Читать книгу Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio - Страница 8
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ОглавлениеUscì di casa spensierato. Fortunatamente, la madre non lo aveva messo in castigo per non essere andato a scuola.
In fin dei conti era veramente brava, non riusciva mai a essere arrabbiata con lui per più di un’ora.
All’improvviso, un morso al cuore lo bloccò.
Dal nulla, le immagini atroci del sogno che aveva fatto gli invasero la mente. A farlo nuovamente tremare, le uguaglianze con la realtà di quella mattina.
Non riuscì a immaginare un mondo senza la sua adorata e bellissima mamma.
Cercò di scacciare via quegli orribili pensieri scuotendo ripetutamente il capo. L’unica cosa importante era che la madre stava bene, tolta ovviamente l’immensa stanchezza dovuta ai turni massacranti al lavoro. Non poteva arrovellarsi le meningi in preda a una paura irreale dovuta a un sogno maledettamente strano e contorto. Certo, avrebbe continuato a indagare, voleva sapere chi era quel vecchio e cosa voleva da sua madre, ma doveva pensare in modo positivo.
L’unica cosa che non riusciva a spiegarsi, e che non si era ancora chiesto, era come fosse possibile l'aver sognato proprio quello che poi era successo. Questo voleva dire che aveva salvato la vita a sua madre?
O magari era stata solo pura coincidenza?
Una cosa era certa, la donna godeva di ottima salute. Quindi, in qualche modo aveva cambiato il futuro?
Doveva approfondire le indagini sui sogni e sui loro significati e dopo aver parlato con l'amico, avrebbe spulciato il web alla ricerca di nuove risposte.
Immerso nei suoi pensieri, arrivò nel piazzale davanti alla scuola, dove, nell’arco di dieci minuti, sarebbero arrivati i due pullman. L’edificio scolastico, che grazie agli sforzi del comune era sempre in buono stato, lo opprimeva ogni volta. Jack non era fatto per seguire le regole e tanto meno quelle scolastiche. Fin da piccolo, aveva mostrato un carattere estroso e vivace, seminando il panico tra le maestre d’asilo, fino a far impazzire, ormai cresciuto, anche quelle delle medie e delle superiori. Era più forte di lui, la sua mente era sempre attiva e come tale, aveva un bisogno costante di svaghi. Stare fermo per sei o sette ore, seduto su una scomoda sedia di legno e di metallo davanti a un piccolo banco a fissare la lavagna o il professore di turno, proprio non gli riusciva. Era solito assentarsi durante le lezioni trovando sempre diecimila scuse. Aveva bisogno di muoversi, anche solo nei corridoi, ma stare fermo per così tanto tempo era impossibile. La giovane madre infatti, che inizialmente aveva storto e non poco il naso per iscriverlo in palestra, si era convinta, sotto il suggerimento di alcuni colleghi, ad accettare la richiesta del figlio, convinta che il grande e continuo sforzo fisico avrebbe aiutato il ragazzo a sfogare le energie migliorandone così il comportamento a scuola. Malgrado come idea sembrasse perfetta, Jack continuò a mostrare un forte senso di rifiuto verso l'istituzione scolastica.
In quei dieci minuti, un bellissimo pensiero lo catturò.
Stella.
Rivide loro due sotto l’albero in fiore, le carezze, gli abbracci e il bacio. Tutto era perfetto. Anche quel sogno aveva dell’incredibile.
Il forte rumore del clacson, lo fece tornare alla realtà.
Senza accorgersene, si era fermato nel parcheggio riservato al pullman.
Alzò lo sguardo spaventato ritrovandosi le decine di sguardi degli studenti puntati addosso, sentendone chiaramente le risate.
Come sempre, aveva attirato le attenzioni su di lui.
Si spostò goffamente sul marciapiede e aspettò che Max scendesse dal veicolo.
Un ragazzo basso, tarchiato e ansioso, scese per primo le scale del pullman verdastro. Un sorriso enorme stampato sul viso tondo come un pallone lo rallegrò istantaneamente. Era Max, il suo migliore amico.
«Perché non sei venuto? Sai, è stato veramente bello, abbiamo visto una grotta antica, della preistoria.» iniziò a macchinetta il giovane con il viso fortemente scottato dal sole.
«È stato veramente stupendo, una giornata fantastica.
Ho litigato con Tom Dinner, per poco non gli tiravo un pugno, sai ho visto una volpe, era bellissima e …»
«Calmati Max, calmati lo so, dev’essere stato tutto bellissimo ma adesso ti devo raccontare io qualcosa di veramente importante. Andiamo al rifugio.», lo interruppe Jack sorridendo ironicamente nel vederlo tirar fuori dalle tasche due barrette al cioccolato.
Con un gesto istantaneo, l'amico gliene porse una senza neanche chiederglielo. Era tipico del giovane girare sempre con le scorte di cibo ovunque andasse, tanto più, per una gita di una giornata intera. Nel pensare alle miriadi di merendine e snack, accompagnate da chissà quante bevande e panini che l’amico si era sicuramente portato quel giorno, Jack scoppiò a ridere di gusto. Quello, il primo sorriso della giornata.
I due si stavano avviando quando due mani rugose si appoggiarono sulle loro spalle.
«Dove pensate di andare brutti scansafatiche?». La professoressa Lort, in ghingheri con uno dei suoi soliti completi appartenenti a mode preistoriche, li aveva raggiunti silenziosa come un serpente afferrandoli saldamente.
«Salve professoressa…» si affrettò Jack stampandosi un finto e cordiale sorriso sulle labbra.
«No, stavamo andando a casa» continuò Max velocemente.
«Voi due non me la raccontate giusta, sento l’odore di una bugia lontano anche un chilometro» li rimproverò la donna paonazza.
Non aveva mai sopportato Jack e per forza di cose anche Max che da sempre lo seguiva ovunque.
Non li lasciava respirare tenendo sempre i piccoli e maligni occhi puntati loro addosso.
Dopo un momento di silenzio, la professoressa piantò il suo sottile e velenoso sguardo su Jack.
«E lei signorino, dove è stato di bello oggi? Sa, sarà la vecchiaia, ma io sono sicura di non averla vista in gita insieme ai suoi compagni. Me lo sa spiegare?». Concluse la vecchia con un ghigno nervoso sulle labbra.
«Mia madre ha parlato con la scuola già questa mattina giustificando la mia assenza». Rispose velocemente alzando le spalle.
«Starei ancora qui a parlare con lei prof ma devo andare o farò tardi a casa. Salve. E complimenti per il suo look, magnifico come sempre!». Concluse Jack spavaldo prendendo sottobraccio l'amico.
Era proprio per questo suo atteggiamento che si era guadagnato l’antipatia della Lort, e non solo.
La vecchia professoressa di letteratura rimase spiazzata da quella risposta. Avrebbe preferito avvisare lei la madre del ragazzo, così da poterle suggerire anche una bella punizione.
Lasciata alle spalle la Lort, i due si avviarono verso il loro rifugio. La scorbutica professoressa, ancora infastidita, li osservò fin quando, dopo essersi girati facendole un inchino, i due amici sparirono dietro a un angolo imboccando una piccola stradina.
«Devi sempre esagerare», scoppiò a ridere Max a bocca aperta mostrandogli la pastura di cioccolato e saliva appiccicata tra i denti.
«Non ce l'ho fatta. Ma l’hai vista bene? Si veste come un dinosauro, io non capisco perché nessuno le dica nulla. Lo dico per il suo bene, sai?», entrambi si lasciarono andare ridendo di gusto.
Per lei, Jack ne aveva sempre una pronta.
«Per non parlare del suo alito, credo che segua una dieta a base d'aglio, è l’unica spiegazione. Se mai ci fosse un’invasione di vampiri, beh, lei si salverebbe», concluse il giovane scartando la sua barretta.
Max, ancora con la bocca piena, non riuscì a controllarsi e ridendo, sputò metà di quel che stava masticando a terra ridendo così ancor di più.
Erano passati pochi minuti da quando aveva incontrato l’amico e già tutto, gli sembrò meno pesante di prima.
Erano amici da sempre, stesso asilo, stessa materna e così via fino alle superiori. Il loro, un forte legame, indissolubile. La genuinità del paffuto amico e l’aspetto comico lo rendevano il compagno di giochi perfetto. Di grossa corporatura, Max era il classico ragazzino sovrappeso. Ma la parte migliore era il viso: tondo come una padella, pallido e ricoperto da decine di lentiggini interrotte solo dai due occhioni azzurri. Il tutto, sormontato da un folta chioma di ricci capelli arancioni arruffati costantemente. Solo a guardarlo, chiunque si faceva scappare un sorriso. Totalmente diverso dagli altri classici ragazzi stupidi e altezzosi, aveva trovato in lui l'amico ideale. Insieme, non avevano bisogno di nessun altro. Bastavano loro due per riempirsi le giornate, costantemente accompagnate da continue risate.
Un giorno, camminando nel boschetto dietro la scuola, avevano trovato quella piccola costruzione in legno usata in passato dai giardinieri dell’istituto per depositare gli attrezzi da lavoro.
Abbandonata da anni e ridotta uno straccio, i due l’avevano sistemata come avevano potuto, ribattezzandola poi “Il Rifugio”. Un luogo perfetto in cui passavano, da un paio d’anni, le loro giornate quando non volevano essere disturbati da nessuno. Tutt’intorno la vegetazione, non più curata dai giardinieri, aveva ormai preso il sopravvento creando così delle mura naturali che lo nascondevano alla vista degli altri. Dopo i primi tempi in cui l’avevano adoperato, avevano deciso di renderlo più ospitale. Pulito e arredato con vecchie sedie e un piccolo tavolo portati in spalla, era diventato il loro luogo speciale. Sulle pareti, i poster dei loro film preferiti, tra cui i polizieschi di Jack e gli innumerevoli fantasy di cui entrambi andavano pazzi. L’unico problema era raggiungerlo. Per arrivarci dovevano passare dal cortile della scuola, per poi intrufolarsi in uno squarcio della rete metallica che delimitava il giardino scolastico e da lì, immergersi tra gli alberi e i cespugli della vecchia porzione di terreno un tempo dell'istituto.
«Sai Max, oggi mi è successa una cosa stranissima …» gli disse Jack entrando nella casetta attirando così subito la sua attenzione.
Il giovane raccontò per filo e per segno ogni cosa, tranne il sogno con Stella. Quella, la prima cosa non detta da sempre al paffuto amico.
«Wow, non so che dire. È davvero una cosa strana, non riesco a capire come tu possa aver sognato quello che poi hai vissuto, anche se poi, da quello che mi hai detto, l’hai modificato e hai salvato la vita a tua madre… fantastico», commentò Max sbalordito. La semplicità di quel ragazzo, a dir poco unica.
«Non so se ho salvato la vita a mia madre, so solo che ho rivissuto il mio sogno, anche se in modo diverso. Non sono finito contro il bidone, addosso alla vecchia e al ciclista, eppure sono sicuro che l’avrei fatto se non avessi saputo cosa sarebbe successo a mia madre».
Confuso, Jack si scompigliò i capelli sperando di venirne a capo in qualche modo.
«Poi ho seguito quello strano individuo in mezzo al bosco della periferia…
Mi sono informato e ho scoperto che, anni a dietro, in quella vecchia fattoria è successa una macabra vicenda».
Max, tremendamente rapito dal discorso, ascoltava senza battere ciglio, continuando a mangiare quasi fosse davanti all’immenso schermo del piccolo cinema di Sentils, dov’erano soliti andare ogni qualvolta usciva un film degno della loro critica attenzione.
«Domani ho intenzione di tornarci ed entrare in quella fattoria. Che dici Max ci stai?», terminò Jack cercando approvazione.
«Ma certo fratello, vengo dove vuoi.»
Jack si rilassò sorridendo nel sentire quelle parole. Non era più solo e la sicurezza di andare fino in fondo a quella faccenda si solidificò enormemente. Il paffuto amico non lo aveva deluso e come succedeva da che aveva memoria, per ogni cosa, lui c’era e viceversa.
I due ripercorsero la strada passando nuovamente come due abili ladri nel cortile della scuola per poi scavalcare il muretto che la separava dalla strada.
«Bene, è tardi, domani mattina vieni a prendermi per le sette e mezza?», lo invitò Jack salutandolo con una stretta di mano per poi avviarsi verso casa.
«Ok fratello, a domani!». Queste furono le ultime parole di un discorso durato più di un’ora.
Jack, svoltato l'angolo, sorrise allegramente. Appartenevano a famiglie diverse, ma in tutto e per tutto si ritenevano l’uno il fratello dell’altro. La loro, un’invidiabile amicizia fondata sull’onestà.