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V.

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Nè diversamente accade all'Aleardi quando ragiona d'amor patrio o di libertà.

— «Come, come? cos'ha detto? Forse abbiamo franteso. Il patriottismo, il liberalismo non sarebbero passione in Aleardo Aleardi? E le sue persecuzioni? E l'esilio? E Iosephstadt? Ed i tempi passati.... su lo strame De le prigion, col trave Del patibolo in faccia?» —

Io non dico dell'uomo: che importa dell'uomo a me ed a voi? Ma dall'Aleardi poeta anche l'amor patrio si ostenta sol per dare un qualche spicco alla personalità del poeta, rassomigliando alla foglietta d'argento che l'orafo sottopone ad un mediocre plasma di smeraldo acciò sfolgori quanto una vera gemma. Il patriottismo del cittadino rimane sterile per lo scrittore: ne parla, nol mostra. Cos'è l'Italia per lui? Si scartabellano senza frutto i canti in cerca d'un concetto della patria, della libertà, espresso in una immagine ammodo: per l'autore, come per quei filosofanti medievali, sono meri flatus vocis. Leggi la famosa canzone del Petrarca: Italia mia, benchè il parlar sia indarno; leggi la invettiva dantesca: Ahi serva Italia di dolore ostello; leggi le Fantasie di Giovanni Berchet; leggi fin que' miseri epigrammuzzi di Vittorio Alfieri; ed innanzi alla tua mente starà chiara e viva un'immagine di questa tua patria; ognuno di que' sommi me l'ha rappresentata com'e' l'ha sentita, come la sua fantasia gliela raffigurava o presente o futura. Ma non sente, non ha viva in sè l'Italia nostra, colui che parlandone a Gesù Cristo in paradiso, la chiama:

La terra tua, però che là su un (ahi!) sacro

Colle, di voti e di laureti adorno,

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La verginella ebrea,

Che ti fu madre, un giorno

La poveretta casa deponea.

Ma che? tutta l'istoria e la gloria nostra non è dunque nulla per l'animo di costui? La bellezza di questa terra, la virtù di questo popolo, sono cose tanto estranee alla sua coscienza, che per raffigurarmi l'Italia ei dà di piglio alla casa della Madonna? E se almeno fosse un picchiapetto, un bigotto, un uomo religioso; e ci credesse davvero alla alleata casa! se fosse di quelli che, andandovi in pellegrinaggio, piangendovi di tenerezza, stimano gloria maggiore per la patria l'esserne depositaria, anzichè di tutti i trofei romani! Ma, nossignori, rettorica pretta! e' se ne ride e tutt'al più concede con lo Astigiano che sia Pur men risibil delle antiche dee. Quanto alla cacofonia del su un, so che potrebbe tentare di scusarla, citando il Furioso (Canto II. Stanza XLI.)

Che nel mezzo, su un sasso, avea un castello

Forte e ben posto e a meraviglia bello.

Allora si pronunziava e taluno scriveva s'un; contrazione che non so quanto si ammetterebbe adesso.

Pure queste parole dolcissime Italia e Libertà, per quanto sia vuoto di sentimento chi le pronuncia, possedevano e posseggono una strana virtù: di strappar lacrime agli occhi, di strappar plauso alle mani; come il nome della diletta che circonfonde per noi d'un'aureola le più schifose creature. La più stupida uscita contro i tedeschi, procaccia agli attori una sfuriata di battimani: ed insomma la popolarità della Francesca da Rimini di Silvio Pellico per tre quarte parti si deve alla fragorosa apostrafe all'Italia. Ogni strimpellator di violino che scortichi pe' caffè l'Inno di Garibaldi è sicuramente applaudito e raccoglie soldi assai nel vassoino; prima, perchè ricorda agli acculattatori delle panche una persona che loro è [pg!31] simpatica; poi e soprattutto perchè sanno di fare un dispetto ai questurini. Ed il ripeter sempre Italia e Libertà, ha procacciato il favor popolare all'Aleardi; ha coperto d'un pampano la sua nudità poetica.

Riguardo poi all'ostentarci di continuo il martirio di quei pochi mesi di prigionia.... cazzica! io non sono tanto offeso esteticamente dal modo in cui se ne parla, quanto moralmente dall'udir tanto baccano per tanta parvità di materia: much ado about nothing. Ma venne osservato già da un pezzo, come ne' rivolgimenti politici chi meno si lamenta è sempre chi più perde; e viceversa chi fa più bordello è sempre chi meno ha sofferta. Noi, giovani della nuova Italia, educati negli esilî all'odio aperto od in patria all'odio coperto delle tirannidi; avvezzi a considerare come avvenire inevitabile e desiderabile gli ergastoli ed i patiboli sortiti da' nostri maggiori; noi, che tutti, tranne pochi dappochi e gl'impediti da forza superiore, abbiamo indossato o la tunica del soldato o la camicia del volontario; noi, consueti a non calcolar mai per ostacoli le minacce ed i pericoli; noi, che s'è mostrato di essere uomini e di meritare d'esser liberi; noi, ci perdoni l'illustrissimo signor commendatore Aleardo Aleardi; non siamo, noi commossi da chi guaisce quasi femminetta per breve carcerazione o non lungo sbandeggiamento, consolato da stipendî malguadagnati. Forse nell'epoca slombata anteriore al milleottocenquarantotto, nell'epoca frustata da quel Giuseppe Giusti che il signor commendatore Aleardo Aleardi fatuamente chiama il suo povero Beppe, forse allora si scroccava un brevetto d'eroe, di martire, mercè d'una visita domiciliare o d'una detenzioncella preventiva. Ma ora!... Quanti hanno sofferto viemmaggiormente; e, quel che più monta, operato qualcosa; ed illustri non ci rompono gli stivali col raccontarcela sempre daccapo magnificando; oscuri, non pensano neppure a farsi valere! E che direbbe il signor commendatore Aleardo Aleardi se avesse vissuto come Luigi Settembrini metà della vita fra 'l carcere [pg!32] e la galera e settantadue ore in confortatorio? sempre uomo ed allora e prima e dopo? Ed il Settembrini di tutto parla e fors'anche (anzi senza forse) non di tutto tutto a proposito; ma degli anni e delle ore in cui fu eroe, mai. E che direbbe il signor commendatore Aleardo Aleardi se a lui giovanetto fossero toccate dalla polizia austriaca le vessazioni che il pittore leccese Gioacchino Toma sofferse dalla borbonica e mercè le quali rischiava di crepar di fame? Autodidatta, egli era venuto da Tricase a Napoli pedestremente per amor dell'arte e campava facendo l'ornamentista il giorno e studiando il nudo la sera: sbandirlo dalla metropoli era un precludergli ogn'avvenire artistico ed un togliergli ogni mezzo di sostentarsi nel presente. Ed ha penato con impassibilità, s'è onestamente ingegnato, ha preso le armi nel momento opportuno, ha pugnato con coraggio, senza poi mendicare il riconoscimento delle sue spalline insurrezionali. Ed il Toma non chiacchiera mai corampopulo de' suoi fatti, non si dipinge da protagonista ne' suoi quadri; ed è uomo che dopo aver pennelleggiato quel capolavoro dello Esame rigoroso del Sant'Uffizio, perchè sente altamente dell'Arte, perchè sente pudicamente di sè, teme d'aver mal fatto, appoggia la tela con la superficie dipinta rivolta al muro, la guarda di tempo in tempo dubitando sempre e finalmente, sforzato dagli amici e dal bisogno, la porta di contraggenio all'Esposizione, dove la intera Napoli la ammira. Non tutti siamo da tanto, nè per valore nè per modestia: sappiamcelo! Ma tutti o sommi o minimi, o scrittori od artisti, riguarderemmo come insultante una legge sul tenore dell'Ateniese, che il commendatore Aleardo Aleardi sembra rimpiangere, la quale vietasse agli scrittori od agli artisti di avventurarsi in battaglia. E se mai legge analoga ricevesse l'approvazione de' due rami del Parlamento e venisse sancita e promulgata dal Re, non ci casca un dubbio al mondo, che malgrado la nostra devozione al Parlamento ed al Re, la trasgrediremmo.

[pg!33] Ben inteso che ho parlato sempre non dell'Aleardi uomo, anzi dell'Aleardi poeta. Dunque non ha sentito nè la religione, ned il patriottismo. Vediamo se per avventura abbia sentito l'amore.

Fame usurpate

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