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CAPITOLO XVII.
Altre pugne, altre stragi.

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Più io toccavo su, e più il degno mio padrone ripeteva; — Buono! bravo!» Pareami arcifrettolosissimo, e a giudicar dalle parole che d'ora in ora gli scappavano di bocca, la sua coscienza non era più netta della mia.

Al chiaro di luna credetti scorgere ch'ei fosse uno di quegli importanti personaggi che in francese si chiamano impiegati; avendo abiti troppo borghesi per un militare, e troppo militari per un borghese.

La nostra conversazione riducevasi a monosillabi, perchè egli non parlava quasi punto il tedesco; io per restare in carattere, doveva ignorare totalmente il francese. Mi domandò; — Quanto star da qui a Posen?» ed io: — Molto ancora.» Egli aggiunse: — Essere molti Prussiani là? — Oh molto,» rispos'io: al che egli come forsennato gridò: — Andare, camminnare, sempre:» ed io faceva galloppar i cavalli colla pancia a terra.

M'indussi poi a fargli intendere che avevo bisogno di mangiare col domandargli se aveva de' viveri seco; intese che gli domandassi di viver seco. Gli parlai di avermi compassione; credette che parlassi di commissione. Dissi che avevo hunger, cioè fame, e pensò che parlassi degli Ungheresi. Infine ripetei brod, e questa parola e il gesto onde l'accompagnai fece l'effetto, sì che mi diede un bel quarto di pagnotta, che fu meglio d'una sassata.

Contento come un giubileo, sbocconcellai pane e pane in sulla cassetta, lodandomi del posto mio che mi forniva di tutto quanto potevo desiderare. Capellano o palafarniere, ajutante generale o maestro, dottore o vetturale, cos'importa? l'uomo sta sempre bene sotto qualunque abito: peggio per lui se l'abito è il solo bene che possiede.

Io prendevo la strada di Polonia, dicendomi: Chi sa ch'io non vada in riva alla Vistola a trovar il comando d'un corpo d'armata? E non ci mettevo nè pepe nè sale, e per quanto oscura fosse la mia sorte, io la vedevo chiara come un'ambra.

Mi sentiva nella migliore disposizione di spirito per comporre un sermone, quando a chiaro di luna distinsi alcune sentinelle sulla strada. Il mio commissario le vide al punto stesso, sfoderò la sciabola, impugnò una pistola che inarcò. Lo scatto d'uno scodellino mi coprì d'un sudor freddo da capo ai piedi.

— Corpo e sangue, lesto, presto, avvia, tocca su,» gridava lui.

— Fermo là. Chi viva! Alto là: chi viva?» gridarono alcuni soldati, presentandomi al petto la punta delle bajonette.

A qual dei due obbedire? Io speravo che una bugia officiosa mi trarrebbe d'imbarazzo: onde credendo che i soldati fossero Francesi, avviati a raggiungere il loro reggimento, dissi loro: — Signori, il mio padrone è un generale francese.»

— Alto là; rendetevi,» gridarono più voci ad un tratto.

— Un canchero che ti roda,» urlò il mio preteso generale, e balzando di netto dal calesso, stramazzò due di costoro: sparò; gli risposero; di qua, di là, da destra da manca sentivo le palle fischiando volar. I miei cavalli furono spaventati anche più di me; onde, senza dire addio nè a diavolo morsero, il freno, e presero un galoppo disperato. Ed io certo non li teneva. Sentii ancora l'urtarsi delle sciabole e qualche scoppio; poi non intesi più nulla. Io mi trovavo salvato, grazie alla prudenza e alla velocità de' miei cavalli.

— Maledetto accidente,» pensava io tastandomi dal capo alle piante, perchè dapprima mi credeva tutto crivellato dalle palle, e di perdere il sangue a catinelle, ma in fatto non avea tocca neppure una scalfitura.

Tanto meglio. Ma del mio padrone che n'era? Doveva io tornar indietro a cercarlo? Sì! a rischio di farmi sciabolare. Ah, la fedeltà e la generosità mia non arrivavano a tanto. Quel che avvenne del commissario di guerra, Dio vel dica; per me non n'ebbi nè nuova nè ambasciata.

Continuai pacificamente la mia strada, ma i cavalli erano spossati. Un villaggio mi si scoperse dinanzi; cosa dovevo fare? passarvi la notte, o tirar di lungo? Una voce mi diceva sommesso: — Va innanzi, va innanzi: perchè, sai tu di chi erano la carrozza ed i cavalli?» È ben vero che non gli avevo nè rubati, nè requisiti io, ma per questo dovevo tenermi l'altrui?

In tale perplessità arrivai all'osteria, che già era un pezzo di là di notte. Lo stalliere affacciossi; io smontai, chiesi avena pei cavalli, birra per me, e mi accomodai nel salotto.

Non avevo neppure un bezzo: ma ad un bisogno io pensava dar in pagamento il cappello e il palandrano: l'uno m'era troppo piccolo, l'altro troppo grande.

Racconti storici e morali

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