Читать книгу Fame usurpate - Vittorio Imbriani - Страница 13
VI.
ОглавлениеL'amore è per le letterature de' popoli moderni quel che la vôlta è per le loro architetture. E l'uno e l'altra acquistarono valore per l'Arte appo i Romani e signoria presso che esclusiva nel Medio-Evo. Allora la vôlta divenne principio e norma di ogni costruzione artistica, anche nelle contrade dalle quali il clima e la natura del materiale in uso avrebbero dovuto apparentemente escluderla. Inesauribile nelle forme e nelle combinazioni; pieghevole ad ogni scopo, ad ogni bizzarria; capricciosamente complicata nel gotico e nel barocco; miracolosa nelle cupole, ne' ponti, negli acquedotti; perchè cominciasse a perdere del suo d'impero, conveniva che questo matto secolo decimonono desse di piglio a due materiali sin'oggi trascurati dall'arte edificatoria: al ferro ed al vetro, rivaleggiando con lo Atlante dell'Ariosto e con le fate de' conti popolari.
Parlavamo di amore. Non v'ha passione più spontanea, più universale, più comprensibile: ogni uomo, che sia uomo, ogni animale, che abbia anima, debbe averla sentita o sott'una o sott'altra forma; se finanche le cieche forze di natura sembrano sciogliersi in rapporti amorosi! — «Niuno effetto ovvero accidente, qualunque ei si sia, è tanto universale e comune a tutte le cose. Perciocchè egli non è cosa nessuna in luogo nessuno, nè tanto bassa e ignobile, nè così alta ed eccellente, la quale non abbia in sè qualche amore; anzi quanto è più nobile ciascuna cosa e più perfetta, tanto ha senz'alcun fallo più perfetto amore e più nobile.» — Così Benedetto Varchi. Foggiandosi l'amore diversissimamente, secondo le più minute e nascose parti della personalità amante e dell'amata, [pg!34] esso è inesauribile nelle sue modificazioni: e quindi, tanti poeti, tanti amori. Sel sanno e conscii di quanto lor giovi quest'affetto, non possono pensarvi senza entusiasmo e riconoscenza, — «sono innamorati dell'amore; — Applaudissez du moins pour l'amour de l'amour, conchiude una volta Teodoro di Banville. Hanno adoperato le più vaghe parole ed efficaci per rappresentarcelo vivamente; hanno sfruttato le cave delle metafore e degli epiteti per caratterizzarlo. L'hanno chiamato fiamma, catena, sospiro, piaga, luce, guerra, martoro, follia, raggio; ed ognuno di questi termini indica ed implica già di per sè ed in nuce un concetto della passione; sebbene col tempo, pur troppo, rimettendo della efficacia primitiva, siano precipitati nell'uso volgare della lingua, e sappiano del rettorico quando lo scrittore indifferentemente li adopera. Ed Aleardo Aleardi in busca di novità chiama l'amore.... voi non vorrete credermi, ed è pur così.... chiama l'amore: assillo! Dunque non è per lui la fiamma divoratrice del vivicomburio; nè la piaga onde sgorga il sangue e la cancrena si diffonde; nè la catena obbrobriosa, fatale e pur cara; ned il martirio immeritato e sofferto imperturbatamente, grazie alla buona speranza che lo allevia; ned il raggio implorato che dissipa gli errori della tenebria; no! chêh! anzi una delle innumerevoli noje della vita, seccatura inevitabile che ci sforziamo di scacciare come l'importuno tafano, bestemmiando la santa volontà di messer domineddio. L'amore è un disturbo della nostra pace; distrae Narciso che si specchia al fonte, e sparpaglia e fa diventar frenetica con le sue punture la povera mandra umana che rumina tranquillamente all'ombra. Nè si scusi l'Aleardi allegando il tropo esser tolto di peso dall'ode terza d'Anacreonte tejo. Perchè rubare quando non si sa utilizzare il furto? In quello scherzo umoristico dello amico di Policrate samio, un puro paragone simile, fatto di volo, sta bene; ma chi ne fa una metafora e l'adopera sul serio, non sa quel che si faccia. [pg!35] E la passione amorosa che in Omero esiste appena come accessorio e sotto la forma quasi brutale d'affetto conjugale; che l'Erissimaco di Platone confessa con istupore di non trovare encomiata da alcuno de' tanti innografi; che in Virgilio, quantunque essenziale d'importanza, è puramente episodica nella composizione: diventa dalla poesia provenzale in poi fondamento e condizione d'ogni poesia. Sembra che ormai l'ideale possa incarnarsi solo in forme femminili; e che la via fatta, o prosperamente od indarno, per raggiungerlo, l'Iliade combattuta e l'Odissea sostenuta, possa ritrarsi unicamente dipingendo le vicende di un amore. Diceva il Goethe: — «Rassomiglio le donne a patere d'argento, in cui noi poniamo frutta d'oro. L'idea, ch'io ne ho, non l'astraggo dalle parvenze effettive, anzi m'è innata, od è sorta in me dio sa come. I caratteri femminili, che ho rappresentati, se ne sono avvantaggiati: sono meglio sempre che nella effettività... La donna è l'unico vaso, che rimanga a' moderni, per versarvi la loro idealità. Degli uomini non c'è, che farne. Omero ha tutto preso anticipatamente in Achille ed Ulisse, nel più forte e nel più saggio.»
Questo modo di concepir l'amore apparterrebbe al più basso comico, al buffonesco. Quando il monaco medievale raffigurava nella miglior passione umana il demonio tentatore e si crocesignava scorgendo una bella ragazza, era ridicolo; ma latitava pur sempre uno strazio altamente serio in fondo a quell'apparenza comica: tutto il fàscino della tentazione, tutto l'intenso desiderio del frutto vietato, tutta l'ebbrezza d'una gioia momentanea fruita a prezzo d'eterni tormenti. Quando l'alverniate Sebastian-Rocco-Nicolò Chamfort definiva l'amore: — «scambio di due capricci e contatto di due epidermidi» — era ignobilmente prosaico; eppure si ravvisa qualcosa di tragico in quest'uomo costretto dal ragionamento e dall'esperienza a negare la maggior dolcezza della vita. Epperò quel comico spontaneo e questo comico [pg!36] dottrinario serbano una certa dignità. Invece il comico del concetto implicito nella espressione aleardesca, risiede nell'incapacità del subjetto, il quale si dimostra disadatto a gustar l'amore. È una comicità nauseosa, come quella dell'eunuco innamorato delle sultane che attuffa nel bagno o conduce al talamo del padrone, nelle Lettere persiane di Carlo di Secondat, barone della Brède e di Montesquieu.
Ho detto è, doveva dire sarebbe, se fosse sentita ed enucleata, il che non è. Meno forse d'ogni altra cosa l'Aleardi concepisce l'amore: qui proprio non ha mai barlume di vera tenerezza o di vera disperazione, qui dove l'infimo degli scrivacchiatori coglie spesso qualche felice momento. S'egli ostenta d'essere amato, non commette un'indiscrezione scusabile dall'affetto sovrabbondante, anzi una calcolata scimmieggiatura di Vittor Hugo per propalare che una signora comiffò il chiama: mio poeta. Se impreca ad una ritrosa, non accade pel crepacuore della passione insoddisfatta, anzi per tradire, imitando Giacomo Leopardi nell'Aspasia, dispetto e meraviglia che una donna abbia potuto non istimarsi onorata e beata d'esser prescelta ad appagar le voglie d'un tanto vate. Ripeto, tutto questo tornerebbe sublimemente disgustoso, se il comico ne fosse sentito e svolto: ma l'autore parla con la massima serietà e senza evidenza.
Non sente l'amore. Descrivendo due amanti, i quali godono: — «quel soave fin d'amor, che pare All'ignorante vulgo un grave eccesso,» — il signor Aleardi ha osato chiamare i momenti di voluttuosa ebbrezza:
........ ore di cielo,
Che ne l'inferno echeggiano.......;
e peggiora nell'ultima edizione questo pessimo brano, correggendo:
Ore di ciel, che il ciel condanna.
[pg!37] Corpo di Bacco! ed io crederei che questo uomo abbia potuto amare mai? Oh quegli cui una gentile desideratissima è stata quandochessia benigna una ora; quegli che almeno con la fantasia cupidamente ha bramato un'ora di felicità; sente nel ritrarla, non casca in freddure, in concettini, in antitesi; non pensa ned al cielo, ned all'inferno: quel presente è tale che spreoccupa del futuro.
— «Ma l'Aleardi ha forse voluto manifestare la sua riprovazione per gli amori illeciti, che ne offendono il senso morale....»
— Poverino! Davvero? E gli uomini dal senso morale conturbato, gli uomini ripieni di santo sdegno contro il peccato, a' tempi nostri il rivelano coi bisticci; come un secentista, come il cappuccino nel Campo di Wallenstein, del quale lo Schiller coadjuvato dal Goethe compilò la parlata sulle opere di Abramo da Santa Chiara? Che tanfo da don Pirlone! L'Aleardi ha voluto mentire una riprovazione che non sentiva, e non gli è riuscito. Non potremmo che commiserarlo se davvero sentita l'avesse: Dante era un carattere moralmente severissimo, come non ce n'è più, e colloca Francesca col cognato nella bufera infernale; eppure piange al vederli, eppure gliene duole, eppure s'impietosisce fino a cadere in deliquio: condanna e non impreca, perchè la mente gl'impone di condannare, ma il cuore scusa; invidia que' meschini, ma la fantasia, ritraendogliene la dolce colpa, lo invaghisce di essa.
Ma lasciamo Dante: i paragoni sono odiosi. Il Nostro dichiara di amare ardentemente non so che Maria, ed in pruova le propone.....
— «Cosa? Badiamo, veh, di moderare le espressioni!....» —
— Non c'è da moderar nulla; non fu mai vista più moderazione in alcun amadore. Le propone di andarsene soli scorrazzando senza saper dove......
— «Scarrozzando?» —
— No, scorrazzando, a piedi.
— «E non sarebbe meglio prender la ferrovia e [pg!38] scapparsene per un mesetto a Parigi, ch'è il luogo più acconcio per godersi lietamente la luna di miele di qualsivoglia amore?» —
— Crederei, ma i giudizî differiscono. Le promette di raccogliere muschio e fargliene un guanciale, senza federa; di suaderle il sonno cantando la sua canzon più bella; e di meriggiarle accanto sotto all'odorosa tenda d'un'acacia tardiva perchè non diventi mora....
— «Vedi bàlia e ninna-nanna! non sarebbe meglio andare all'albergo e farle preparare un buon letto sprimacciato, magari a due piazze?» —
— A parer nostro, ma i gusti variano. Caso sopravvenisse un temporale; di freschi allori le farà ghirlanda; acciò vada: rispettata dai fulmini le chiome......
— «O non sarebbe meglio aprire il paracqua?» —
— Secondo gli usi odierni, ma i costumi cambiano. Quando poi la Maria avrà sete le
..... corrà pei solchi,
L'onda del ciel nel calice dei fiori.
Che dio prepara all'uccellin che migra....
— «E quando l'avrà fame?» —
— Una creatura tanto eterea non ha mai fame; ad ogni modo le frangerà il suo pane sovra un desco di rose e di viole;
— «Magro pranzo e desco incomodo!» —
— Quistion d'abito. Malgrado la etereità, pure a queste offerte seducenti, la Maria va
..... celando, con la man di neve,
L'esistenza che in porpora la tinge.
— «La man di neve? scommetterei che il braccio eburneo e le labbra coralline son poco discoste. Una ciliegia tira l'altra». —
— Zitto, che adesso viene il bello. L'amante per assicurar lei che tituba, le dice:
Rea non sarai: però che sempre è mesta
Quella letizia che di colpa odora.
[pg!39] — «Odore di colpa? somiglierà all'odore di becco, m'immagino. Un amante chiama reato e colpa lo scopo dell'amor suo? Mi burli? O che nuovo modo di sedurre? che nuova razza d'amanti è codesta?» —
— Una esotica, rinvenuta dall'Aleardi, che han fatto probabilmente commendatore in grazia della preziosa scoperta zoologica, e non già, come si buccina dalle male lingue, in mercede de' versi scarabocchiati nell'albo del ministro Natoli. Egli prosegue: — «Al fondo non ci separa che un pregiudizio stolto. La progenie umana
ai capricciosi
Moti del suo pensier diede il superbo
Nome di legge.
Ma non importa: rispetteremo lo stolto pregiudizio, perchè... lo rispetteremo. Vivremo come fratello e sorella, placidamente insieme. Mia non sarai. Fidati». — E descrive gli amori di due isolette vicine, consorti, ma separate da mare profondissimo: Si guardan sempre e non si toccan mai; della luna e del globo, che fanno all'amore, quantunque
...... una infinita
Lontananza di freddo aer le parte:
Si guardan sempre e non si toccan mai,
e conchiude:
Così noi due, soletti pellegrini,
In vicinanza coraggiosa e monda,
Malinconicamente esuleremo;
sicchè nojaltri lettori si finisce col fargli l'atroce ingiuria di credere che la Maria potesse fidarsi daddovero! Chieggo scusa dello scherzo, che convengo esser di pessimo gusto. Ma sfido io di rimanere in contegno leggendo questa robaccia e ricordando che pur c'è chi l'ammira bona fide.
[pg!40] Chiunque ha un po' di mondo sa che nella vita si dànno casi analoghi; due infelici, due miserrimi possono trovarsi in una posizione falsa siffatta; ma se amano veramente, sinceramente, uno strazio catartico, una tragica colluttazione debbe verificarsi negli animi loro. Et, od il travaglio interno, cresciuto al punto — «che sostener nol può forza mortale» — gentilmente uccide i travagliati; oppure, vincendo ogni ritegno, sforzandoli a violare i dettami della coscienza, apparecchia la necessità della espiazione. Tale sarebbe il caso d'un fratello e d'una sorella che si amassero d'amore non fraterno, come il Renato e l'Amalia di Francesco-Augusto, visconte di Chateaubriand. Ma una rassegnazione placida, come questa dell'Aleardi, che non fa presentire nessuna catastrofe, è non meno psicologicamente assurda, che poeticamente incapace di soddisfarci. Verso la fine dello squarcio che ho riassunto si notano alcune descrizioncelle indovinate, almeno come intenzione: la rosa,
All'amoroso rosignuol contesa;
Le isole, che
..... l'una all'altra
Sorridon liete;
La luna e la terra, che:
..... nelle notti,
Si scambiano un saluto alternamente
Con favella di luce;
ma perchè riuscissero poetiche qui, avrebbe da ogni parola dovuto trapelare la meraviglia, che a dispetto d'ogni legge naturale, il fiore e l'augello, le due isole, i due astri non si costringano in amplesso, ingenerando negli uditori il convincimento, che malgrado tutte le belle promesse, dopo la prima giornata di viaggio, il poeta sarà uomo e la Maria sarà donna, e la categoria morale violata preparerà la sua vendetta e la loro rovina. Allora avremmo biasimato l'aberrazione pur commiserando quei traviati, come nella Mirra dello Allobrogo feroce (che fu allobrogo solo ne' versi del Foscolo) per quanto s'inorridisca [pg!41] delle brame incestuose è pur forza compatire la vittima infelice della Nemesi. Ma così, come l'Aleardi li ha rappresentati: primo, l'impedimento, rimanendo troppo nel vago, sa del capriccio irragionevole; e, secondo, la rassegnazione sa d'impotenza. Il poeta non ha sentito: non v'è strazio di sorta in lui.
Non v'è di che stupire. L'amore è abnegazione, oblio di sè: come può dunque amare un autolatra? Chi non vede che sè solo dappertutto, non può provare alcuna maniera di affetto. E questo è il caso nell'Aleardi anche per l'amor filiale: più lo decanta, più ne ostenta, e meno ci commuove. Se fra' cani ci fosser de' verseggiatori, forse a qualche o bracco o levriere o barbone od alano o mastino o molosso potrebbe condonarsi il dire:
..... ne la deserta
Mia cameretta ancor sento il celeste
Tuo profumo di santa;
ma per la genitura o meglio progenitura di Giapeto, un figliuolo che fiuta od annusa la madre è una immagine ridicola, ed un profumo di santa non si sa cosa sia. Nè mi si citi la Novella sesta della seconda giornata del Decameron, dov'è detto: — «Il figliuolo, quantunque molto si maravigliasse, ricordandosi di averla molte volte avanti in quel castello medesimo veduta e mai non riconosciutola, pur nondimeno conobbe incontanente l'odor materno e sè medesimo della sua preterita trascuraggine biasimando, lei nelle braccia ricevuta lagrimando teneramente basciò.» — Che odore in questo brano non indichi cosa che agisce sull'olfatto, è chiaro. La Crusca registra lo squarcio come esempio di odore nel senso d'indizio o sentore; e dopo — «conobbe incontanente l'odor materno» — aggiunge parenteticamente — «cioè la raffigurò.» — La spiegazione letterale non parmi soddisfacente, ma non importa. La brutal metafora del Boccaccio non era da prendersi per ingemmarne una lirica.
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