Читать книгу Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio - Страница 14
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ОглавлениеIl secondo giorno fu meno pesante del primo e la compagnia del folletto si rivelò piacevole. Grazie alle sue storie inverosimili e al suo modo di fare, Jack non ebbe modo di pensare pienamente alla situazione in cui si trovava e al distacco improvviso dai suoi cari. Racconti di draghi, di insetti dalle mille ali e di principesse dalle sembianze gnomiche forti e rudi avevano reso le ore di marcia meno pesanti. Santos aveva ascoltato i racconti alzando gli occhi al cielo nel sentire il piccolo amico rendersi il protagonista di quelle strabilianti vicende. In ogni storia passata, Boris ne usciva sempre come l’impavido e temibile nonché ammaliante re delle terre dell’Ovest. Una sorta di eroe delle popolazioni gnomiche di Abram. Il terrestre si era limitato ad ascoltare immaginandosi ogni scena raccontata. Aveva anche chiesto informazioni ma solo dove i discorsi di Boris si contraddicevano.
Quando calò la sera, si accamparono vicino a un torrente dalle acque cristalline e accesero un piccolo fuoco. Jack, nel vedere le fiamme apparire dal nulla sui palmi di Santos e schizzare affusolate sulla legna raccolta per poi arderla, ne restò ammaliato.
«Il controllo degli elementi naturali è la nostra specialità».
«Il solito sbruffone».
Boris non si trattenne indicando l'amico dai lunghi arti. Quando si trattava di ricevere meriti e complimenti era il primo ma se doveva farli, il discorso cambiava.
«La voce della verità», scherzò Santos alzando le spalle.
I tre si guardarono e in pochi secondi, come se il resto non contasse, scoppiarono a ridere di gusto. Jack sembrò sereno, spensierato. Vederlo così, per il suo protettore fu un enorme sollievo. Era il primo e vero sorriso del terrestre da quando lo aveva incontrato. Ne aveva passate tante, fin troppe, eppure ora era lì, a proprio agio in un altro mondo e di fronte a due creature appartenenti a razze completamente diverse dalla sua.
Ma in quel caldo momento tutte le differenze, tutti i problemi, sembrarono svaniti o per lo meno, accantonati momentaneamente.
Santos tirò fuori dal suo gilet le foglie di Seda e le porse ai suoi due compagni. Jack, pregustando il sapore della pasta, si affrettò a prenderne una affamato come non mai.
«Non saranno mica…» brontolò Boris.
«Sono proprio loro» rispose l’amico porgendogliene una.
Il folletto, scocciato e deluso sbuffò allungando il suo tozzo e minuscolo braccio quasi schifato. Ne strappò un pezzo non più grosso di una formica e rassegnato lo mangiò. Ci mise un secondo per sputarlo a terra tossendo rosso come un peperone.
«Voi e il vostro cibo maledetto!»
«Come diavolo fate a mangiare queste porcherie?».
L’astro si voltò verso Jack.
Davanti ai suoi occhi, la stessa scenata fatta al primo incontro con quelle strane quanto fantastiche foglie magiche.
Dopo svariati tentativi anche il folletto riuscì a gustare, ricredendosi, quel cibo tanto disprezzato.
Lo strambo gruppo cenò vicino al tepore del fuoco in compagnia di guerre tra i regni dei folletti e scontri con mostri spaventosi e ormai con la luna alta nel cielo, sazi e con gli zigomi affaticati dalle continue risate, i tre presero sonno facilmente.
Così sarebbe dovuto essere il percorso del salvatore, un cammino sereno e ben strutturato. Questo, almeno era quello che in cuor suo Santos desiderava dall'inizio. Purtroppo però la realtà era ben diversa e presto, ne avrebbero avuto tutti la prova.
Il pomeriggio del terzo giorno, i tre compagni arrivarono in prossimità della città. I folti e intricati alberi che da ore si susseguivano in un verde labirinto, lentamente diminuirono rimanendo comunque numerosi. Davanti ai loro occhi, alte mura in pietra si presentarono possenti trasudando la loro antica magnificenza. Tra le rocce, un massiccio cancello alto una ventina di metri e interamente in ferro aprì le porte alla città.
«Benvenuti a Fati» disse Santos voltandosi verso i due compagni.
La natura che li aveva accompagnati si districava tra gli enormi blocchi di pietra cercando gli spazi da loro occupati, segno della voglia di ritornare padrona della propria terra.
«Cara vecchia Fati… Quanto mi mancavi» esclamò Boris raggiungendo i compagni. Era da tempo che il folletto non tornava nella capitale.
Jack s’immaginò quanto potessero essere imponenti quelle mura per il piccolo amico alto poco più della sua mano.
«Tieni il viso coperto, non ti fermare per nessun motivo e seguimi come fossi la mia ombra.» ordinò Santos, passandosi nervosamente le mani sui lunghi capelli corvini e stringendo la logora stoffa che li teneva legati.
«La tranquillità ha lasciato questa terra da anni». Con tali parole, l’astro si avviò verso i cancelli ansioso di ricevere le temute risposte alle domande che da giorni lo turbavano.
Jack annuì percependo la preoccupazione del suo compagno e, dopo essersi aggiustato il cappuccio, lo seguì.
«Aspettami giovanotto» urlò Boris alle sue spalle.
Il terrestre non ebbe il tempo di voltarsi completamente che il folletto, mostrando una notevole agilità per il suo tozzo corpicino dalle curve marcate, gli si arrampicò sul mantello per poi raggiungere la tasca interna situata all’altezza dei pettorali.
Superati i grossi cancelli in ferro dalle decorazioni in basso rilievo a lui sconosciute, restò a bocca aperta. Strane abitazioni a base rettangolare, non più alte di una decina di metri, si ramificavano in tutte le direzioni divise da piccoli e stretti budelli. Le pareti, di un viola ormai sbiadito, si perdevano a vista d’occhio creando con i raggi del sole strani giochi di ombre. I tetti, tutti a cupola e di un colore simile al latte, davano l’impressione, a chi li guardava dal basso, di andarsi quasi a mescolare tra le grosse e candide nuvole che abitavano quel cielo dai colori brillanti. Stagliate in lontananza, sei torri azzurre dai lunghi e affusolati pinnacoli dominavano la città.
Sotto i loro stivali, grosse pietre dalle forme disordinate tremolavano leggermente a ogni passo. Statue raffiguranti svariate creature femminili, dai lineamenti rigidi e scavati e dai lunghi capelli, si susseguivano ai piedi delle abitazioni. Jack, senza parole, sgranò gli occhi. La città che gli si presentava davanti sembrava uscita da una favola.
«Ricorda ciò che ho detto» ripeté Santos deciso imboccando una piccola stradina leggermente in salita. Annuendo, il giovane si strinse ancor di più nel suo mantello cercando comunque di godersi il più possibile il paesaggio che lo circondava. Per quanto comoda e sicura, la rete che gli copriva il volto non gli permetteva di ammirare pienamente le magnificenze che tanto lo stavano affascinando. La tentazione di togliersi il cappuccio, sempre più forte. Anche solo per una manciata di secondi, desiderava poter far scorrere il proprio sguardo da una parte all’altra. Sapeva che era impossibile e, rassegnato, aumentò il passo.
«Bella, vero?». Boris aveva tirato fuori la sua tonda testolina coperta dal piccolo cappello verdastro dalla morbida punta cadente.
«Stupenda…» rispose schiacciandosi sul viso la fitta rete nel tentativo di migliorare la vista.
«Ci sarà il momento in cui potrai ammirarla senza paure, ragazzo.». Gli strizzò l’occhio il folletto rassicurandolo.
Santos camminava veloce e in ogni suo movimento, si percepiva l’aumentare della tensione.
«Mantieni il passo» gli ricordò Boris nel vedere crescere la distanza tra i suoi due compagni. Spaesato, Jack accelerò. Doveva essere la sua ombra, così gli era stato ordinato.
Le stradine cominciarono a susseguirsi una dopo l'altra lasciando spazio, ogni tanto, a piccole piazze adornate da numerose fontane scavate nei marmi.
Jack era stanco di camminare, i polpacci dolevano. Molti individui, avvolti nei loro mantelli dai diversi colori e dai volti coperti, gli passarono accanto senza degnarlo di uno sguardo. Il nuovo abbigliamento stava funzionando alla perfezione.
Svoltarono per l'ultima volta in un viottolo ritrovandosi così in una piccola piazza semi deserta.
Finalmente, Santos si fermò.
Davanti a lui, una graziosa casetta dalle consuete pareti violacee. Il piccolo tetto a cupola color latte, adornato con diversi vasi ricoperti di fiori colorati. Deglutì nervosamente.
Una grossa porta in legno dalle venature scure era l’ingresso. Su di essa, incise in uno strano corsivo, tre parole ad accogliere i visitatori: “Novo solis renascens”. Era arrivato il momento di saperne di più sul giovane terrestre.
Jack capì subito che avevano raggiunto il posto di cui gli aveva parlato l'astro. Non sapeva esattamente quali pensieri lo turbassero ma, in qualche modo, erano legati a lui.
Ne era certo.
«Aspettatemi qua. Non vi muovete, arrivo subito!», così dicendo, l'astro aprì la porta ed entrò accompagnato da un leggero cigolio.
Jack era affascinato dall'atmosfera che si respirava in quella città. Le persone erano tutte incappucciate e nessuno lo avrebbe mai notato. Fu lui però a notare qualcosa. Il suo sguardo si posò sulle verdi mura di un piccolo negozio dalla parte opposta della piazza.
Incisa su un'insegna in legno la scritta “La casa dei Desideri”.
Attratto e incuriosito, attraversò la strada per osservare la vetrina.
Moltissimi oggetti dai colori sgargianti e dalle forme più bizzarre mai viste prima erano accalcati gli uni su gli altri. Le domande alla loro utilità sorsero spontanee.
«Se ti piacciono, puoi entrare», lo invitò una figura incappucciata dalla voce roca poggiata sul ciglio della porta.
Quelle parole lo bloccarono.
L’ordine di Santos era chiaro, non doveva muoversi e farsi distrarre da nulla.
«No, grazie…», si limitò con un filo di voce abbassando il capo e cercando conforto nelle logore vesti.
«Non sei di queste parti, vero straniero?»
Trasalì. Non sapeva più cosa dire, era terrorizzato e il sudore ormai scendeva come acqua dalla pelle.
«Tutto bene?» continuò con aria sinistra il negoziante.
Jack si sentì soffocare. Il primo istinto fu di levarsi il cappuccio. Lo afferrò con una mano, non ne poteva più, aveva bisogno di aria fresca.
La burbera voce di Boris si levò leggera dalla tasca come un’ancora.
«Non fare sciocchezze, non levartelo».
Jack tornò in sé e, con il respiro affannato, si girò e si allontanò senza rispondere all'individuo che, stranito dal comportamento dello straniero, rientrò nel proprio negozio scuotendo il capo.
Nel centro della piccola piazza, una panchina scavata nella roccia fu la meta.
A un paio di metri di fronte a lui, una fontanella a forma di pesce spruzzava acqua verso il cielo. Il getto, non troppo forte, faceva ricadere l’acqua sulla statua creando così brillanti giochi di luce grazie ai raggi del sole.
Il desiderio di sciacquarsi il volto, immenso. Voleva strapparsi le vesti di dosso, dalla prima all'ultima. Si portò le mani al volto con l'affanno in costante aumento ma, per fortuna, non ebbe il tempo di farsi sopraffare dal panico.
Una lunga mano affusolata lo sollevò dalla panca con decisione rimettendolo in piedi.
«Ti avevo detto di non muoverti! Su, seguimi!», lo rimproverò severo Santos strattonandolo.
Davanti a loro, la grossa porta in legno leggermente socchiusa.
I due entrarono accompagnati nuovamente dal leggero cigolio delle cerniere arrugginite che sostenevano l’uscio.
Il luogo, semibuio, illuminato solo da una piccola candela fluttuante al fondo della stanza. La fiammella, flebile e sinuosa, vibrò creando strane ombre sulle vecchie pareti per poi calmarsi alla chiusura della porta.
Jack, ancora agitato, si guardò intorno intimorito. I vestiti e il mantello, soffocanti.
«È lui?» domandò estasiata una voce femminile dall’ombra.
«Sì…» bisbigliò l’astro.
Ancora celata, la presenza lo esortò ad avvicinarsi.
Jack non si mosse.
La voce udita, dal tono leggero, soffice e penetrante, risuonò innaturale. Indietreggiò.
Non sapeva come comportarsi e l’aria respirata, umida e pesante, gli aumentò l'affanno.
«Santos…», si voltò di scatto cercandolo nell'ombra.
«Siamo soli, avvicinati», insistette l'ignota voce.
Si sentì vulnerabile, fragile. Voleva scappare via, riaprire la grossa porta in legno e correre lontano. Tutti i timori riaffiorarono in un secondo cancellando quella temporanea pace interiore che con fatica aveva trovato.
Qualcosa si mosse nell’oscurità. Trasalì. Il corpo, teso come una corda.
Dal nulla, un’aria fredda gli accarezzò il collo penetrando le vesti alle sue spalle. Subito il pensiero volò all’uscio ma capì, in una manciata di secondi, che non si trattava della corrente. La porta dietro di lui era chiusa, ne aveva sentito il rumore poco prima. L’aria lo accarezzò nuovamente e così continuò a intervalli regolari.
Non era uno spiffero ma un lento respiro, freddo e profondo.
Tremò.
Qualcuno si trovava alle sue spalle.
Il cappuccio gli si sfilò permettendogli di respirare a pieni polmoni.
La paura saliva a ogni secondo. Santos lo aveva abbandonato senza dargli alcuna spiegazione. Non se ne capacitava.
Una lunga e sottile mano gli si appoggiò sulla testa accarezzandogli i folti e ondulati capelli neri.
Il sudore, che ormai gli ricopriva tutto il corpo, si gelò in un istante.
Brividi intensi lo invasero.
Provò a scappare ma le gambe, paralizzate, glielo impedirono e in balia della creatura dalla voce quasi metallica si sentì svenire.
La tentazione di chiudere gli occhi, di lasciarsi andare e di arrendersi all’inevitabile era forte. Ma anche abbandonarsi fu impossibile.
«Non resistermi, rilassati. Fammi entrare nel tuo cuore e permettimi di esplorare la tua anima» gli sussurrò all’orecchio la fredda e pungente voce alle sue spalle.
«Chi sei?»
«Aura», riecheggiò leggero il nome nella stanza.
La piccola candela ormai era un puntino lontano e, con il cedere progressivo delle esili gambe, la vista gli si offuscò.
La mano, ben salda sulla sua testa, la fonte del suo malessere.
Improvvisamente, dal nulla, sentì un forte calore crescere dentro di sé.
Il freddo svanì e il sudore riprese a scendere invadente.
Aura posò anche l'altra mano tra i suoi capelli.
Tutt'intorno iniziò a girare e, con il calore del suo corpo in continuo aumento, si sentì ardere gli organi. Con le labbra e gli occhi contorti cercò di sopportare, di resistere. Ma il dolore lo soggiogò.
Una luce accecante illuminò la stanza. Per un secondo, il caratteristico arredamento del piccolo negozio comparve dall’oscurità.
Aura cadde rovinosamente a terra spinta da una forza sconosciuta. La candela si spense precipitando al suolo e il buio riavvolse la stanza. Jack, in preda alle convulsioni, si ritrovò sulle ginocchia completamente sudato, vuoto e senza forze.
Chiuse gli occhi.
Bruciavano tremendamente e rapito dall'oblio, si lasciò andare al suolo privo di sensi.
Aura era ancora a terra quando Santos rientrò nella stanza da una piccola porta ovale sulla sinistra.
«Cos'è successo?» domandò l'astro soccorrendola.
«È lui, il nostro salvatore è lui!» disse la ninfa, sorridendogli dolorante.
«Le tue mani…», le guardò Santos preoccupato.
Non sapeva cosa fosse successo. Seduto su una sedia scolpita nel legno, aveva aspettato nella stanza accanto logorato dall’ansia. Poi, quell’improvvisa luce che aveva oltrepassato gli spiragli della piccola porta e una forte folata di vento seguita da una calma piena di paure. Come un fulmine li aveva raggiunti trovando l'amica stesa al suolo e con le mani completamente ustionate. Accanto a lei, il corpo inerme del giovane.
«Le fiamme! Ho visto il fuoco ardere nel suo fragile cuore».
«Le tue mani…» ripeté sconvolto con un nodo alla gola.
Le parole della ninfa si erano perse nel nulla. Nella sua mente, le orribili bruciature sulle piccole e sottili mani dell’adorata amica.
«Ashar è tornato tra noi», continuò Aura alzandosi.
Santos fece un lungo respiro cercando lucidità.
«Non dovevo coinvolgerti».
Lentamente, prese le mani fra le sue e per un attimo, i loro sguardi si incrociarono. Aura le ritrasse subito, ma quel luccichio negli occhi parlò per lei. Fresco era ancora il ricordo di quel giorno. Se solo Santos avesse saputo. Le leggi però erano chiare e nessuno poteva infrangerle.
«Era necessario» rispose Aura accarezzandogli il volto con delicatezza.
«Non temere», così dicendo, si portò le mani vicino alle labbra e soffiò lievemente. L’aria gelida che ne uscì avvolse le ferite e in pochi secondi, la pelle le si rigenerò tornando trasparente e brillante senza alcuna cicatrice.
Nell’assistere a quella strabiliante guarigione, la mente dell’astro volò indietro nel tempo, quando entrambi condividevano i momenti di gioco. Il ricordo della terribile sbucciatura dell’amica, causata da una forte caduta da un alto albero, era ancora vivido nella sua mente. Ancor di più però lo era la miracolosa guarigione. Figlie dirette della natura, le ninfe avevano il dono della rigenerazione dei tessuti. Nell’ammirare per la seconda volta quella magia unica nel suo genere, un nodo gli strinse il cuore. La nostalgia dell’infanzia ormai così lontana e dei momenti interminabili passati insieme gli rivoltò lo stomaco.
«Il potere sprigionato è una misera parte di quel che si cela realmente in lui», proseguì Aura riportando lo sguardo su Jack.
Perso nel ghiaccio dei suoi occhi, Santos non rispose. Trasparenti, brillanti e dalle innumerevoli sfumature celesti, lo incantarono e senza accorgersene, le sue iridi mutarono. Un giallo intenso le avvolse testimoniando la voglia di evadere, di libertà. Il desiderio del cambiamento e la ricerca dell'ignoto, di una nuova vita.
Poi, inaspettatamente, la ninfa s’incupì.
«Ho visto qualcosa oltre le fiamme…». Si fermò un istante in un lungo sospiro.
L’astro si bloccò, l’espressione dell’amica, seria e piena di preoccupazione.
Forse, la risposta alla domanda che più di tutte lo aveva turbato negli ultimi giorni era quella che temeva e che sperava non arrivasse mai.
«Nel profondo del suo cuore, avvolta dal fuoco, una parte buia e malvagia si nasconde».
Quelle parole, sintetiche quanto devastanti, lo colpirono allo stomaco. I suoi timori, che con fatica aveva tenuto a bada, si erano trasformati in realtà. Strinse i pugni con forza sbattendoli contro il muro. Nonostante i suoi sforzi, non era riuscito a impedirlo. Era stato scelto tra altri astri per compiere quella delicata quanto pericolosa missione. Il suo, secondo il giudizio del Gran Consiglio, era il profilo più adatto per svolgere un compito così vitale. A quanto pareva però, già da subito aveva fallito. Purtroppo, l’amica non si sbagliava e negare non sarebbe servito a nulla.
«Non è stata colpa tua, non ti punire!», provò a consolarlo Aura prendendogli le lunghe mani tra le sue.
«Non dovevano scegliere me! C’erano altri per svolgere questo compito, altri più qualificati. Ho fallito, non ho scusanti!», continuò afflitto.
Se già impervia e suicida, ora la missione lo era ancor di più.
«Così insulti gli Anziani. Se ti hanno scelto, un motivo c'è».
Le loro mani, strette le une tra le altre.
Santos scosse il capo rifiutando quelle parole.
Adirato con se stesso, sfilò delicatamente le affusolate dita ormai in preda a leggeri tremori.
Aura, dispiaciuta nel vederlo in quello stato, si avvicinò al giovane ancora inerme sul pavimento.
«Ognuno di noi, nel profondo e a prescindere dalla razza, cela una parte buia». Sospirò nuovamente. Non era facile trovare le giuste parole ma era necessario per spronarlo.
«Ricorda le sue origini. Gli umani sono una delle razze più crudeli e corrotte. Una macchia d’ombra nel suo cuore non dovrebbe stupirti nonostante la sua sia terribilmente oscura».
Santos ascoltò divorato dai sensi di colpa.
«Non doveva andare così, avevo il compito di proteggerlo!» urlò con tutto il fiato in corpo.
«E lo hai fatto. Se non fosse stato per il tuo intervento, ora sarebbe prigioniero del Trokor!», lo imbeccò la ninfa alzando la voce.
L’astro si passò le mani fra i lunghi capelli corvini sfilandosi il piccolo pezzo di stoffa e, nervoso, aprì la mano destra con decisione. Dal nulla e carica di rabbia, si generò, a pochi centimetri dal palmo, una piccola palla di fuoco.
La stanza, priva di finestre, s'illuminò.
«Lurida bestia!»
«Rilassati Santos…», cercò di calmarlo Aura visibilmente scossa da quell'improvvisa e pericolosa reazione.
«La pagherai!».
L'urlo dell'astro riecheggiò nella stanza e la sfera aumentò notevolmente.
«Santos!», tuonò la ninfa sprigionando una forte raffica d'aria gelida avvicinandoglisi severa.
La temperatura della stanza, ormai fin troppo alta, calò vertiginosamente e il corpo snello dell'astro si ricoprì di un leggero strato di ghiaccio. La sfera mutò con il suo creatore ghiacciandosi all'istante e così, dopo essere apparsa ardente, scivolò dallla sua mano infrangendosi al suolo in mille cristalli. Santos, tremante, ritornò in sé.
«Scusami…», si lasciò andare al suolo stringendosi il capo.
«Guardati!», lo rimproverò Aura.
«Che fine ha fatto l'astro coraggioso e impavido che conoscevo? Alzati e reagisci al posto di piangerti addosso!».
Nel sentire l'amata parlargli così duramente, Santos si alzò cercando di ritrovare la stabilità d'animo che da sempre lo aveva contraddistinto.
«Ti ringrazio…», la guardò serio dopo alcuni secondi.
Vedendolo nuovamente integro, la ninfa si calmò soddisfatta e la temperatura, gelida, iniziò nuovamente a stabilizzarsi.
«Hai ragione. Perdere il controllo non aiuta nessuno, ma devi sapere che Jack è vittima del primo sogno d'iniziazione…», si fermò un secondo regolando il respiro.
«Sai di cosa parlo?».
Aura, che aveva percepito un male fin troppo forte dentro il cuore del giovane terrestre, trasalì cercando di non darlo a vedere. Ora, tutto le era chiaro e guardando l'amico negli occhi, capì il reale motivo del suo comportamento.
«Sì, è il rituale antico con il quale il male avvicina a sé nuovi seguaci tramite tre orribili sogni» rispose con un filo di voce.
L'astro, sconsolato, mosse il capo confermando le sue parole. La gravità della situazione era maggiore di quel che Aura pensava ma, di certo, non poteva mostrarsi turbata dopo i discorsi precedenti.
«Se Ashar, il grande e onnipotente re del sole, padre di tutti i padri, ha scelto un umano, stai pur tranquillo che non è un caso. Devi essere forte, nessuno ha detto che sarebbe stato facile e tanto meno come fare. Lo hai salvato ed è un successo non da poco».
La ninfa aveva ragione.
Come suo astro protettore, nonché guida e mentore, doveva reagire affrontando al meglio il suo compito.
Respirò profondamente.
Entrambi fissarono il giovane.
«Il suo cuore è più forte di quanto pensi, non temere». Quelle parole, ossigeno puro per lui.
«Ricorda che il rituale è composto da tre sogni. Starà a te vegliare su di lui impedendo all’oscurità di continuare il suo infido piano».
In quell'istante, la forza e il coraggio tornarono e sapendo esattamente cosa fare, Santos strinse i pugni determinato.
Doveva salvarlo a ogni costo, proteggere la sua anima dall'oblio della più totale perdizione e nessuno, stregone o semidio, glielo avrebbe impedito.
«Ingrati!», li rimproverò Boris sbucando da sotto il mantello di Jack interamente affumicato. Nel vederlo, Santos spalancò gli occhi sentendosi in colpa per essersene completamente dimenticato.
«Santi numi!» esclamò il folletto guardando Aura.
Da sempre, le ninfe lo terrorizzavano e mai nessuno era riuscito a capirne il motivo.
«Amico mio…», si affrettò Santos piegandosi sulle ginocchia per accertarsi delle sue condizioni.
«Sto bene astro, non farmi da balia». Sbuffò Boris passandosi un lembo del mantello sul piccolo e tozzo volto.
«Ci vuole ben altro per mettermi al tappeto!», continuò burbero sbattendosi le vesti.
Quella, sicuramente un'altra vicenda che avrebbe decantato per il resto della vita elogiando la sua ineguagliabile resistenza fisica.
«Ha carattere il giovanotto!», terminò ironico pulendosi la folta e bruciacchiata barba grigia.
«Non cambierai mai!», gli sorrise l'astro. La sua boriosità, nonostante avesse rischiato fortemente di morire carbonizzato, integra come sempre.
«Vi ho sentiti…». Si limitò il folletto provando a posare lo sguardo sulla ninfa senza successo.
«Starò al tuo fianco e proverò a rendere meno pesante questo fardello per le tue esili spalle. Ti aiuterò vegliando con tutte le mie forze sul salvatore. Questo, sempre se tu lo vorrai ovviamente».
Il suo unico compito, non altro che un semplice favore per un caro e vecchio amico, era stato quello di portare le vesti al loro arrivo, niente più. Aggregarsi nel viaggio verso Fati non era stato previsto e dopo aver accompagnato l'astro in quella casa, si sarebbe dovuto fermare nella città per conto suo.
Non era tenuto a far altro se non tornarsene nel suo piccolo regno ma questa volta, la posta in gioco era decisamente alta. Purtroppo, annoverava l'intera Costellazione.
«Mai ho trovato più onore e coraggio che in te, piccolo amico. Sarebbe un privilegio condividere questa missione al tuo fianco».
Aura restò in disparte, quello che stava accadendo la riempì di gioia.
Santos ora aveva un compagno che, per quanto piccolo, mostrava coraggio e personalità.
In quell'istante, carico di sentimento, i due compagni si scambiarono una simbolica quanto importante stretta di mano, sancendo così la loro alleanza.
«Amici miei, custodi, poco più di un anno ci divide dalla visione oscura. Il vostro sarà un cammino tortuoso e pieno di ostacoli ed è per questo che le vostre anime non dovranno mai vacillare.», ufficializzò il patto Aura guardandoli orgogliosa.
Per quanto lungo, un anno sembrò poco per poter preparare il giovane terrestre a compiere il proprio destino ma, spinti l'uno dalla forza dell'altro, non si scoraggiarono fiduciosi delle proprie capacità.
«Inizieremo l’addestramento non appena riprenderà le forze!», stabilì così l’astro posando lo sguardo su Jack.
Con un fisico così esile, prepararlo ad affrontare creature potenti e senza scrupoli non sarebbe stato facile ma le qualità per farlo, di certo, non gli mancavano.
Boris, consapevole del buon senso dell'amico, annuì. Orgoglioso e deciso a essere un prezioso aiuto si massaggiò la folta barba.