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CAPO III.
Lasciar nelle sale del tetto natio
Le donne accorate tornanti all'addio.

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— È naturale (diss'io a Giulietta) ch'io non entri alla mia parocchia prima d'esser ammogliato. Come potrei ne' primi giorni occuparmi d'una folla di minuzie e d'intersesi mondani? Dov'è lo studio? ove la stanza da letto, e che so io? Tu, Giulietta, tu me le additerai: tu mi tramuterai la casa straniera in patria deliziosa: noi staremo da papi. Solo non ti scordare che il mio studiolo abbia una finestra che dia sul tuo giardino, affinchè la primavera, mentre io lavorerò a tavolino, possa vederti per le redole annaffiare e zappettar le ajuole. Oh che goder di Dio che noi abbiamo a fare!

Ella arrossì, e disse cambiassimo discorso: pure fu lei la prima a rattaccare del modo con cui volea disporre il suo orticello, e a discutere se o no tornasse conto comprare a Francoforte ogni nostro occorrente. Nè avemmo nulla a far di meglio che lavorare sul serio a conchiudere la nostra unione, domandare il congedo di Giulietta alla sua padrona, disdire la mia cameruccia, le mie lezioni, far fare le pubblicazioni di nostre nozze, avere il sì, e tutto.

Ogni cosa andò al solito: mi rallegro e regalucci da tutte le bande; onde mi trovai più ricco che non fossi stato da parecchi anni in qua. Un altro amico di Berlino, di cui avevo allevato i figliuoli, mi offerse, per far il viaggio di Magdeburgo, il suo calessino, ed io non dissi di no, e mi fornii del passaporto necessario.

Per verità il tempo era disastroso; bolliva carne in pentola: la guerra e i suoi guasti coprivano le campagne: il re s'era già avanzato coll'esercito fino a Turingen incontro a Napoleone, sin allora invitto. Noi però ci tenevamo sicuri, nella persuasione che fra un quindici giorni i Francesi sarebbero cacciati di là dal Reno. Via gli stranieri:

O stranieri, strappate le tende

Da una terra che patria non v'è.

Per qualche guadagno io aveva composto cinque odi pindariche sulle vittorie de' Prussiani, ove descrivevo tutte le future battaglie, lasciando in bianco solamente il luogo delle azioni. Erano il non plus ultra della poesia classica, e potevo far conto di ricavarne cinque bravi talleri d'argento dai libraj di Berlino. Per tutti i buoni conti posi il manoscritto de' miei canti trionfali in saccoccia, per essere pronto, all'occasione, a fare stampare le prime a Magdeburgo. Ahi, come la speranza era diversa dall'effetto!

Il 14 ottobre, giorno che l'antica potenza prussiana restò annichilata a Jena e ad Auerstedt, presi congedo da Giulietta: tornato appena da Magdeburgo, si farebbe il matrimonio, poi si andrebbe alla parocchia.

Per quanto vago di lusinghe ci sorridesse innanzi l'avvenire, non sapevamo consolarci di questo distacco: pareva non avessimo a rivederci più. Per verità, come dottore in filosofia, io non dava retta ai presentimenti; ma come sposo ci avevo una fede scrupolosa.

— Giammaria, Giammaria! Il Signore sia con te!... Vivi, vivi felice; ma noi non ci rivedremo più — più», esclamò Giulietta singhiozzando. Povera zitella!

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