Читать книгу Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio - Страница 9
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ОглавлениеIl sole ormai aveva finito il suo turno giornaliero e nel cielo cominciavano a spuntare qua e là i primi corpi celesti mentre una splendida luna, secondo dopo secondo, diventava sempre più luminosa.
Jack, tornando a casa, ricominciò a pensare a lei.
Non si era mai accorto, come in quel giorno, che l’amava dal profondo del cuore.
Era in seconda liceo, ma conosceva Stella dalla prima media. Avevano frequentato lo stesso istituto ma in due classi diverse.
Lui si era subito accorto di lei e già dal primo momento, aveva cominciato a nutrire un forte sentimento nei suoi confronti.
Lei invece, nei tre anni delle medie non lo aveva mai calcolato. Forse era anche quello a rendere così ossessiva la sua passione.
Jack era un ragazzo timido che preferiva stare da solo piuttosto che provare a conoscere dei nuovi ragazzi.
Girò l’angolo in fondo alla via di casa quando riconobbe, vicino alla sua abitazione, una figura in lontananza.
Trasalì.
All'ombra del lampione, di nuovo lui, il vecchio.
La figura si accorse della sua presenza. Voltandogli le spalle, si diresse verso il fondo della via che si tuffava nella piazza del mercato.
Jack guardò l’ora sul cellulare. Erano le sette meno venti, il suo coprifuoco era ancora lontano. Aveva cinquanta minuti a disposizione. Senza pensarci, e stupendosi del suo coraggio, decise di riseguirlo.
Aumentò il passo.
La figura aveva già svoltato l’angolo e ora si trovava nella piazza dove ogni mattina c’era il mercato.
Jack arrivò all’incrocio quando un senso di vertigini lo bloccò.
Aveva paura.
Quell’uomo lo terrorizzava. Il grosso impermeabile gli copriva il corpo. L’unica cosa che riuscì a notare fu una marcata protuberanza nella schiena. Doveva essere una gobba. Stupito di non averla notata la stessa mattina sotto la luce del sole, rimase senza idee, indeciso sul da farsi.
La protuberanza influiva sulla camminata, rendendola lenta e ondulatoria.
Il giovane fece un lungo respiro e svoltò l’angolo.
La piazza a quell’ora era quasi deserta. Tutti, ormai nelle proprie case.
Le uniche presenze in quella desolazione erano il netturbino Dork e l’immancabile Miles, il senzatetto dai folti quanto pazzi capelli bianchi che ormai abitava da più di cinque anni sotto l’albero vicino alla fontana centrale.
L’opera, realizzata da uno dei primi architetti della città, brillava bagnata dagli spruzzi d’acqua sotto i raggi della luna nascente. Con la base esagonale, che grazie ai sei lati forniva molteplici punti di sosta per i cittadini, presentava, nel centro, una grossa statua scolpita nel verde marmo pregiato delle zone limitrofe. L’intera struttura godeva del prezioso minerale. Un tenero bambino impugnava in entrambe le mani, rivolte verso il cielo, due grossi innaffiatoi, dai quali svariati getti schizzavano in alto per poi ricadere su se stessi
Del vecchio gobbo, nessuna traccia.
Jack decise di raggiungere la fontana. Da lì, avrebbe potuto analizzare meglio la situazione.
Nonostante l'estate alle porte, l’aria pungente di quella sera lo costrinse a tirarsi su il cappuccio del suo giubbino nero.
Raggiunto il monumento, non riuscì ugualmente a vedere dov’era finito l’uomo e arreso e turbato per l’ennesima stranezza di quel pazzo giorno, si avviò nuovamente verso casa.
“Almeno sono in anticipo” si disse Jack voltandosi verso la piazza per l’ultima volta.
Imboccò la via di casa quando, per avvisare la madre del suo arrivo, si accorse di aver perso il cellulare.
Scosse il capo imprecando.
«La fontana!» esclamò voltandosi speranzoso. Era stanco e non aveva nessuna voglia di tornare indietro ma di certo non poteva lasciare lì il suo telefono.
La madre aveva fatto un enorme sacrificio per regalarglielo. Era l’ultimo modello e non poteva assolutamente perderlo.
Ritornato nella piazza, affannato per l’andatura veloce, lo ritrovò ai piedi di uno dei sei lati marmorei. Decise di sedersi sul bordo leggermente umido della struttura. Al coprifuoco, mancavano ancora trenta minuti e l’arietta gelida che tirava in piazza lo aveva avvolto procurandogli quei brividi che a lui piacevano tanto.
Restò lì per un bel po', senza pensare a niente, facendosi accarezzare da quel vento così penetrante quanto confortevole. Mancavano pochi minuti alle sette e mezzo. Non si era accorto del tempo trascorso.
Si alzò per andarsene quando la sua attenzione fu attirata da Miles, il senzatetto che, allegro e nel suo mondo, stava giochicchiando con un foulard rosa.
«Ciao Miles, dove l’hai preso quel foulard?» domandò il giovane con un tono che non riconobbe neanche lui.
«Ca… ca… calmati ra … ragazzo» balbettò l’uomo infastidito.
«L’ho trovato per terra e adesso è mio, però se lo vuoi te lo do per dieci monete.
Che dici ci stai amico? È un affare!», concluse il senzatetto speranzoso.
«Mi dispiace Miles ma non ho il portafogli con me. L’unica cosa che vorrei sapere è dove l’hai trovato, mi faresti un grosso favore» rispose il giovane con tono amichevole.
«Gua… Guarda l’ho trovato giusto mezz'oretta fa. È caduto a quello strano signore gobbo, io l’ho trovato, non è più suo.
Poi che se ne fa lui di un fazzoletto rosa? Ricco com’è non se ne accorgerà mai», lo strinse forte tra le mani per paura di perderlo.
«No, figurati ormai è tuo a tutti gli effetti», lo assecondò Jack.
«E perché dici che è ricco?», era incuriosito.
«Perché ha u.. una ca.. casa bellissima, proprio là, sopra al bar.
Sai quello una volta era il mio appartamento, poi però ho scelto di andarmene. Volevo provare nuove esperienze, girare il mondo». Miles stava come al suo solito delirando. Gli aveva comunque dato un’ottima informazione.
Quell’appartamento era stato da poco ristrutturato da una ditta edile della zona e dalle voci che giravano per il paese, il prezzo di quel vecchio appartamento era aumentato vertiginosamente dopo i lavori.
Jack doveva saperne di più su quell’individuo.
Ormai era tardi. Avrebbe fatto arrabbiare la madre per la seconda volta in un giorno.
Il vento si alzò portando dal nord una grossa coltre di nubi.
L’indomani, sarebbe piovuto quasi sicuramente.
Arrivato a casa, trovò la madre appisolata sul divano. Capitava sovente che la donna, dopo le giornate stremanti al lavoro, si addormentasse nel salotto con la televisione accesa. Nel vederla, così tranquilla e immersa completamente nei suoi sogni, il giovane decise di non svegliarla. I lunghi capelli neri poggiavano sul morbido cuscino blu e in quell’istante, nell’assoluto silenzio di quel momento, Jack tremò. Il pensiero cadde sul macabro e terribile sogno fatto la mattina. Chiuse gli occhi per un istante e scacciò via quelle orribili immagini che, come una cascata, lo avevano nuovamente travolto. La guardò ancora per alcuni secondi e cercando di non fare rumore, salì in camera sua per togliersi di dosso i vestiti ormai sporchi a causa dei percorsi fatti durante il giorno. Dalla finestra, la luna e le stelle, coperte leggermente dalle nubi, erano ancora ben visibili. Quello, uno spettacolo per un giovane sedicenne timido e romantico come lui. Fin da piccolo il cielo lo aveva sempre attratto. Il sole, un’immensa palla di fuoco dalla vita quasi infinita, regnava nei cieli durante il giorno solo per riposare al calar della notte, per far posto alla sua compagna, un’altra sfera brillante che illuminava in un modo meno intenso e più avvolgente il firmamento. Il padre ogni sera gli raccontava storie fantastiche, molte delle quali avevano come protagonisti i due enormi corpi celesti. Per lui era sempre stato un grande piacere ascoltare la lenta e penetrante voce del padre appallottolato sotto il grosso piumone blu scuro, proprio come la notte. E quando Robert non gli narrava di loro, i protagonisti erano esseri magici, dai diversi poteri, abitanti di mondi fantastici e lontani. Nei primi anni di vita, appassionato dalle storie del padre, Jack si perdeva, poggiato sul davanzale della sua piccola finestra, a osservare il cielo e i suoi abitanti, immaginandoseli socchiudendo gli occhi, in quei posti mistici e lontani. Anche le stelle lo lasciavano a bocca aperta.
“Le stelle, piccolo mio, non sono altro che le figlie e i figli del sole e della luna” raccontava Robert seduto sul suo letto passandogli la mano fra i capelli, all’epoca lunghi fino alle spalle.
“E perché di giorno non si vedono?” domandava sempre lui incuriosito.
“Perché durante il giorno, il loro padre, il sole, protegge i cieli aiutato dalle sue fidate guardie, le nuvole, mentre la sua amata e i suoi piccoli vivono le loro vite. Alla fine di ogni giornata, quando ormai i cieli sono al sicuro, lascia loro tutto lo spazio per dormire sonni tranquilli, sempre sotto l’occhio vigile e protettivo delle grandi nuvole. Lui, stanco va a riposare per poi essere pronto per il suo compito il giorno seguente.” L’uomo lo coccolava amorevolmente tutte le sere mentre la moglie, la maggior parte delle volte, era impegnata in ospedale con i turni notturni.
“Che bravo che è. Dev’essere un duro compito per lui, vero papà?”, sorrideva Jack stringendosi tra le coperte e godendosi le carezze.
“Vedi figliolo, tutti i padri sono così, vegliano costantemente sulla propria famiglia per proteggerla e aiutarla sempre. Quando anche tu sarai grande e avrai la tua famiglia, ti comporterai proprio come il sole e ti prenderai cura della tua amata e dei tuoi figli.”
Nel sentire quelle parole il bambino si illuminava sempre, sognando un giorno di essere forte e valoroso come il sole e come suo padre.
“Sei il mio sole allora papà” disse una sera d’estate sorridendogli.
“Certo, amore mio, e non smetterò mai di vegliare su di te e sulla mamma, mai” rispose l'uomo con gli occhi lucidi pieni di gioia e commozione.
“Ma non dimenticare una cosa importantissima, figlio mio” gli disse indicando il cielo della notte.
“Anche la luna, madre delle stelle, veglia sui suoi figli e per lei vale la stessa regola del marito. Proteggere la famiglia.” E nel ricordaglielo sorrideva sempre pensando alla fortuna di aver sposato una donna formidabile che gli aveva donato un figlio eccezionale.
Jack ascoltava sempre a bocca aperta, rapito dalla magia delle storie che l’uomo gli raccontava con tanto amore.
Ma ora, non era più un bambino e nel ripensare a quelle splendide serate passate in compagnia del padre, si strinse in se stesso cercando di immaginare ancora una volta quelle splendide carezze che lo accompagnavano nel sonno e che da anni ormai non c’erano più.
La promessa fatta prima della sua scomparsa era ben incisa nella sua mente e nel suo cuore. Con la sua assenza, ora era diventato lui il sole della famiglia e come tale, doveva proteggere la sua adorata madre.
Quando scese in salotto per svegliarla, le raccontò che era arrivato una ventina di minuti prima e che aveva preferito lasciarla dormire ancora un po’. Ancora assonnata, la madre gli sorrise abbracciandolo e si alzò per preparare la cena che, come al solito, si rivelò stupendamente squisita.
I due cenarono tranquillamente e la donna, che passava sempre poco tempo con il figlio, iniziò a fargli qualche domanda sulla sua vita privata.
«Max si è divertito alla gita?»
«Sì e avrei voluto andarci anche io. Scusami, ti ho fatto sprecare dei soldi. Non ho proprio sentito la sveglia», si scusò Jack prendendo con la forchetta l’ultimo pezzo di pollo al limone dal suo piatto.
«Non preoccuparti, l’importante è che da oggi non si ripeta più. Dopodomani ho il pomeriggio libero prima della notte. Andremo a comprare una sveglia di quelle fastidiose e rumorose, così riuscirai a svegliarti anche se stanco dagli allenamenti.» rispose la donna sorridendogli per poi mandare giù una lunga sorsata di vino rosso.
«Va bene, andremo insieme. Non vedo l’ora».
Il giovane adorava trascorrere il tempo libero con lei.
«A proposito, come sta andando la preparazione fisica per le gare del prossimo mese?»
«Bene, sono massacranti, ma i risultati si vedono già e per l’inizio delle gare, sarò in forma pronto a fronteggiarmi con tutti», le strizzò l’occhio il giovane convinto delle proprie abilità.
La donna, che una volta al mese riusciva ad andare a vedere gli allenamenti, sorrise orgogliosa. Parlava sempre con il maestro e a detta sua, Jack era nato per quello sport. Con il suo fisico snello e le lunghe leve per la sua età, riusciva a sfoderare colpi decisivi dove gli altri non arrivavano, neutralizzando così le difese dei suoi avversari.
La cena era sempre il momento per una sana e bella chiacchierata e il ragazzo se la godeva pienamente ogni volta. La madre non andava mai oltre alle domande generiche, lasciando così la giusta privacy al figlio, che quando ne aveva bisogno le raccontava spontaneamente ogni cosa. Di Stella, la ragazza per cui perdeva la testa da anni, non le aveva mai accennato nulla, forse per il semplice fatto che con lei non aveva mai avuto un vero e proprio contatto. Si era comunque convinto che, in uno dei giorni seguenti, glielo avrebbe detto. Sicuramente, avrebbe ricevuto qualche consiglio utile per combattere la sua forte timidezza e andarle finalmente a parlare. Il sol pensiero gli faceva tremare le gambe e gli contorceva lo stomaco. Parlarne voleva dire trasformare i suoi pensieri in realtà, una realtà in cui lei gli era tremendamente distante. La paura e la tensione erano sempre al massimo quando si trattava dell'amata.
Dopo aver aiutato la madre a sparecchiare e lavare i piatti, entrambi si misero sul divano davanti a una delle puntate della terza stagione di una nota serie poliziesca, per la quale la donna, a furia di guardarla con il figlio, nutriva un certo interesse. Dopo poco tempo però, entrambi caddero in un sonno profondo, stanchi delle rispettive giornate.