Читать книгу Fame usurpate - Vittorio Imbriani - Страница 16
IX.
Оглавление— «Ma, chi scrive, bisogna pur che dica qualcosa; e gli ha da essere un impiccio indiavolato quando manca sentimento e concetto!» —
— Gnornò. Anzi, stimala per la cosa del mondo più comoda: si scarabocchia carta e carta senza fatica, senza palpiti, senza patemi, senza sciuparsi, [pg!54] come amavano la Veneranda ed il Taddeo dell'Amor pacifico. Grazie a' tanti secoli di vita che l'uman genere conta, grazie alla lunga esplicazione letteraria della mente Italiana, v'è una sterminata quantità di formolato a disposizione delle fantasie sterili: espressioni consacrate, immagini proverbiali, concetti volgari, luoghi comuni, parole e pensieri che furono forse un tempo roba poetica e sentita, ormai ridotta dall'uso a mere cifre, a segni convenzionali, come quelle monetacce, che circolando a lungo pèrdono l'impronta del conio. — «La lingua verseggia per lui,» — diceva il Goethe a proposito de' componimenti dilettanteschi d'un Re bavaro. In somma delle somme, v'ha il mare inesauribile del rettorico (faccio per non nominarlo); di ciò che alcuni in Economia Politica addimandano ricchezza comune e gratuita, e che appunto perchè gratuita e comune, mal si spaccia per ricchezza nella scienza sociale e mal si battezzerebbe poesia nell'Arte. Ci è il sol di luglio del proverbio; e molti se ne fan belli, e molti il vendono, e molti dabbenuomini il comprano a caro prezzo, come cosa di valore e rara. All'oceano del rettorico, del formolato, attinge, senz'ombra di scrupolo, copiosamente Aleardo Aleardi: ne' suoi canti non ravvisi la manifestazione immaginosa di concetti sentiti, anzi un sèguito di formole, de' lunghi polinomî di cosiddette imagini poetiche. Ed il lettore ne riman commosso suppergiù come lo spettatore da una pergamena istoriata di rebeschi o da un papiro coperto di geroglifici.
Quindi non vien freddato un tanghero nelle sue battaglie, del quale non si deplori la solita madre o l'immancabile sposa che ne aspettano il ritorno conteso in eterno! Se una fanciulletta od una contessucola sparenta, consoliamoci, anzi rallegriamoci: le sono ite ad acculattar qualche panca in cielo alla destra di dio padre onnipotente ed intercedono per nojaltri! Se accade una mischia, ecco subito i singhiozzi obbligati delle mamme e delle sorelline! I sepolti, ci s'intende, aspettano vendetta ed invocano [pg!55] l'ira del nume sul carnefice! I mondi danzano. (Ho l'imbarazzo della scelta fra mille esempli di questa immagine più vecchia del brodetto. Antonio Muscettola, nella canzone a don Giuseppe de' Medici, Prencipe di Ottaiano, in cui narra come danzando con la sua donna, da molti diamanti, ch'ella avea nelle dita, gli fu in gran parte scemato il diletto, scrive:
Stanco il mondo godea
Tranquille piume in fra gli orror segreti:
E scintillanti e belle
Tessean lucidi balli in ciel le stelle).
La natura inneggia al creatore. I firmamenti sono una tenda. La terra è un granel di polvere, chi la guardi dal cielo. (Vedi, per restringermi ad una citazione, la parlata d'Amore, in fine del quint'atto dello Endimone del Guidi:
E la terra, che appare immensa mole,
Dall'uno all'altro polo
Sarà, sott'un tuo sguardo, un punto solo.)
I vespri tuonano come quegli arcangeli, de' quali nessuno ha udito la musica mai. Il Byron ha lasciato l'ossa ad Albione ed i poemi al mondo. (Di simili divisioni della eredità degli uomini grandi o spacciati per tali, potrei addurne centomila esempli. Mi basti rammentare la iscrizione sulla tomba del cardinal Parisio in Santa Maria degli Angeli a Roma ed il sonetto in morte di Torquato Tasso, che leggesi nelle Tre Grazie del seicentista Antonio Bruni da Manduria:
Morto il gran Tasso, anzi avvivato in dio
Quei, che già riportò fra' cigni il vanto;
Tra la Fama e la Terra e 'l Ciel s'udio
Bella gara d'onor fra 'l lutto e 'l pianto.
Il Ciel diceva: «Il gran Torquato è mio,
Poi ch'apprese da me celeste il canto».
Dicea la Terra: «A me si dee, perch'io
Di me stessa gli ordii caduco il manto».
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Ma soggiunse la Fama: «Anzi, a me sola
Dèssi il cantor che vinse il dio di Delo,
Perchè in Pindo per me chiaro sen vola».
Indi Febo parlò da un aureo velo:
«La Fama il nome, or che all'obblio s'invola,
S'abbia; il corpo la Terra; e l'alma il Cielo».)
Quel destriero barbaro, di cui già Orazio, scalpita nei canti dell'Aleardi per mille millesime volte sulle tombe Italiane:
Barbarus heu! cineres insistet victor et urbem
Eques sonante verberabit ungula;
eccetera, eccetera. Non vi si cansa un platealità demagogica o rivoluzionaria. Beninteso, che l'eminente statista, il quale in Austria si chiamava Clemente-Vincislao-Nepomuceno-Lotario Principe di Metternich e nel Reame delle Due-Sicilie, Duca di Portella vien gratificato dall'epiteto di assassino, e l'Austria riceve il predicato perfida, eccetera eccetera. Insomma ad ogni personaggio, ad ogni stato è conservato l'aggettivo in uso presso i politicanti da caffè ed i gazzettieri di trivio: l'Aleardi potrà servire di repertorio, quando una più giusta cognizione ed estimazione della storia li avrà fatti dimenticare agli avvenire. La Polonia cos'è? La terra di Giovanni Sobieschi, ben inteso, abbandonata dalla ingratitudine di questa Europa, che essa salvò dalla barbarie musulmana.... (Vedi i compendî di Storia ad uso delle scuole; tutti gli articoli di fondo scombiccherati da' politicanti sentimentali sulla Polonia; e tutte le insulse filastrocche verseggiate su di essa da' poetonzoli Italiani, cominciando da Giuseppe Ricciardi e terminando a Pasquale Turiello, o s'altri v'ha più da meno, miseri stemperatori delle tumide parole dello Châteaubriand nella biografia del Rancé: Sobieski entra dans Vienne par la bréche qu'avait ouverte le canon des Turcs. Les Polonais sauvèrent l'Europe, qui laisse exterminer aujourd'hui la Pologne. L'histoire n'est pas plus reconnaissante que les hommes; goffi parafrasatori [pg!57] delle belle strofe del Poerio per l'arrivo in Sicilia dello autocrate Niccolò).
Che dirò delle reminiscenze mitologiche, pagane e cristiane, eccletica e rettoricamente adoperate; delle personificazioni, che ti agghiacciono ad ogni piè sospinto? Bacco piange sulla crittogama; l'insidioso Satana vola largamente con l'ale sul tenebroso tetto del Quirinale; le anime vengono assunte al glorioso bacio del Cristo; e via discorrendo. Non crediate già che il merito d'una battaglia trionfata spetti a' nostri prodi! Ohibò!
..... Il derisore
Dio de le fughe visita le file
Degli stranieri e il core.
La convenzione di Vilagos ed il preteso tradimento sono bell'e spiegati col matrimonio di Arturo Görgey.
— «Che forse amoreggiava con la figliuola del conte Rüdiger?» —
— Nossignore, anzi.....
..... l'infamia..... su lo aborrito
Campo di Ieno a lui pose nel dito
Il suo vipereo anello nuziale.
Chieggo a voi che avete combattuto, o come mi rappresentereste un combattimento, una vittoria? M'immagino che porreste in luce un tratto caratteristico, il quale lasciasse indovinare il tumulto, le vicende della battaglia, del trionfo; che vi regolereste insomma press'a poco come Giovanni Berchet nelle Fantasie, quando sua mercè riviviamo a' tempi di Legnano, divenuti ne' suoi carmi più belli che non fossero nella torbida realtà. Ecco invece in qual guisa l'Aleardi si lusinga di pormi una vittoria sott'occhi, una vittoria del Bonaparte sull'Alvinczy;
Un giorno, immansueta e bella
Dea, la vittoria scese; e per quei poggi
Danzò la danza pirrica su metro
Repubblicano....
[pg!58] eccetera, eccetera. Veggo con la mente una sgualdrina scambiettare, non mica combattersi una mischia. Vien proprio voglia di esclamare, come i contadini bresciani, quando per la calura sorgono vapori da' campi acquitrinosi, ch'essi addimandano nidi della vecchia, di sclamare: Bala, pör vecia!... che gh'ho in cul el to balà!
Chiunque è avvezzo a non creare le immagini che adopera e ci è avvezzo per l'ottima ragione che non sente poeticamente; chiunque è avvezzo a servirsi del formolato: non potrà cansare, nel prendere delle res nullius, di por talvolta la mano anche su qualcosa che abbia un padrone, che non sia ancor divenuto patrimonio pubblico. E l'immagine od il pensiero accattato da uno scrittore, costituisce ciò che con blanda parola si addimanda reminiscenza e con altre più dure o meno ipocrite plagio o furto. Volere o non volere, alla mente senz'utero, inetta a fantasticare o favoleggiare con indipendenza, si affacciano que' pensieri forniti e forbiti, perfetti, potenti; e non avendo essa virtù di trasformarli specificamente, le s'impongono. Quindi niente meraviglia, se percorrendo il Nostro, l'orecchio è percosso ogni tanto da un'eco languida d'altri scrittori contemporanei, massime del Foscolo, del Manzoni, del Leopardi e de' franzesi Hugo e Lamartine. Anche su codesto capitolo io mi pregio d'essere frammanicone: nulla di più lecito che il riprendere l'opera d'altri. V'è del vero in quelle parole del Beroaldo di Verville: Ceux qui disent «j'ai vu ceci et cela autre part» sont des chetifs averlans. Quand on mange d'un chapon, est-ce le chapon qu'il y a plus de cent ans qui fut mangé et chié? In Arte l'appropriarsi l'altrui non è rubare. Ad un patto però: che tu faccia tuo quel che t'appropri, che e' imprima il tuo suggello, che vi scolpisca la tua marca, te, la tua personalità; che ne ricavi miglior partito dello inventore; che tu faccia come l'occupatore, l'usurpatore d'un terreno demaniale inculto ed insalubre, il quale il dissodi ed il bonifichi. Ingenerandosi ogni [pg!59] immagine da un'impressione, importa ben poco al fondo se questa prima impressione sia naturale affatto, oppure una immagine artistica anch'essa. — «Il mondo riman sempre il medesimo; le condizioni si ripetono; l'un popolo vive, ama e sente come l'altro; o perchè un poeta non dovrebbe favoleggiar come l'altro? Se le situazioni della vita sono simili, perchè pretendere dissimili le situazioni della poesia?» — Così diceva una volta il Goethe, chiaccherando su' motivi delle poesie popolari serbe, tradotte in tedesco dalla Talvj; mentre Federigo-Guglielmo Riemer e Giampietro Eckermann osservavano: avere il Goethe, aver essi stessi, adoperati parecchi di quei motivi senza saper di serbo. C'era stato incontro. Ma come li avevano esplicati? a modo loro, non alla serba. Ogni tema, ogni situazione, ogni personaggio, ogn'idea, ogn'immagine, ogni metafora vive in ogni letteratura una lunga enucleazione poetica; le differenti fantasie di molti poeti guardano quegli elementi diversamente, successivamente e li esplicano, enucleano, svolgono, sinchè se ne sia cavato il cavabile; anzi, queste manifestazioni successive procedono storica e logicamente l'una dall'altra: si presuppongono e s'implicano. Gustave Pianelle ha compilato un libro: Echi poetiche, in cui registra molte imitazioni di squarci latini fatti da classici francesi: ce ne ha, che sono trasformazioni, ce ne ha, che rimangono semplici copie. Negli Annali per le letterature romanze ed inglese, un tedesco stampava testè non so che saggio sulle imitazioni degli antichi nell'Ariosto; e per citarne una, l'episodio di Cloridano e Medoro è ispirato evidentemente dall'episodio di Eurialo e Niso: ma quanto diverso! Giampietro D'Alessandro pubblicò verso il M.DC.IV uno scritto sugli accatti analoghi del Tasso; non ho vista l'opera, ma il Mannerini la rivendica per cosa propria od almeno afferma di aver messo insieme un lavoro consimile, nella prefazione al Pastor costante. Quante immagini l'Allighieri non desume da Virgilio! diremo che il saccheggi? Le famose ottave [pg!60] di Torquato Tasso sulla rosa presuppongono quelle di Ludovico Ariosto, che non ci sarebbero senza le stanze d'Angiolo Poliziano, imitate dagli esametri di Catullo: ma il Poliziano non ruba Catullo; nè l'Ariosto il Poliziano; ned il Tasso l'Ariosto: hanno esplicato e trasformato il concetto, sempre. Invece, nel Cantore Sciaculi, l'Aleardi manomette il Bertrano dal Bornio di Ludovico Uhland; nel paragone che chiude le Lettere a Maria, ruba il Mazeppa di Vittor Hugo; qui la trasformazione, l'esplicazione ulteriore del concetto manca. Nel Triste Dramma, nelle Città Italiane, nell'È morta, nella Viola, nel Giuoco di Palla, eccetera, eccetera; ecco dovunque reminiscenze del Foscolo e del Leopardi. Evidentemente Aleardo Aleardi non è infetto della delicatezza morbosa che spingeva Alfredo di Musset ad avvertire in nota ai lettori come qualmente egli avesse accattata questa o quella metafora del tale o tal altro. Non ha la franchezza con cui il De-Iouy diceva nella prefazione ad una commedia: — «Un generale estero, noto pe' suoi fiaschi nella guerra d'America, il quale si consolava con trionfucoli teatrali a Londra delle batoste solenni buscate a Saratoga, il Bourgoyne, aveva già ideato di rappresentare una ereditiera circondata da proci avidi. Non avrei avuto scrupolo alcuno, il confesso, d'accattar da lui un motto arguto, un carattere nuovo, una scena od anche una situazione interessante, se ne avessi trovati nel suo lavoro: gl'imprestiti fatti agli stranieri non venner mai tenuti per plagi. Ma seguendo in ciò l'esempio dato spessissimo dagli autori inglesi, non li avrei imitati anche nel tacere gl'imprestiti da me fatti e nel disconoscere i miei debiti». — Insomma, per non uscir fuori della Italia, anzi per rimanere nel Veneto, lo Aleardi non ha l'ingenuità simpatica di Pietro Michieli, che dichiarava al lettore della sua Benda di Cupido: — «L'autore non ne ricerca lode, che di fatica; essendone la minor parte di sua inventione, e la maggiore trasportata da autori d'altre lingue. [pg!61] L'esser egli il maggiore nemico che possa haver l'otio è cagione di ciò: poichè, quando egli non si sente così pronta la vena poetica per comporre del proprio ingegno, s'ingegna almeno d'affaticarsi intorno alle compositioni da altri in altre lingue scritte, per non passare il corso della sua vita (per quanto può) in altro, che in attioni virtuose. In altri è stato stimato lodevole simile esercitio, e forse anco in lui non verrà biasimato. Tanto più, che avendo fino ad hora consignato alle stampe molti volumi di sua propria et assoluta inventione, da quelli si viene in cognitione, che non ha bisogno di mendicare dagli altri, essendo dovitioso nel proprio capriccio». — Ma del Nostro non abbiamo volumi di sua propria et assoluta inventione.
Giovanni Berchet scrisse una volta:
Come il mar su cui si posa
Sono immensi i guai d'Italia,
Inesausto è il suo dolor. —
ed Aleardo Aleardi augura con cristiana carità al comunista francese di venir deportato in isole lontane:
Dove lo cinga un lutto
Perpetuo come il flutto.
Alessandro Poerio ha detto parlando de' suoi dolorosi tempi:
Nel seno del poeta
Non s'agita il profeta;
Gli è chiuso l'avvenir; —
ed Aleardo Aleardi ripete:
..... E nel poeta
Il profeta morì.
Il Marino disse:
Così dunque cangiar sinistra sorte
Può maniglie in manette? anella in nodi?
Gli aurei monili in ruvide ritorte?
Adone XIV. 299.
[pg!62] Ed Aleardo Aleardi, come abbiam visto, scimmiotta:
Abbiam catene in cambio di smaniglie,
La fune al collo in cambio di monili.
Alessandro Manzoni ha posto in bocca al suo Adelchi certi versi, che lo Adelchi storico ripudierebbe, ma che tutti sanno a mente:
..... Una feroce
Forza il mondo possiede e fa nomarsi
Dritto: la man degli avi insanguinata
Seminò l'ingiustizia; i padri l'hanno
Coltivata col sangue, e ormai la terra
Altra messe non dà; —
versi che Aleardo Aleardi copia così:
L'odio fu sparso, il postero
Raccoglierà vendetta.
Lo stesso Manzoni vi rappresenta Alboino che sale sopra 'l monte, rivolge in giù lo sguardo all'Italia e sclama: — «Questa terra è mia!» — Ed Aleardo Aleardi imita:
.... Or su que' sassi... si sdraja
Il vïennese sordido gregario:
Stende le membra, del bastone esperte,
Plebeamente, e, accesa l'acre foglia
Americana, guarda in ver le pingui
Venete valli e le lombarde e dice:
«Quelli son miei poderi.»
E, (salta agli occhi) imita con ben poco discernimento. La esclamazione, dal Manzoni acconciamente suggerita ad Alboino Re, non istà bene sulle labbra dei poveri soldati tedeschi, i quali, come gli avrebbe dovuto insegnare il suo povero Beppe:
.... Re pauroso
Degl'Italici moti e degli slavi
Strappa a' lor tetti e qua senza riposo
Schiavi li spinge per tenerci schiavi!
[pg!63] Ci vuole anche un po' di criterio per utilizzare ammodo gli spogli è gli excerpta fatti nello scartabellare i buoni autori: non foss'altro per non somigliare alla moglie del tintore. Un giorno che aveva bisogno di cenere per le stoviglie o pel bucato, dà di piglio ad una catasta di guado e di verzino, credendo fosse roba di scarto; e con buona alchimia da cinquecento lire di droghe trasse cinquazei centesimi di cenere.
Il Byron, sclamando:
Know ye the land where the cypress and myrtle
Are emblems of deeds that are done in their clime?
con quel che segue, ha imitato il Goethe, che nel Guglielmo Maestri fa dire alla sua Mignon:
Kennst Du das Land? wo die Citronen blühn
eccetera. Il fatto è innegato: quella splendida introduzione ad uno dei più cari poemetti dello irrequieto inglese, venne aggiunta sulle bozze di stampa; è da lodarsi di non avere rifuggito dall'imitare. Ed il Goethe ed il Byron han date stupende descrizioni, idealizzando la natura di due contrade a loro cognite e memorande. E la forma interrogativa ne' loro versi non è arbitraria, anzi ha un significato: indica la nostalgia degl'interlocutori, quel desiderio intensamente appassionato, il quale non può credere ignoto ad alcuno l'oggetto dell'affezione nostra, e chiama tutti a testimoni che si ha ragione di amare. Ma quando Aleardo Aleardi sul serio ti chiede:
..... Hai tu veduto
Ne la convalle di Siddim profonda,
Sotto il nitido ciel di Palestina,
Hai veduto brillar sinistramente
La laguna d'Asfalte?
questa interrogazione è rettorica, perchè senza ragione d'essere, mera scimmieggiatura. Quando il Nostro, parlandoci d'un prigioniero che ritrae sulle mura del carcere la sua ganza, chiama arte di Giotto la pittura; questa denominazione parafrastica è rettorica, [pg!64] perchè il povero Ambrogio Bondone qui non c'entra: il richiamarcelo in mente ci distrae dal prigioniero e dal suo triste sollazzo; mentre invece altrove, come ho avvertito, il tedesco è stupenda e caratteristicamente chiamato lingua di Lutero, rammentando così tutto l'odio che ogni Italiano vuoi cattolico, vuoi incredulo, deve alla nazione che generò quel secondo periodo di barbarie e di recrudescenza fanatica addimandato Riforma. Le descrizioni dell'inverno islandese e simili, sono rettorica nell'Aleardi, perchè il paragone serve solo a determinare e caratterizzare il termine principale, a compierne il fantasma; ed ove diventi un tutto per sè, una cosa autonoma: ove lo scrittore nel pennelleggiarlo ecceda i limiti e dimentichi il principale, dobbiamo conchiudere che il poeta patisce di distrazioni, id est che non è potentemente preoccupato dall'essenziale, che non ne è quindi commosso. Ecco perchè tali strampalataggini convengono agli umoristi, a' quali importa mostrarsi fuori et al disopra della poesia. La scelta de' paragoni non è concessa all'arbitrio del poeta; non gli è mica lecito di adoperar questo o quello, a capriccio, perchè nuovo, perchè gli va a sangue, per una sua fisima, perchè così gli pare e piace. Gnornò: le similitudini hanno una necessità logica derivata dal sentimento, dal soggetto, dal carattere che volete esprimere; e quell'Italiano, il quale, per mostrare come l'anima sua, risalendo i tempi, migri agli anni della giovinezza, descrive in trentun versi i cigni che migrano d'Islanda in Grecia, doveva proprio aver l'animo più freddo del naso d'un gatto o vogliam dire (per non incorrere nella colpa che riprendiamo) più fredda delle ghiacciaje che circondan l'Ecla.
[pg!65]