Читать книгу Lo Spirito Del Fuoco - Matteo Vittorio Allorio - Страница 13
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ОглавлениеLe folte chiome verdi brillavano illuminate dal sole e gli immensi campi, ricoperti da un'infinità di fiori variopinti, si alternavano con meravigliosi ruscelli dalle trasparenti acque.
Jack, in silenzio da diverse ore, perso in quei colori. Per lui, nonostante l’ineguagliabile bellezza dell’ambiente circostante, la pace era ancora lontana. Sperava fosse tutto un sogno ma, in cuor suo, la realtà doleva.
Santos, immerso nei suoi pensieri, proseguiva tra gli alberi a pochi metri di distanza, svoltando saltuariamente e seguendo un percorso inciso nella sua memoria.
Il ragazzo era provato, mentalmente e fisicamente. Il suo pensiero volò lontano. Ritornò sulla Terra, da Stella. Il cuore gli ribollì come un vulcano.
Bella come non mai era lì, vicino all'entrata della scuola in compagnia delle sue amiche. Rideva. Uno sguardo veloce nella sua direzione, fugace, nascosto. Aveva un sorriso splendido e solo lui sapeva che un giorno, non definito, sarebbero stati insieme. Lo sperava più di ogni altra cosa al mondo. Voleva stare con lei.
Non sapeva spiegarselo. Ci aveva provato più e più volte a capirne il senso ma senza successo. L’attrazione verso quella ragazza, così semplice e misteriosa, lo aveva travolto dal primo incontro. Si era insultato infinite volte per non aver mai trovato il coraggio di farsi avanti. Avrebbe voluto provare a parlarle almeno una volta, giusto per guardarla diritta negli occhi e sorriderle. Mai ci era riuscito, la paura e la vergogna avevano sempre preso il sopravvento anche in quelle rare occasioni in cui, deciso più che mai, ci aveva provato.
Come un lampo, balenò nella sua mente un terribile pensiero che, in un secondo, lo bloccò. Quella che stava vivendo era la cruda realtà e, come tale, lo aveva separato da sua madre, dal suo caro amico Max e dalla stupenda ragazza della seconda B. Non c’erano soluzioni, si trovava in un altro pianeta e, al sol pensiero, il sangue gli si gelò nelle vene. La folle situazione in cui si trovava superava ogni immaginazione e un dolore profondo, dallo stomaco alle tempie, lo invase.
«Tutto bene ragazzo?» domandò preoccupato l’astro poggiato a un grosso albero poco più avanti.
«Sì…».
Malinconico, Jack alzò lo sguardo al cielo. Tra le possenti e lattee nubi, le immagini delle tre persone a lui care apparvero sbiadite per pochi secondi per poi, veloci, svanire nel nulla.
«Andiamo!», terminò cercando di scacciare via quei nostalgici pensieri.
Santos sapeva, non ci voleva un mago per capirlo. In quei grossi occhioni verdi dalle sfumature grige, si leggeva la verità. Decise di non far domande e di lasciare al giovane il tempo che gli serviva per metabolizzare ogni cosa con la speranza che questo prima o poi accadesse.
Fino a pochi giorni prima, la sua vita era normale. Gli era capitato molte volte di immaginarsi con Max in avventure fantastiche piene di creature magiche dai mille poteri. Ma per un assurdo motivo, la realtà aveva superato l'immaginazione risucchiandolo in un'avventura ancora tutta da scrivere.
Santos, nel vedere il suo protetto in quelle condizioni e ormai il sole scendere dietro alle montagne, decise di fermarsi. Avevano camminato per ore e riposare era quello che serviva a entrambi.
«Passeremo qui la notte», si limitò. Voleva lasciargli i suoi momenti. Non sapeva come ci si doveva comportare con un ragazzino di sedici anni, perlopiù terrestre. Queste cose non facevano parte degli insegnamenti appresi all’accademia e, per non peggiorare la situazione, non si pronunciò ulteriormente.
Jack annuì, sdraiandosi accanto a un grosso salice piangente. In quel luogo incantato, erano seminati ovunque, rendendo il paesaggio ancor più fantastico. I muscoli dolevano ancora ma la sofferenza più forte veniva dal cuore, dal pensiero di aver perso ogni cosa. Era solo, non c’era più nessuno. I lunghi e intrecciati rami cadenti crearono una vera e propria cupola intorno a lui isolandolo da tutto il resto. Per quanto magnifico, l’albero, anche se nel pieno del suo vigore, enfatizzò il suo stato d’animo.
L’inquietudine non lo abbandonò ma dopo pochi minuti gli occhi gli si chiusero trascinandolo in un sonno profondo.
Lo scoppiettio del fuoco lo risvegliò, non sapeva per quanto avesse dormito. La sua mente si era riposata trovando un po’ di pace in un sonno senza sogni.
L'astro era accanto al fuoco, illuminato solo dalle fiamme della piccola brace. Tra le mani, alcune foglie dal colore indecifrabile mosse dal vento.
Decise di non alzarsi e di scrutare ancora l’individuo tra i lunghi rami che lo avevano riparato. Notevolmente più alto di lui e dalla fragile corporatura, gli sembrò senza spina dorsale. I capelli corvini, sciolti e liberi dalla piccola e logora pezza. Non troppo lunghi ma abbastanza da coprirgli la fronte, svolazzavano anch’essi schiavi della brezza.
«Hai fame?» gli domandò l'astro senza neanche voltarsi. Gli occhi, fissi sulla brace.
Come aveva fatto a percepirne lo sguardo?
Colto alla sprovvista, Jack subito non rispose rimanendo immobile.
«Credo di sì…», si alzò imbarazzato. Scostati con delicatezza i lunghi rami del salice, lo raggiunse lento per poi sedersi al suo fianco.
«Foglie di Seda!», fiero, Santos gliene porse una verdastra sorridendogli.
Il giovane la prese, la guardò per un secondo e per non offendere l'astro la mise in bocca senza fare domande.
Il gusto fu orribile. Aspra e acida, la foglia gli bruciò palato e gengive.
Si alzò disgustato. Voleva sputarla immediatamente ma fu subito bloccato dal compagno.
«Devi aspettare qualche secondo, poi vedrai che ti piacerà!», scoppiò a ridere Santos. Jack, paonazzo, lo ascoltò trattenendo un conato per poi risedersi goffamente.
Improvvisamente però, quella terribile amarezza svanì, lasciando il posto a un sapore dolce e leggero.
«Ma…?», sorrise stupito.
Soddisfatto, Santos gliene porse un’altra. La seconda non fu amara ma con un gusto paragonabile alla carne.
«Com’è possibile?» domandò Jack strabiliato.
«In natura, le foglie di Seda sono visibili solo a noi astri. Doni della nostra Madre Terra, sostituiscono ogni cibo animale esistente a noi estraneo. Due di queste equivalgono a un pasto completo e assumono il sapore dei cibi che desideriamo.» spiegò Santos, massaggiandosi lo stomaco appagato.
Jack, sentendosi improvvisamente sazio, annuì meravigliato. Non aveva mai provato nulla di simile.
«Cerca di riposare…», così dicendo l'astro raggiunse un piccolo alberello poco distante e si sdraiò. In pochi secondi, riuscì a trovare la giusta posizione tra i tronchi intrecciati, si voltò l’ultima volta e, con un leggero cenno del capo, gli augurò la buona notte. Troppe domande lo attanagliavano e, temendo le risposte, chiuse gli occhi e prese sonno.
Jack, con lo sguardo perso tra le fiamme ardenti della brace, si staccò da tutto cercando di trovare un equilibrio interiore. Non fu facile, ma dopo pochi minuti, ipnotizzato dalle piccole lingue di fuoco e avvolto dal calore, sentì salire una stanchezza che quasi aveva dimenticato. Dolce e penetrante, lo cullò rilassandone ogni parte del corpo.
Dopo una manciata di minuti, si addormentò accompagnato dai rumori ritmici dei torrenti circostanti accanto al tepore.
Un fruscio gli disturbò il sonno e veloce aprì gli occhi scrutando nel buio. Della luce della brace, ridotta solo più a un cumulo di ceneri incandescenti, nessuna traccia.
Proprio dove l'aveva lasciato, Santos stava dormendo tranquillamente.
Jack prese un sasso poco distante e spaventato lo tirò nei cespugli.
Il fruscio aumentò e dalle verdi chiome uscì una piccola figura.
«È questo il modo di presentarsi giovane terrestre?», sbraitò la sagoma.
«Come puoi essere un eroe se non conosci neanche le buone maniere?», continuò barcollando.
«E tu chi sei?». Nel vederlo massaggiarsi la testa, Jack sorrise.
Non più alto di venti centimetri, lo lasciò a bocca aperta.
«Chi sono io? Chiede pure chi sono io. Ma tu stai scherzando spero! Sono Boris, il capo dei folletti che abitano questo bellissimo pianeta!» brontolò infastidito più che mai guardandolo in cagnesco.
«Razza di sconsiderato… Chi sono io ha chiesto!»
«Vedo che vi siete già conosciuti», li raggiunse Santos.
«Giovane astro, come te la passi? Fatto buon viaggio?» domandò Boris sedendosi su un piccolo sasso.
«È andata».
Bastò quella fredda risposta e il folletto capì.
«Hai portato tutto con te?» domandò severo il protettore della natura.
Il piccolo amico di certo si aspettava un’altra accoglienza.
«È tutto dietro ai cespugli, non manca nulla.» rispose imbronciato.
Jack osservò la scena in silenzio ancora meravigliato dalle sue gnomiche misure.
«Bene». L'astro andò dietro i cespugli, tornandone dopo pochi secondi con una grossa e vecchia sacca beige.
«Su, vestiti!». La tensione si percepiva in ogni sua parola.
«Attireresti troppo l'attenzione in città, dobbiamo mantenere il tuo arrivo segreto», così dicendo, andò a raccogliere le proprie cose ai piedi dell’alberello dai tronchi intrecciati.
Sorpreso, Jack aprì la sacca e ne tirò fuori il contenuto. Un paio di pantaloni neri apparentemente stretti, una lunga e consumata maglietta grigia avvolta da piccole corde di canapa e un logoro mantello nero con il cappuccio erano i suoi nuovi indumenti. Infine, nella juta stropicciata, rimasero solo più un paio di stivali neri e rigidi dalle cinghie argentate.
«Devo metterli?» domandò tenendo in mano la maglietta grigia che, a parer suo, doveva aver vissuto giornate migliori decenni prima.
«Sì!», lo guardò severo l'astro.
«Credete che con questi passi inosservato?».
Quei vestiti sembravano usciti da un museo medievale o da un libro fantasy.
«Non fare storie giovanotto!», s’intromise burbero Boris percependo lo stato d’animo dell'amico.
Senza via d’uscita, Jack iniziò a spogliarsi togliendosi i suoi adorati jeans e la sua inseparabile quanto puzzolente maglietta, per poi vestirsi.
I due sorrisero compiaciuti nel vedere il cambiamento apportato dagli indumenti. Ora, era un vero abitante della Grande Costellazione.
Il ragazzo era lì davanti a loro con il capo chino sulle vesti.
«Come funziona questa strana maglia?» domandò tirandone le corde di canapa da una parte all’altra senza successo.
«Vieni qui», Santos gli si avvicinò e con fare paterno passò le piccole cime nelle apposite asole quasi invisibili. Così, in pochi secondi, l’utilità di quelle strane cordicelle si manifestò. La larga maglietta grigia dalle lunghe maniche gli si attaccò al corpo stretta dalle corde. Ora l’effetto era totalmente diverso e nel guardarsela indosso, Jack sorrise. Gli piaceva, gli dava quel tocco dark medievale che attribuiva alle sue fantasie quando, con l’amico Max, immaginava mondi lontani.
«Iniziamo a ragionare», sorrise allungando davanti a sé le braccia per ammirare il cambiamento. Le piccole cordicelle di canapa serpentavano intorno al busto avvolgendosi poi sulle braccia per terminare sui polsi, lasciando liberi solo gli ultimi centimetri della stoffa grigia che, strappata qua e là, gli accarezzava la parte inferiore delle mani. A dargli il tocco finale, lo scollo a v dai bordi tagliuzzati che lasciava scoperta la parte superiore dei piccoli ma definiti pettorali.
A terra, solo più lo scuro mantello. Lo raccolse entusiasta e, dopo averlo scrutato da cima a fondo, ci si avvolse dentro sentendosi più grande di quel che era, ignorando la secchezza e lo sgradevole odore dei tessuti.
«Tira su il cappuccio», lo invitò impaziente l’astro.
Jack ubbidì. Il contatto non fu piacevole. Il tessuto granelloso gli coprì il volto fin sotto il naso e istintivamente, lo tolse infastidito.
«Non vedo nulla e mi manca l’aria.», si lamentò boccheggiando.
«Tiralo su…» cantilenò Santos alzando gli occhi al cielo.
Boris ghignò da sotto la sua lunga e folta barba grigia. Vedere l’amico alle prese con un adolescente era uno spettacolo insolito quanto divertente.
Jack sbuffò e ubbidì nuovamente. Il fastidio sul viso fu il medesimo e dopo pochi secondi l'aria mancò.
«Santos non ti sto mentendo, non vedo e non respiro.» reiterò il giovane alzando le braccia.
«Aspetta!».
Jack, arreso, annuì. Subito dopo, la secca stoffa davanti al suo volto si sfilò lievemente creando così una fitta rete. Sorpreso, sorrise. Improvvisamente riuscì a vedere e l’aria, fresca e rigeneratrice, iniziò a filtrare tra i filamenti regolandogli il respiro.
«Fantastico!» esclamò incredulo.
Davanti agli occhi soddisfatti dei due compagni di viaggio, il giovane terrestre aveva lasciato il posto a una figura irriconoscibile.
«Perfetto, possiamo andare», tagliò corto Santos stringendo le mani sulla sua cinta. Si vedeva, per quanto volesse nasconderla, la tensione nei suoi gesti.
«Ma…», il giovane guardò la sacca spostando poi il suo sguardo verso Boris.
Subito non ci aveva fatto caso ma ora, il dubbio sul come un essere così minuscolo avesse potuto trasportare un peso del genere lo incuriosiva.
«Insolente!» ruggì il folletto.
«Magia ragazzo mio, magia», s’intromise Santos sorridendo.
«Non sai con chi hai a che fare, stolto di un terrestre.», continuò Boris paonazzo.
«Scusami…», provò a giustificarsi Jack, non aspettandosi una reazione del genere.
«Mi sottovaluti giovane. Non commettere questo stupido errore. In molti sono caduti sotto la mia forza».
Santos trattenne a stento una risata. Il suo caro e piccolo amico stava come al solito esagerando. Era nel suo essere, non poteva fare a meno di esaltare le proprie doti e, quando possibile, di intimorire gli altri. Quello, solo uno specchio per le allodole, una maschera che indossava per il proprio piacere.
«Questa è la prima e ultima volta che tu, piccolo essere mingherlino, ti rivolgi a me con questo tono. In molti sono stati puniti per aver mancato di rispetto al grande Boris, re dei folletti dell’Ovest delle terre di Abram.», continuò il suo piccolo teatrino stringendo i pugni e perdendo leggeri sprazzi di saliva qua e là.
«Non volevo offenderti»
«Ma l’hai fatto!» ruggì il re dell’Ovest.
«Calmati amico mio. Zeno non voleva offenderti ma nel mondo da cui proviene, la magia è assente. Ricordi?», lo guardò l’astro sorridendogli.
«Già…», si contenne il piccolo essere tirando fuori da sotto le vesti un piccolo bastoncino.
«Questa è la mia fedele compagna», continuò minaccioso.
Jack, nel vedere quel minuscolo legnetto lungo meno del suo mignolo, capì che doveva essere una sorta di bacchetta magica o qualcosa di simile.
«Ne siamo consapevoli e Zeno si scusa per la sua leggerezza.», concluse Santos facendo da paciere.
Il ragazzo annuì, rivolse nuovamente lo sguardo verso il piccolo folletto e si lasciò scappare un leggero sorriso da sotto il cappuccio. Aveva percepito nelle parole di Boris non la forza e la paura che voleva trasmettergli ma una simpatia particolare. Gli erano bastati pochi minuti al re dell'Ovest per essere capito realmente e il comportamento tranquillo di Santos ne era la prova.
Per quanto duri e minacciosi, i suoi discorsi cozzavano pienamente col suo minuto e simpatico aspetto, ricordando uno di quei pupazzi presenti nelle slot machine dei luna park. Ovviamente, questo non poteva dirglielo se non voleva mandarlo nuovamente su tutte le furie.
Gli piaceva e si ripromise di non offenderne più l'orgoglio cercando di conoscerlo meglio.
I tre raccolsero tutte le loro cose e, aggrappati alla speranza, ripresero il viaggio verso Fati, la città del mercato.