Читать книгу Fame usurpate - Vittorio Imbriani - Страница 10

III.

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Quel sentimento che nel mondo delle cose si chiama fatuità.

L 'Aleardi non giunge mai a percepire chiaro e spiccato il fantasma, ad infondergli autonomia, perchè tra 'l fantasma contemplato e lui contemplatore s'inframmette sempre un'altra immagine: quella della sua propria riverita persona. Non ci ricorda l'attore interamente assorbito dal personaggio, anzi il burattinajo che ti dimena sugli occhi de' fantoccini di legno, e quasi gli dolesse di dar campo all'illusione, caccia di tempo in tempo la propria zucca sul palcoscenico. Sembra preoccupato da paura che l'opera faccia dimenticare il poeta; e s'interrompe, al meglio, e si lascia cader la maschera per rettificare il vostro abbaglio, caso aveste supposto daddovero in iscena altri che lui. Siffatta relazione fra l'autore e le sue creazioni è giustificata nell'umoristico, quando lo scrittore intende appunto ad uccidere la poesia, riducendola a fantasmagoria col dimostrare la nullità intrinseca, la dipendenza del fantasma dal suo capriccio; ma dovunque è serietà diventa incompatibile. Pare che di ciò l'Aleardi non abbia sospetto: per lui, temi e concetti non sono qualcosa d'essenziale, anzi lo svariato scenario che il farà figurare, innanzi al quale ei potrà pavoneggiarsi ora in una, ora in altra veste. L'universo esiste soltanto per suscitargli un'emozione ch'egli esprime con più civetteria che poesia. Il Giusti scriveva ad un amico celiando: — «sa, che l'Io è come le mosche; più lo scacci, più ti ronza d'intorno, e per questo non ti maravigliare se io comincio dal mio signor me.» — L'Aleardi comincia e finisce da sè. E sì, pretende che l'ammiriate, com'egli si ammira; registra ogni suo moto, ogni gesto, ogni atteggiamento, quasi che importassero molto; ed esagera ed ostenta e vuol che [pg!17] guardiate attraverso una lente magnificativa tutte le miserie di una vita prosaica, d'un animo comune: tepidi amorazzi, peccadigli che non son delitti, le solite lacrimette, le solite orazioncelle. Questo per mostrarsi uomo di carattere, dopo detto Che l'angoscia profonda ha il suo pudor, dopo affermato di sdegnare l'indiscreto verso Che pubblica gli affetti intimi al volgo. L'effetto non può non essere comico. Scartabellando il suo volume sei indotto in tentazione di credere che nelle brigate le belle signore invitate da lui per la contraddanza gli rispondano: — «Tropp'onore, mio poeta;» — che scarrozzando col virginia in bocca alle Cascine, tremi per l'olimpia febbre de' carmi; e che pappandosi il mezzo sorbetto la sera, innanzi al Caffè d'Italia su' deschetti in via Santa-Trìnita, ad ogni cucchiaino rimastichi qualche acre reminiscenza del passato pianto.

L'idea, ridicolamente eccessiva, della sua importanza come poeta, si manifesta in modo presso che io non dissi scandaloso nelle dediche premesse ad ogni singolo componimento, dove la forma epigrafica le dà spicco e la scusanda del verso è svanita. Citerò qualche esempio caratteristico.

A. Te.

Nina. Sarego-Alighieri-Gozzadini.

Che. Comprendi. Più. Che. Non. Dico.

Il rivolgersi ad una donna, ad una giovane sposa, accennando in nube ad una secreta intelligenza, è una impertinenza tanto fatta, una incontrovertibil pruova di fatuità indelicata. Inoltre il poeta sembra alludere ad un senso profondo, remoto d'ogni sua parola, senso intelligibile soltanto a pochi eletti: ed oltre i miracoli espressi ne' versi, ci ha le mirabilia taciute, i portenti rimasti chiusi nell'animo di lui ed i quali non gli è dato manifestarci, senza dubbio perchè: — «quantunque v'ha di meglio nel cuore, non n'esce mai» — per dirla col Lamartine, ingegno della stessa tempra, ma di ben altre proporzioni. [pg!18] Bella frase! gentil pensiero! se non che l'ammetterlo per vero equivarrebbe ad una sentenza capitale contro la poesia. Il contrario è vero, come dice Ludovico Börne: — «In quella forma che ogni spirito trova la propria glorificazione in un corpo, anche ogni pensiero vede nella parola la sua perfezione». — Certo, qualche volta, si pruova una giusta renitenza a pubblicare od anche scrivere de' versi che rivelano alcune parti o piaghe segrete dell'animo nostro. Il Musset, parlando in una lettera confidenziale di certe stanze ad una suora della Carità che lo avea accudito, dice: — «I versi per suor Marcellina, io li finirò uno di questi giorni, l'anno prossimo, fra dieci anni, quando mi piacerà e se mi piacerà. Ma non li pubblicherò mai e non voglio neppure scriverli. È già troppo l'averteli recitati. Ho detto tante cose a' gonzi e ne dirò loro ancor tante, che ho pure il dritto, una volta in vita mia, di comporre qualche strofa per uso mio particolare. La mia ammirazione e la mia riconoscenza per quella santa ragazza non saran mai impiastricciate d'inchiostro da' rulli del torcoliere. Cosa fatta capo ha; non toccar più questo tasto. La Signora Di-Castries m'approva, asserendo: che giova aver nell'animo un cassetto segreto, purchè vi si nasconda solo roba salubre.» — Benone, ma non bisogna andar decantando il contenuto del ripostiglio occulto; nèd il Musset pretese mai d'essere ammirato per que' versi alla Marcellina che nessuno avea visti. Chi si vanta di ciò che non mostra, induce a credere di non aver che mostrare; appunto come uno che non ispendesse mai e parlasse delle sue ricchezze le farebbe credere immaginarie.

Pongo. Sul. Sepolcro.

Di.

Carlo Troja

Questo. Canto.

Che. Vivendo. Ebbe. Caro.

[pg!19] Non appurandosi altro di questo Carlo Troja (da non confondersi col grande istorico napolitano) che l'aver egli ammirato i versi d'Aleardo Aleardi, e' ci si para davanti come un uomo il quale non abbia fatto altro vita natural durante (vita bene spesa affè!); come una ristampa peggiorata di quel Jacopo Boswell; che per la prona ammirazione verso Samuele Johnson s'è lucrata una ridicola immortalità fra gl'inglesi, tanto che Tommaso Babington Macaulay chiama spiritosamente lue boswelliana ogni venerazione inconsulta, irragionata, inintelligente.

A. Giuseppe. Garibaldi.

Aleardo. Aleardi.

Da pari a pari. Narrano che Goffredo Augusto Bürger visitasse una volta il Goethe, col quale non s'era per anco incontrato personalmente, e che per farsi conoscere gli dicesse: — «Voi siete il Goethe, io sono il Bürger;» — ma soggiungono che il Goethe gli voltasse le spalle, lasciandolo in asso.

La fatuità non è l'orgoglio, rimpicciolisce: quindi (se m'han detto il vero: ma, se non è vero, è ben trovato!) quindi la debolezza dell'Aleardi di mutarsi il prenome di Gaetano, che veramente è un po' volgare, in quello inaudito d'Aleardo, che è d'un buffo, ma d'un buffo!...... Vergognarsi d'essere l'omonimo dell'autore della Scienza della Legislazione! Ma il Foscolo si vergognò di portare lo stesso prenome dell'autore del Principe, — «quando in Ugo cambiò ser Nicoletto!» — Piccolezze umane! Il volgo si preoccupa molto de' nomi, e da essi giudica gli uomini: non del tutto irrazionalmente, s'e' si trattasse de' cognomi, i quali indicano la schiatta, sebbene la fragilità delle mogli cagioni molte perturbazioncelle note ed ignote; ma scioccamente affatto, per quanto concerne i prenomi, dipendendo questi dall'arbitrio de' genitori, de' parenti, de' compari. Un critico inglese a proposito di alcuni verseggiatori americani scriveva: — «C'era o c'è un [pg!20] certo Dwight, il quale ha stampato un poema in forma d'epopea; ed il nome suo di battesimo era Timoteo». — Il lettore volgare sogghigna d'un poema epico che ha per autore un Timoteo e l'opera gli par giudicata. Sarebbe come se un napoletano per confutar la filosofia del Gioberti, si limitasse a dire-: — «Che razza di filosofia volete che stampi uno che si chiama Si Vicienzo?» — Ma se l'Aleardi fosse davvero quello sdegnoso pel quale e' si spaccia, avrebbe pensato l'uomo illustrar il nome, non il nome l'uomo.

What's in a name? That which we call a rose,

By any other name would smell as sweet.

Questa idiosincrasia, che nell'Aleardi ci stomaca, non è punto rara nella colonia europea del Parnaso. Splendido esempio presso i francesi Alfonso di Lamartine, pertinace a descrivere se dovunque ed ognora, nel parossismo dell'effusione lirica, quasi nel momento dell'affetto avesse avuto uno specchio davanti ed equanimità da studiarvi le mosse, il nodo della cravatta e la discriminatura. Finanche quando da una sua parola dipendono le sorti della patria, quando volgo ed assemblea aspettano che egli decida, per proclamare o la repubblica o la reggenza della duchessa d'Orléans, ha tempo da pensare all'atteggiamento, da notare i gesti propri. Finanche piangendo una figliuola unica, perduta per sua colpa!

Le front dans mes deux mains, je m'assis sur la pierre,

Pensant à ce qu'avait pensé ce front divin,

Et repassant en moi de leur source à leur fin,

Ces larmes dont le cours a creusé ma carrière.

Or bene, Aleardo Aleardi ha trovato modo di superare Alfonso di Lamartine! Allegramente, pècori giobertiani! ecco un nuovo documento del nostro primato! Anche rivedendo la madre in cielo, egli pensa solo a coglier l'occasione per esaltar sè, calunniando [pg!21] un popolo ed un secolo, dei quali non possiede e non comprende la robusta virtù:

Nuovamente accorrâi questo sdegnoso

Che partorivi con fatica tanta,

O troppo presto o troppo tardi, in mezzo

A le viltadi d'una fiacca stirpe.

Ogni quadro gli sembrerebbe imperfetto s'egli non vi occupasse il primo piano. In un canto profetizza l'ingresso trionfale del Re nella patria Verona, la dimane d'una vittoria sugli Austriaci: benchè la descrizione sia mediocrissimamente favoleggiata, pure il semplice pensiero della cosa descritta esercita tal potenza su d'un patriota Italiano, ch'e' si riman compunti fino alle lacrime. Quand'ecco, sul più bello, l'autore, quasi arrovellato che veronesi e leggitori, assorti nell'immagine simpatica del Re, dimentichino lui, scappa fuori così:

Emanuele, Re d'Italia, anch'io

Non ultimo poeta,

Un saluto t'invio. Certo mia madre,

Santa com'era, divinando il figlio,

Me al nascere di panni

Tricolori fasciò. Sin da fanciullo....

eccetera. E così giù per ventun verso farnetica di sè, finchè gli paia tempo, dopo essersi ricordato e raccomandato all'attenzione del rispettabil pubblico e dell'inclita guarnigione, di riprendere l'interminabile pittura, slavata in guisa da sembrare quel che ahimè! non puol essere, copiata dalle gazzette.

In una poesia volante (dichiaro fra parentesi di non capire come possano volare le poesie) troviamo il Nostro prigione oltr'Alpi. Una giovanetta, fior di cortesia, ch'ei non vide mai, nè vedrà forse in terra mai, gli ha usato di quelle benevolenze che scendono tanto dolci al cuor dell'esule e del captivo. Come ringraziare una donna se non lodandola? e [pg!22] che lodare credibilmente in una ignota ed incognita? Il nome: questo nome fu anche della madre di lui e par quasi che stabilisca una parentela fra' due. Benone! chi non ha talvolta profittato di simile coincidenze, chi non le ha spesso astutamente mentite, per trovare punti di contatto con qualcuna che gli premeva? Fin qui la poesia riesce gentile, affettuosa; la situazione è felice: commuove daddovero quell'uomo costretto ad accettare alcunchè da una donna ed il quale può rimeritarnela solo con poche strofette. Ma l'Aleardi non si ferma su questo motivo; non può rassegnarsi a rimaner nella mente della giovane Fraile un carcerato qualunque; vuol darsi importanza; gli manca la sublime verecondia che nel Conte di Carmagnola del Manzoni induce il Pergola figlio a confondersi con gli altri prigionieri volgari e tacere; quindi termina:

Ma siccome ho giurato alla mia Musa

Di non cantar fuor dell'Italia mai,

Se la incontri per via

Non le dir ch'io cantai, bella Maria.

Ecco sfumata la gentile impressione. Non vedi più che la fatuità poetica di chi si fa correre dietro per lo mondo una personificazione della Poesia, quasi uscito lui d'Italia, ne sia svanito ogni lume d'Arte. E siccome, nel senso di poichè, non è Italiano; gallicismo, barbarismo.

Come ultima sciagura a Genova ed a Pisa, scellerate nipoti di Caino, il Nostro annunzia loro che il Vate le maledice: se le perpetue guerricciuole delle repubblichette medievali non avesser procacciato altro danno che le imprecazioni dell'Aleardi!... Convien rileggere intero il brano per rendersi ragione di tutto il prepotente effetto comico della scappata. L'autore, per rappresentarmi le due città, le personifica: Pisa, in sella ad una prua spumante, scende a giostrare con Genova, leonessa saettatrice: e non si capisce punto perchè non abbia all'incontrario [pg!23] fatta inforcar la prora a Genova e chiamata luna sagittaria Pisa. Il Poeta passa di lì, forse camminando sulle acque come san Pietro, probabilmente qual ei vien descritto altrove: l'astro del genio in fronte, e senza dubbio coi baffi e col pizzo dell'Aleardi; e si ferma a recitare con qualche opportuna variante i versi di Ugo Foscolo sulla battaglia di Maratona. Perchè un anatema conturbi chi l'ascolta, si richiede autorità in chi lo profferisce: quest'autorità si acquista dal moralista persuadendoci dell'altezza del suo ideale etico, dal poeta impossessandosi della nostra fantasia con immagini che ci sforzino a sentire come lui. Chi non impreca con l'Allighieri alla crudeltà di Pisa contro la famiglia del conte Ugolino? chi non accetta, nel leggerlo, il giudizio che Dante fa de' contemporanei e de' passati? e non dura fatica poi a rettificarlo in modo conforme alla verità storica, tanto è il fascino di quella poesia? onde il Settembrini ha in somma parte ragione scrivendo che: — «il giudizio che si fa di queste anime, a ciascuna delle quali si assegna il suo stato è il gran giudizio fatto da dio nella coscienza dell'uomo libero ragionante; è il giudizio che si aspettava nel Mille e non venne ed ora è fatto....» — Ma l'Aleardi non avendo saputo trascinarci con le immagini sue, rimane un declamatore esautorato.

Vorrei finirla su questo capitolo; ma mi accorgo d'una conseguenza della fatuità poetica; sulla quale m'incombe il dovere di richiamar l'attenzione delle signore Italiane. Badate, care dilette, a non annaspare nessun amoretto con chi pizzica del poeta, senz'averci prima pensato bene. Non è cosa da farsi alla cieca: al primo bisticcio sarebbe capace di mandarvi a casa l'intera penisola, sana sana, acciò rendiate conto delle vostre bizze:

.... Oh sconsigliata

L'Itala donna cui fu dato in sorte

Stringersi al petto un'amorosa testa

Nata agli allori, che la cinge invece

[pg!24]

Di domestiche spine! A lei di contro

La penisola sorga, e le domandi

Terribil conto del perchè la inerte

Stella non manda lume....

Avete inteso? Pare che non avesse tanto torto quell'amico di Gian Cristiano Kestner, che gli scriveva, quando il Goethe con leggerezza inescusabile lo ebbe posto alla berlina insieme con la moglie nei Patimenti del giovane Werther: — «Salvo il rispetto dovuto all'amico vostro, ma gli è pericoloso d'avere un autore per amico.» — Per me, fossi femmina ed avessi letto que' versi, e poi l'Aleardi mi richiedesse di amore, non lo promuoverei mai da patito a drudo. E poichè mi trovo maschio, quantunque non la pretenda a poeta, prevedendo il caso in cui mi venga in sèguito un simile ghiribizzo, chieggo il permesso di dichiarar qui solennemente e dichiaro: che in ogni mio futuro dissidio con qualsivoglia Italiana non sarà mai chiamata ad immischiarsi la penisola, intendendo io rinunziare e rinunziando esplicitamente ad invocarne l'intervento. Ce la vedremo a tu per tu, da solo a sola. E consiglio le mie care compatriote di fare scrivere e sottoscrivere una dichiarazione identica a tutti gli adoratori loro presenti ed avvenire, che, registrata e bollata, si depositerà presso pubblico notaio. Sia quest'atto una formalità indispensabile (sennò, no) per chiunque vuol rendersi loro aggiudicatario, come la cauzione provvisoria per chiunque concorre ad un pubblico appalto.

Ma riconosciuto, pure, che la fatuità sia il più spiccato sentimento dell'Aleardi poeta, non sarà certo il solo, neh? Giulio Cesare venne accusato d'esser un bell'imbusto, anzi un finocchio: nè siffatte colpe il rimpicciolivano. O se questo fosse il caso d'un Giulio Cesare della poesia? La fatuità, la vanità si condona volentieri al merito. Quali sono le altre parti dell'animo di lui? quali sono i concetti nei quali ha dato opera ad incarnarle?

[pg!25]

Fame usurpate

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