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I.

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Discuto il poeta, non l'uomo. Osservazioni, epiteti, giudizî s'hanno a riferire, alla personalità dello scrittore Aleardo Aleardi, ente astratto; non allo Aleardi, uomo in carne ed ossa, che, da taluni, mi si afferma essere una cara persona. Se questo è, debbo rimpiangere di non aver avuto seco relazione di sorta, tranne una sola stretta di mano e momentanea. Potrà darsi, ch'io paja talvolta troppo acerbo, (com'ebbe a dire Alessandro Manzoni;) e mi spiacerebbe, se l'irruenza del dire scemasse credito alla cosa detta; prometto d'avere ogni riguardo, ogn'indulgenza possibile. Ma so scriver solo, fotografando i sentimenti miei: la rettorica mia consiste nell'esprimere quantunque io pensi, comunque il pensi. Ora, basta il barlume d'intelligenza, largito a' cretini, per comprendere, come un Italiano non possa ragionar di quanto, a parer suo, ammorba la nostra letteratura contemporanea, accademicamente, spassionatamente, in quella guisa, che discorrerebbe d'un cattivo andazzo antico, degli Arcadi o de' Frugoniani. Altro è il passato, altro il presente. Mentre ferve la mischia, io me n'infischio di mostrarmi garbato e cavalleresco. [pg!12] Che un pessimo verseggiatore, dugent'anni sono soddisfacesse, perfettamente, a' bisogni estetici della nazione, è fenomeno storico, che ci aveva la sua ragion d'essere; giudicarlo o discuterlo, non serve; bisogna rendersene conto. Al male odierno, invece, conviene ostare, rimediare, aprendo gli occhi agli illusi, mostrando alla gente di facile contentatura quel, che, pure, avrebbe il dritto di pretendere. Questa norma vale e per la politica e per le lettere. Nel combattere un error divulgato e radicato, sarò, quasi chirurgo, che intende a guarire una cancrena profonda e diffusa, adoperando, senza alcun ritegno, tutti i ferri del mestiere: chi l'ha per mal, si scinga. Si sbaglia, addirittura, ritenendo la calma contrassegno dell'aver ragione, e l'irruenza per indizio dell'aver torto: è faccenda di temperamento. Chi s'appassiona (già, si sa!) facilmente, trasmoda: ed io non nego di parlare, appassionatamente. Son certo, che l'Aleardi, lui, me ne saprà grado. Lo sdegnarsi di qualcosa parmi un renderle omaggio, prendendola sul serio. Una volta, trattenendosi il Goethe, in una cittaducola di bagni, nel passeggiar, per un viottolo, che conduceva, ad un mulino, incontrò non so qual principe: sopravvennero alcuni muli carichi di sacca di farina, e bisognò ricoverarsi in una casipola. I due intavolarono discussioni profonde sulle cose umane e divine. Ed essendosi mentovati I Masnadieri dello Schiller, quel principe sclamò: — «S'io fossi stato messer Domineddio, nell'accingermi a creare il mondo, prevedendo, che vi si sarebbero scritti I Masnadieri, io non l'avrei creato.» — Il giudizio era, passionalmente, esagerato: lo Schiller, però, avrebbe avuto torto di lagnarsene, perchè attribuiva tanta importanza, ad una sconciatura da collegiale. E, poi, distinguiamo: c'è passione e passione. C'è la passione, che rampolla da un interesse personale, esclusivo e, quindi, irrazionale, o illogico; e la passione monda, razionale, che mira al vantaggio universale. E di quale altro genere potrebb'essere l'affetto immenso, che ho riposto nella Letteratura Italiana, [pg!13] reputandola la incarnazione più sublime del bello poetico? Questo, a scanso d'equivoci.

Fame usurpate

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