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CAPITOLO XIV.
Le montagne stanno al posto, gli uomini si trovano.

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Al cader della notte, una linea di fuochi mi si scoperse allo sguardo: a avvicinandoci, trovammo un campo considerevole. Fui condotto in una bella casa di campagna fuor del villaggio; dove stavano alla porta guardie a piedi, guardie a cavallo: uffiziali d'ogni arma, in belle divise, uscivano ed entravano continuamente. Condotto innanzi all'uffizio militare si lesse il rapporto sopra di me, mi fu chiesto il nome, il grado, e poi ordinato — Portatelo di là cogli altri prigionieri.»

Uno de' primi uffiziali disse: — L'hanno spogliato in guisa, che è una vergogna.»

Un altro volgendosi a me soggiunse: — Andate pure; sarà mio pensiero procurarvi abiti decenti.»

Mi condussero nel campo, e là fui consegnato ad un uffiziale, incaricato di custodire i prigionieri. Questi, seduti accanto al fuoco, godevano la loro cena, ed io mi posi fra loro. Ma indovinereste quali furono le prime faccie che distinsi? Sparapane, e allato a lui Carlomagno, che mangiavano ambedue una minestra spessa in un badiale lavamano che la regina Elisabetta reggeva sulle ginocchia, invece di tavola. — Potenzinterra! gli è proprio il mio generale!» esclamai io, fuor di me dal contento. «È cotesto il pasto che avevate a fare all'Eliso con Ziethen, Schwerin, Winterfeld e Federico il Grande?»

Il tenente, al sentir la mia voce, alzossi tripudiante, e mi serrò teneramente fra le braccia. — Come, signor ajutante? vivo ancora? sia lodato Iddio! Rimane adunque ancora un eroe al nostro re. Deh quanto vi piansi! Ma voi, perchè non saper moderare il vostro ardore? Ho ben visto come cacciaste in fuga i tre cacciatori, e come essi vi trascinarono dietro di sè. L'esempio vostro ravvivò la mia gente, un tantino scoraggiata; incrociammo le bajonette contro il nemico; morti e feriti a furia da ambe le parti: combattemmo come leoni una buona mezz'ora, poi ci fu forza metter giù le armi. Venite, ajutante del cuor mio, venite a parte della nostra cena.»

Il prode tenente m'abbracciò ancora dalle tre volte in su: il valoroso Sparapane non sapea finire le fratellanze e i complimenti: la regina Elisabetta m'offrì un cucchiajo di stagno, e così posi in oblìo la noja ed il mal della passata via.

Forse mezz'ora dopo, l'uffiziale di guardia comparve con un caporale: — Chi di lor signori è l'ajutante generale?»

Carlomagno sorrise di contentezza, e m'accennò col dito proteso, perchè non era molto forte nel parlar francese.

— Signor ajutante, (aggiunse l'uffiziale) mi piange il cuore ch'ella sia stata trattata sì indecorosamente. Le mandano dal quartier generale questi vestiti da addossare, con due bottiglie di vino per rifocillarsi. La stia sicura che i Francesi sanno stimare i loro nemici come uomini d'onore, e che i mariuoli e i ladri sono eccezioni alla regola.»

Io feci al mio nobile nemico la più gentile risposta che sapessi immaginare, ed è un vero peccato che non abbia potuto, lì sui due piedi, trovar una frase migliore di questa: — I conquistatori dell'universo oggi m'hanno vinto due volte.»

Noi tedeschi abbiamo un bel fare; ma, è forza dirlo, i Francesi sono il popolo più ingegnoso del mondo: sono proprio i Greci del nostro tempo. Fino i soldati semplici hanno un esteriore grazioso e amabile, che non si trova da noi se non sul teatro: una battaglia animata li rapisce, un buon pensiero li ricompensa, il sentimento dell'onore gl'infiamma: in questo popolo v'è dello spirito; non solamente patate e birra.

Racconti storici e morali

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