni, sotto sforzo, iniziarono a cedergli.
Sentì dei rumori intorno a lui. Qualcosa sopra la sua testa, veloce, si stava muovendo.
Per un istante, riuscì ad alzare lo sguardo senza veder nulla se non una chiazza nera che, con grande agilità, si spostava da un ramo all’altro.
Le gambe gli s'irrigidirono e con i polmoni dolenti, il giovane si ritrovò al suolo senza neanche accorgersene, privo di energie.
«Non devi temermi, non voglio farti del male. Sono qui per proteggerti. Quello che hai sognato e che credi succederà non è vero. Tua madre non corre nessun pericolo». Provò a calmarlo Santos appollaiato su un ramo, fissandolo da sotto il cappuccio. Le labbra sottili e il lungo naso a punta, le uniche cose visibili da lontano. Gli occhi, nell’ombra, erano fissi su di lui e anche senza vederli, li sentì.
«Come fai a sapere queste cose? Ma tu chi sei?» urlò Jack nel panico strisciando all’indietro tra il fogliame.
«Sai, se tu fossi più tranquillo e mi facessi parlare senza interrompermi o provare a scappare, io potrei finire di spiegarti tutto.» rispose Santos saltando giù dall'alto albero con estrema naturalezza.
Jack decise di ascoltare, non aveva altra scelta. In quei momenti, la sua mente aveva smesso di pensare, senza farsi più domande su quel che stava accadendo. Dopo essersi allontanato ancora di qualche metro, nervosamente fece cenno di cominciare. Il comportamento non aggressivo dell’individuo riuscì a calmarlo leggermente.
Levatosi il cappuccio e liberando i lunghi capelli neri raccolti in una coda da un pezzo logoro di stoffa nera, lo spilungone riprese il discorso.
«Devi sapere che il tuo pianeta non è l’unico mondo abitato, ne esistono altri nove che, con la Terra, formano la Grande Costellazione.
Questi dieci pianeti nei tempi antichi erano tutti grandi alleati e tra loro regnava la pace.
Ogni mondo aveva un re, che davanti agli spiriti stellari aveva giurato di governare saggiamente e in armonia il mondo a lui assegnatogli.»
Jack lo guardò senza batter ciglio perso nelle svariate sfumature violacee dei suoi sottili occhi.
«Purtroppo però, dopo mille anni dalla nascita della Grande Costellazione, Marmorn, tredicesimo re della Terra, venne meno al giuramento e, dopo aver radunato nell’ombra un esercito senza eguali, dichiarò guerra al mondo di Abram.»
Santos si fermò un attimo e dopo aver guardato fisso negli occhi il giovane, assicurandosi della sua attenzione, riprese la spiegazione. «Agli inizi di tutto, i dieci mondi erano abitati da numerosissime specie viventi. Marmorn non sopportava di convivere con esse e fu per questo che, dopo aver sterminato le specie straniere sulla terra in gran segreto, cominciò la sua campagna espansionistica su tutta la Grande Costellazione. Come ti ho detto poco fa, il Re Nero dichiarò guerra al pianeta Abram, abitato per lo più dalle ninfe, creature celestiali scese sulle terre per aiutare queste ultime a prosperare. Nelle tenebre e nella più totale segretezza, radunò il suo esercito e, dopo aver aspettato il favore della settimana buia, ordinò l’attacco.
L’esercito terrestre fu implacabile e nel giro di trenta giorni rase al suolo il piccolo mondo.»
«Settimana buia…» farfugliò Jack perplesso.
Accompagnato dal fruscio delle foglie mosse dal vento, lo sconosciuto continuò tranquillamente.
«La notizia del tradimento della Terra si diffuse ma molti pianeti, non disponendo di un esercito potente e preparato alla guerra come quello terrestre, caddero uno dopo l’altro sotto il duro controllo del vostro sovrano.
Per fortuna il giovane re di Tio, Astor, decise di non soccombere e, venendo meno anch’egli al giuramento di pace, organizzò un esercito pronto a sconfiggere il potente re terrestre.
La battaglia si combatté qui, sulla Terra e vide come vincitore il grande Astor, salvatore della Grande Costellazione.»
«Che fine fece il cattivo?» domandò Jack ironicamente alzando gli occhi al cielo. Quell'uomo, il più strambo mai conosciuto prima.
«Ci stavo arrivando!» rispose Santos seccato.
«Astor, essendo comunque un re dall’animo puro, dopo aver sconfitto il Re Nero, non riuscì a ucciderlo ma, sacrificando la propria vita, fece un patto con gli spiriti celesti, i quali rinchiusero Marmorn nel centro della Terra, esiliando il suo esercito su questo pianeta ed escludendolo dalla Grande Costellazione. La storia che voi umani conoscete comincia dall'esclusione del vostro pianeta. I dinosauri, come li chiamate voi, sono nient'altro che i resti dell'esercito usato per sconfiggere il vostro re. L'armata guidata con la magia da Marmorn fu esiliata sulla Terra, dove riprese a vivere senza più nessun ricordo delle sanguinose guerre combattute sotto il suo controllo.»
Jack continuò ad annuire senza dir nulla, conscio delle falsità raccontategli.
«Con la totale cancellazione dei ricordi antecedenti alla guerra, i pochi terrestri sopravvissuti iniziarono dall’origine la propria vita, evolvendosi lentamente all’oscuro delle atrocità compiute dai propri antenati.»
«Prima hai detto che mi stai cercando da anni. È impossibile!», scoppiò a ridere incredulo il ragazzo.
«Apprezzo lo sforzo ma la tua storia, per quanto bella, non regge»
«Smettila di interrompermi e non avrai bisogno di alcuna domanda!». Perse la pazienza Santos.
Jack annuì rimanendo in silenzio.
«Devi sapere che dopo l’esclusione della Terra dalla Grande Costellazione, i nove mondi ci misero quasi duecento anni a ritornare splendenti come prima. Nonostante fosse imprigionato nelle viscere di questo mondo, lo spirito di Marmorn rimase forte e pieno d'odio, odio che accumulandosi giorno dopo giorno creò un’aura così potente da risvegliare una creatura scomparsa seimila anni fa, il Trokor, un essere che non ha eguali, un semidio votato alla distruzione.»
«Guarda, sei geniale te lo riconosco. Ma se speri anche solo minimamente che io creda a una sola parola di quel che hai detto, ti sbagli di grosso brutto pazzoide!». Si alzò di colpo Jack, saturo di tutte quelle stupidaggini.
«Stupido ragazzino…», si limitò l'individuo scuotendo il capo.
«Prima della nascita dei dieci mondi, esisteva un unico e gigantesco pianeta, chiamato Naef, situato tra la luna e il sole.
Anche se immenso, era abitato da sei divinità, Ashar, dio del sole, e Venia, dea della luna, governavano. A far loro compagnia, c’erano Raus, dio del vento, la sua compagna Zira, dea dell’acqua, Xio e Kita, rispettivamente dio del fulmine e dea della terra.
Le antiche scritture accreditano ad Ashar la creazione dei dieci pianeti.»
Jack si mise le mani davanti alla bocca per trattenersi. Quello strano individuo doveva aver alzato fin troppo il gomito in qualche bar della città. Stava delirando, volando con la fantasia più di Miles, il senza tetto della piazza del mercato.
«Dopo secoli di completa solitudine, le nostre sacre divinità decisero di popolare l’immenso pianeta. Dall’unione tra Zira e Raus nacquero ninfe, tritoni, sirene, auri e astri, grandi protettori della natura e della vita e anche ottimi maghi. L’unione tra Xio e Kita generò la nascita degli elfi, dei nani, dei centauri e degli urani. Quest'ultimi, simili nell'aspetto alle ninfe e custodi del potere del fulmine. Mentre l’amore tra Ashar e Venia diede vita ai draghi, ai cavalieri alati, guerrieri protettori dell’antico mondo con l’aspetto degli elfi ma dotati di ali e di una forza notevolmente superiore, e infine a voi umani.», terminò incupendosi il suo interlocutore.
Le frottole sembravano non aver fine. Jack voleva andarsene, salutare quel pazzoide e raggiungere la fattoria. L’unica cosa a trattenerlo erano le parole dell’individuo riguardo al suo terrificante e macabro sogno.
«Col passare dei secoli nacque però tra Kita e Raus un amore così profondo da generare una serie di eventi unici. Appena Zira e Xio lo scoprirono, li maledirono con tutte le loro forze. La maledizione, in cui le due divinità tradite riversarono la loro furia, li investì e il frutto del loro amore nacque maledetto. Venne alla luce un essere potente, spaventoso e maligno, il Trokor. Ashar, che era la suprema autorità, non rimase a guardare e lo sigillò nelle viscere di Naef come monito per le altre divinità. Queste vicende e il male generato portarono il sommo dio del sole a scindere l’enorme pianeta e a crearne dieci più piccoli. Il tempo dei sacri dei, contaminato dall’odio e dai tradimenti, era giunto al termine. Con uno sforzo enorme, racchiuse gli spiriti delle altre divinità tra i vari pianeti per punirli della loro crudeltà. Ma la punizione più grande fu quella di lasciarli a osservare per l’eternità i loro mondi governati dalle creature da loro stessi create. Ashar e Venia, terribilmente affranti, decisero di sacrificarsi e da quel giorno, dei loro due potenti spiriti non se ne ebbe più notizia».
«Benissimo, davvero affascinante. Adesso mi vuoi spiegare come fai a sapere del mio sogno?»
Nel sentirlo, Santos trattenne a stento il nervoso ma i rami circostanti tremarono improvvisamente. Non c'era vento.
Il giovane si guardò intorno spaventato non riuscendo a capire quel che stava accadendo.
«Come ti dicevo, l’odio generato dallo spirito di Marmorn risvegliò la potente creatura Trokor, che per una coincidenza fatale si ritrovò imprigionato nello stesso pianeta del Re.
Unendo i loro poteri e la loro malvagità, riuscirono a rompere i sigilli che li tenevano prigionieri e ad aprire un portale che li trasportò in un’altra costellazione a noi sconosciuta.»
Inconsapevole se più spaventato o spazientito, Jack non riuscì a interrompere quell'immane monologo.
«Le grandi sacerdotesse del pianeta Numit, hanno predetto che il quinto mese dell’anno del vento la Grande Costellazione verrà ricoperta dalle tenebre e che sarà la fine di tutto…»
«Basta, finiscila! Non so come tu sappia del mio sogno ma ora non mi interessa».
Nel vederlo perdere il controllo, Santos gli si avvicinò con l'intento di tranquillizzarlo.
«Cerca di calmarti. So che hai paura ma devi fidarti di me».
Jack indietreggiò istintivamente stringendo i pugni.
«Stai lontano! Io non ho paura!» tuonò isterico.
Non poteva far trasparire i suoi timori, doveva essere forte, coraggioso. Sospirò tremante e ostentò un finto sorriso.
«Hai molta fantasia, prova a scrivere un libro. Ti saluto!».
Lo liquidò Jack. Aveva perso fin troppo tempo e con la fattoria non troppo lontana, non poteva indugiare ulteriormente.
«Non mi lasci altra scelta Zeno!».
Santos congiunse le mani alzandole al cielo con occhi severi. Senza pensarci due volte, pronunciò alcune frasi incomprensibili.
«Sei anche un ballerino?», scoppiò a ridere il ragazzo avviandosi verso la fattoria.
I rami degli alberi vicini si mossero velocemente facendo volar via alcuni corvi per poi pararglisi davanti.
Paura.
Inspiegabilmente, un lungo arbusto lo afferrò per una caviglia sollevandolo a testa in giù.
«Ma cosa sei? Cosa vuoi da me? Questo è un altro incubo, lasciami stare!» urlò isterico.
«Forse così comincerai ad ascoltarmi, giovane impertinente!».
Si avvicinò Santos pienamente soddisfatto sfiorandogli il viso capovolto con la punta del lungo naso.
Jack, smarrito, non rispose. Collegare quegli irreali eventi, impossibile.
«Bene, ora che ho la tua attenzione, finisco di raccontarti questa bellissima storiella. Poi, magari, se vorrai il libro lo scriverai tu», lo schernì compiaciuto lo straniero ridendogli in faccia.
«Le sacerdotesse di Numit hanno anche visto un barlume di speranza in questo oblio, il ritorno dello spirito del grande Ashar, l'unico in grado di salvarci.
Ora apri bene le orecchie, quello che sto per dirti è vitale».
«Grazie per avermelo imprigionato giovane astro».
Una voce penetrante risuonò nel bosco accompagnata da una forte risata maligna.
Lo sguardo di Santos mutò in un istante e gli arbusti si ritrassero veloci.
«Prendi, Zeno!», Santos scattò contro un albero lanciandogli un grosso pugnale dall’impugnatura dorata, che però finì tra le foglie davanti ai suoi piedi. Jack, ancora dolorante per la caduta, si sentì svenire.
Un forte bagliore illuminò la vegetazione e una figura comparve dal nulla.
«Jack!» urlò l’astro pronto allo scontro.
Il bagliore e il forte urlo riportarono il ragazzo alla realtà tutto d’un colpo e in preda al panico, raccolse velocemente l'arma senza accorgersene.
Appena la luce svanì, la figura che gli si presentò davanti fu quella del gobbo. Con gli occhi spalancati e incredulo, Jack arretrò di alcuni metri. Le tempie bruciarono e nessun pensiero riuscì a dargli una spiegazione. Del vecchio impacciato nessuna traccia. Di fronte a lui, un individuo dalle stesse sembianze ma dal corpo diritto e possente.
I rami si mossero repentini colpendo in pieno la figura facendola volare nel verde circostante.
«Corri Jack!», si tuffò Santos tra i cespugli pronunciando nuovamente parole incomprensibili.
Jack restò immobile, solo e spaventato. Poi, un brivido lo percorse lungo tutto il corpo. Un tremore, quello, che lo sbloccò all'istante. Improvvisamente tornò lucido e, senza pensarci, si voltò e iniziò a correre a perdi fiato stringendo forte l'elsa del pugnale. Di pregiate fattezze, l’arma sembrava uscita, come il suo proprietario, da un film hollywoodiano.
Dopo alcuni minuti senza tregua, scavalcando la fitta vegetazione, rallentò esausto. In quelle condizioni, il suo fisico non si mostrò efficiente come doveva. I duri ed estenuanti allenamenti, a cui si sottoponeva da anni in palestra, sembrarono vani e con i muscoli sempre più dolenti a ogni movimento, la paura si impossessò di lui.
La macchia verde iniziò gradualmente a diminuire lasciando così spazio agli immensi campi di grano. Sudato e pervaso da forti capogiri, continuò a correre senza fermarsi.
Santos, ormai troppo lontano.
Poi, una luce violacea apparve in lontananza davanti ai suoi occhi.
«Corri Zeno!», sbucò veloce l’astro dagli alberi lontani alla sua destra. «Salta dentro, muoviti!» urlò.
Jack, nel panico, non seppe cosa fare. Nei suoi timpani, solo più l'assordante rumore del suo affannato respiro. Si girò di scatto.
Il vecchio aveva ormai raggiunto Santos.
Dalla rugosa mano esplose una lingua di fuoco che, ignorando l'astro, si diresse verso di lui a gran velocità.
Era spacciato.
Ricominciò a correre, non aveva altra scelta.
Il calore lo stava raggiungendo, sarebbe morto carbonizzato entro pochi secondi. Il cerchio violaceo, ancora troppo distante. Nella speranza che tutto finisse, cadde a terra stremato con gli occhi fissi sull'imminente sfera di fuoco.
All’improvviso, dal terreno uscirono numerose e alte radici sulle quali, con forza, si abbatté il potente attacco carbonizzandole all'istante.
«Muoviti Zeno! Non posso bloccarlo per molto».
Colpito solo dall’onda di calore generatasi, il giovane si fece coraggio e si alzò ricoperto dalle ceneri. Le gambe dolevano ma non poteva assolutamente fermarsi. Strinse i denti richiamando a sé le ultime energie e si lanciò il più velocemente possibile verso la luce. Non sapeva cosa fosse ma non aveva tempo per porsi nessun’altra domanda. Tutto era esploso in una feroce battaglia. Fuoco e terra si stavano fronteggiando dietro di lui in uno scontro senza precedenti. Alle sue spalle, altre radici uscirono prepotenti proteggendogli così la fuga dalla furia del loro aggressore, che con un attacco dopo l’altro aveva ormai devastato la tranquilla e rigogliosa vegetazione circostante.
Santos lo stava affrontando a viso aperto, consapevole dell’immensa superiorità del proprio avversario. Non poteva tirarsi indietro, la sua missione era vitale.
Jack raggiunse il cerchio luminoso, si voltò ancora un istante e, con l’astro che schivava l’ennesima sfera gettandosi affannosamente sulla sinistra, scomparve risucchiato dalla luce.