Читать книгу Fame usurpate - Vittorio Imbriani - Страница 14

VII.

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La passione è femmina, il concetto è maschio; quella vuol esser fecondata da questo per produrre un portato poetico. L'animo dello scrittore il paragono ad un areme, un gineceo, un serraglio; i suoi affetti mi rappresentano le odalische; ed il concetto figura il pascià che gitta il fazzoletto a qual più gli aggrada. Nella Real Casa dell'Annunziata di Napoli, (di squallida risorta ampliata, come vi dice una lapide insulsa, che ricorda il celebre: L'un era padovano e l'altro laico) dove con pochissima carità si diseducano le projette, v'era e v'è forse ancora una usanza singolare: stretta clausura tutto l'anno, ma il giorno della festa del luogo, le porte si spalancano o spaparanzano (come s'esprime energicamente il dialetto partenopeo, con parola, che secondo il Manzoni, la lingua Italiana gl'invidia). Chiunque voglia entrare e visitare il brefotrofio, padrone. Le educande, in gran montura, stanno impalate lì come tanti capi di merci in vendita; e se alcuna mi dà nel genio, posso scegliermela e sposarla su due piedi e crearne una madre-famiglia: non c'è memoria che un'esposita avesse rifiutato un pretendente per quanto laido, scontraffatto, decrepito e scostumato, che una cosa anelano esse tutte più che lo Ebreo la venuta del Messia: di liberarsi dalla bolgia, dalla tomba, in cui gemono; in cui sono oppressi i polmoni, depressi gli spiriti; dove non si può nè respirare nè sperar bene. Appunto quelle innocentine somigliano alle disposizioni dell'animo nostro, che si precipiterebbero col più scapestrato concetto, pur di uscire da' muti claustri della mente, e vivere nella luce e nello splendore della parola. Ogni componimento implica un concetto, che n'è l'anima, ch'è il pensiero il quale in esso risiede e s'incentra, facendone un microcosmo. Sparito il concetto, ogni poesia sfigurerebbe; la più zeppa e ridondante d'immagini vaghe sarebbe soltanto un mucchietto di preziose gemme. Perchè [pg!43] le gioie si spietrino; e, come nel mito indiano sotto la mano prepotente della divinità, divengano membra di sommo splendore e fattezze d'impareggiata avvenenza e vita: bisogna che il signor concetto sopprima con un colpo di stato l'autonomia delle singole parti ed immagini, subordinandole ad una unità superiore. Allora il componimento addiventa un tutto organico, acquista coscienza e significato. Il Carteromaco, nel sesto canto del Ricciardetto, ha un bel paragone che qui quadrerebbe:

Come il pittor ch'a mosaico si dice,

Dev'esser il poeta a mio parere;

E quegli è riputato il più felice,

Che meglio accoppia pietre bianche e nere

E rosse e gialle: e poi di tutte elice

Una fera, una donna, un cavaliere.

Così deve il poeta, se sa fare,

Di varie cose il suo poema ornare.

Le pietruzze variopinte son le immagini singole, il concetto è appunto quella figura che risulta dal compaginarle. Il concetto pare dunque la più capace affermazione in cui si concreti il sentito dal poeta: se lo scrittore avesse male o deficientemente sentito, la riflessione genitrice del concetto, mancherebbe di sustrato, di un objetto sul quale esercitarsi. Nè mi si opponga il trovarsi qualche rara volta alti concetti senza punto sentimento, puta, nelle liriche di Giovambattista Vico. È vero, quindi nol nego. Ma non essendo stati sentiti, anzi solo pensati, que' concetti non si trasformarono di scienza in poesia; commuovono forse l'intelletto ma non la fantasia. Ed occorre non dimenticar mai, che scienza e poesia, quantunque spesso coincidano, sono essenzialmente due. Esaminiamo un po' qualche concetto de' componimenti di Aleardo Aleardi.

Chi non ripensa frequentemente un'Ora della sua giovinezza, divenuta momentosa per l'intera esistenza? Od anche le ore più volgari della prima età? Il trovarsi oppresso e stanco dalla ricchezza di contenuto [pg!44] della vita; il guardarsi indietro vagheggiando l'insulso tempo infantile, quando e' si vegetava; è umana cosa. Accade talvolta momentaneamente alle anime più robuste, vieppiù spesso alle fiacche ed imbecilli. Questo rimpianto, manifestato sotto forme adatte ad esprimere ciò che può esser solo un sentimento passaggiero, un accesso acuto, ha la sua ragion d'essere come ogni sentimento, e ci appaga negl'Idilli, nelle Romanze, nell'Elegie, che so! Se vien adoperato umoristicamente, meglio ancora. Ma non puole affermarsi con serietà in un lavoro a pretensioni e proporzioni colossali, che appena l'approfondisci, salta agli occhi quanto ha in sè di buffo, di ignobile, d'antipoetico, di gretto. Ed è così facile il cadere nell'indeterminato e nel declamatorio! — «Gli animi della fanciullezza» — scriveva il Leopardi — «sono, nella memoria di ciascheduno, quasi i tempi favolosi della vita; come, nella memoria delle nazioni, i tempi favolosi sono quelli della fanciullezza delle medesime.» — In quel modo che il popolo Romano a' tempi di Augusto non poteva rimpianger sul serio il Regno di Saturno, in quel modo che il collegio de' cardinali non brama sul serio d'esser ricondotto a' tempi degli apostoli; ciascun di noi non vagheggia sul serio com'ideale l'adolescenza, neppure i più scontenti della propria vita posteriore. Che, badate, particolarmente poetica, non è la giovinezza in sè, bensì quel grande sperare che si fa in essa ed il cui risolversi in fumo è tanto tragico. Dunque non m'hai da diffonderti troppo ne' particolari, non hai da infilzarmi prolisse querimonie da donnicciuola; anzi devi sapermi evocare splendidamente ma sobriamente con qualche immagini potenti, quell'epoca di beata inscienza ed incoscienza; farneticare di ciò che avrebbe potuto essere, che saresti potuto divenire; e poi con un tratto, con una parola, richiamarmi, revocarmi al presente amaro, nudo, sconsolato. Così mi seduci; t'impossessi dell'animo mio; e non mi lasci campo di riflettere e dirti: — «Che diamine! Non t'avvilire! Sii uomo!» — Aleardo Aleardi, invaso [pg!45] dalla stanchezza della virilità, rimpiange la quietitudine dell'animo puerile, il babbo, la mamma; racconta come una fiata, cavalcando a diporto, gli paresse di vedere co' proprî occhi ricombatter la battaglia di Rivoli; come, nel tornare a casa, pensasse alla Polonia; e, giunto alla tomba d'una fanciulla scannata dal ganzo, le imponesse di apparire per dargli notizie dell'insurrezione di allora (MDCCCXXXI); e come la donzella emergesse dal sepolcro per dirgli:

..... la vergine polacca...,

Or che ti parlo è già meco sotterra;

e come quindi una femmina vestita tricolore, velata tutta d'iridi sacre, nientemeno che l'Itala Musa in persona, intervenisse e sclamasse:

No. T'inganni, fanciulla. Ella è sepolta,

Ma non è morta. Un popolo non muore;

affermando cosa che ogni alunno di ginnasio dovrebbe saper falsa, chè di popoli ne son morti tanti tanti; e come poi quest'Itala Musa si mettesse a baciucchiar lui, che da quel giorno ha sempre cantato.... non dice però se da basso, tenore, baritono o soprano.

Maledetta! debbo di nuovo chiedere scusa al leggitore per una facezia di cattivo gusto! Ma lo scherno s'impone a chi si vede imbandir prosuntuosamente queste... via, scavizzoliamo una parola blanda: questo pasticciotto insulso. Non basta il più saldo proposito di rimaner serio, quando si leggono ridicolaggini. L'Aleardi non s'abbandona ingenuamente alle reminiscenze giovanili, cheh! non racconta alla buona fatti accaduti o possibili; le sue invenzioni stravaganti e pretensiose debbono voler dire qualcosa; e noi abbiamo il diritto di appurare che significhino tante bizzarrie? che simboleggia quella visione? perchè invece di entrare nel caffè a dare un'occhiatina alle gazzette, scappa ad evocare una monella uccisa [pg!46] dal damo? eccetera. Ahimè, tutto ciò non significa, non dice nulla nulla; è un pretesto per descrivere gl'inverni irlandesi, una personificazione battezzata dea Vittoria, e che so io! un puro pretesto per isciorinare cognizioni di nomenclatura botanica e versi e versi e versi, ed informarci ch'egli è l'enfant chéri des dames, che fa girare il capo alle signore, ma che soprattutto la Musa travede per lui:

Mesto crebbe e virile il nostro amore;

E di te indarno ingelosir le belle

Creature, che un dì mi seminâro

Di vipere e di fior la primavera

Della mia vita; e stettero per anni

Del mio riso signore e del mio pianto.

Che malora sia l'Itala Musa, non so troppo, io. Forse il nostro casto verseggiatore avrà davvero incontrato ed abbracciato in sul far bruzzo qualcuna vestita tricolore; ma cosa fosse quest'una, il dirò con una parola, quantunque m'abbiano a leggere occhi più sicuramente pudichi de' suoi.... Eppure, no; meglio una perifrasi.... E nemmanco di questa c'è bisogno: ci siamo intesi.

Nelle Prime Storie il poetino suppone gl'Italiani immemori e svergognati, visto ch'e' ne ha mendicato invano un po' d'attenzione: quindi cerca consolazione tornando alla Musa e vuol cantare, non però dei vieti e vuoti numi d'Olimpo: altri tempi! La Grecia non favoleggia più, anzi compie grandi gesta (si vede!) e noi com'essa abbiamo per Ippocrene la patria. Speriamo e cantiamo. La Musa, comincia a cantare; e per iscegliere un tema palpitante d'attualità, parafrasa il Genesi, ciarla delle repubblichette Italiane, delle crociate, della scoperta delle Americhe, eccetera. E quanti popoli furono indarno! La civiltà segue il corso del sole: ma prima dell'egemonia americana, e non si sa perchè, dovrà sorgere e tramontare un nuovo periodo egemonico Italiano. Sfido io a pescare un concetto in questo guazzabuglio, in questo cibreo di volgarità e d'amenità. L'autore [pg!47] voleva rifare poeticamente la storia universale? Dunque, bisognava cavarne una somma, identificarla in personaggi ne' quali il pensiero filosofico diventasse vita, dando alle grette scrupolosità d'esattezza, bando alle inimmaginose nomenclature. Già, se vi limitate a riversificarmi per la millesima volta le storielle della mitologia biblica, non filosoferete, nè poeterete. Invece, infondendo nuovo contenuto al mito, potrete produrre splendide creazioni, come l'Inno ai Patriarchi di Giacomo Leopardi; o per iscegliere un esempio che non sembri all'Aleardi una caricatura, come Il Prigioniero di Francesco De-Sanctis, che senza dubbio è il non plus ultra di quanto può fare chi non è nato poeta.

Che serve esaminare ad uno ad uno questi titoli d'una pretesa infondata? Quando l'Aleardi accusa l'Itala Musa d'esserglisi prostituita, è un calunniatore; e basta dimostrar falsa una parte del suo racconto, uno de' documenti presentati, perchè ragionevolmente non sia più da credergli in nulla. Due sole parole sul Canto politico in morte della Contessa Marianna Giusti, nata Marchesa Saibante, dedicato Al Venturo Pontefice, perchè le ingiuste contumelie e facili e senza pericolo e codarde quindi e plebee, contro la canizie veneranda del pontefice vivente mi cagionano un tal disgusto, che avrei preferito passare senza ragionarne. Qui era balenato all'Autore un gran concetto. Egli chiede alla morta: — «Perchè morire? ora che riacquistiamo una patria! esser cittadina d'un gran popolo, non è meglio forse, che diventare abitatrice del cielo?» — Quanta profondità in questo ingenuo pensiero! come esprime acconciamente le idee moderne dell'uman genere adulto, che pago della sua sfera, conscio del suo significato, rinunzia volontariamente ad ogni speranza oltremondana! l'uomo si sente dappiù del santo, del dio, parti del suo spirito; la vita con le sue vicissitudini vien anteposta alla beatitudine immobile. Somiglia il concetto del Prometeo del Goethe, che in quel frammento del francofortese rimane troppo astratto e filosofico, [pg!48] non si anima in tutto, non acquista vita piena e salda. Ebbene, di questo gran concetto che inciampava, messer Aleardo Aleardi non s'è nemmeno accorto! anzi giunge a tale eccesso di platealità da mandare la sua morte in cielo a pregare per l'Italia, come farebbe ogni scolaretto, come si legge su tutte le lapidi, come han fatto millantamila altri imbrattacarte prima di lui; eccetera, eccetera.

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