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(18) LA CISTERNA

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La partenza di Lucibello mi lasciò in preda ad un’inquieta tristezza. La tristezza era dovuta alla perdita dell’amico, l’inquietudine alla mia incapacità di imitarlo.

Poiché, vedete, tutti i miei sogni: Lia e i carri dei teatranti, Lia e il palcoscenico illuminato, Lia e la poesia, Lia... Tutto questo, dovetti ammetterlo, era qualcosa che recitavo solo dentro la mia testa. Quando avevo provato a recitare nella realtà, avevo miseramente fallito. Quanto a scrivere, ero riuscito solo a scopiazzare. E il coraggio di andarmene da Morraine non riuscivo a farmelo venire. Forse, dopo tutto, sarei diventato un altro falegname nel Cortile del Nano.

Dopo il Mese-del-Passaggio giunse anche il Mese-delle-Farfalle. Il quarto giorno trovai una scusa per abbandonare la bottega di mio padre e raggiunsi la strada che portava alle montagne. Esattamente cinque anni prima ero stato investito dal carro di Lelius, e avevo visto Lia.

Mi fermai sul bordo della strada polverosa. Non c’erano Jues e Lucibello ad aspettarmi, nel casolare abbandonato. Uno era partito, l’altro lavorava. L’infanzia era finita, e nient’altro sembrava essere iniziato.

Sentii il rumore di un carro e il cuore mi balzò in gola. Ma era solo un contadino con la sua famiglia, di ritorno dai campi. Mi guardò con curiosità.

Dopo un po’, tornai a casa.

A casa trovai un messaggio. L’aveva consegnato qualcuno a mia sorella, che me lo passò in gran segreto.

Questa volta non era di Jues. Era vergato in uno stampatello ornato, e diceva:

“Sui gradini della fontana, alla stessa ora. Domani.” Non c’era firma.

Dalle finestre aperte filtrava un mormorio di voci, che si mescolava con quello della fontana. Ero arrivato in anticipo, e feci due volte il giro del porticato. Poi attraversai il cortile di sbieco, arrestandomi un momento accanto alla fontana ottagonale. Questa volta era ancora giorno, e distinsi le figure scolpite sulle lastre di pietra: le allegorie delle otto sfere celesti.

Provavo una certa riluttanza a sedermi sui gradini, così raggiunsi l’angolo opposto. Rari passanti attraversavano il cortile. Non era la Festa delle Maschere, e quella era una zona molto tranquilla di Morraine.

Quando mi voltai, vidi che una figura si era seduta sui gradini. Era avvolta in un mantello, il cappuccio che le copriva il volto. Dalla corporatura esile, doveva essere una ragazza.

Tornai indietro. Quando fui giunto a metà strada, la figura si alzò e si diresse verso un androne. La seguii. La riconobbi da come si muoveva.

Non cercai di raggiungerla. Sapevo che si sarebbe fermata a tempo debito.

La spirale del suo percorso questa volta si allargava. Cortile dopo cortile, i cerchi si avvicinavano alle mura. Qui gli spazi erano più grandi, le costruzioni meno ornate. Il Cortile dei Fabbri era pieno del frastuono delle incudini e del nitrito dei cavalli.

Poi la mia guida parve ripensarci, o forse era incerta sulla strada. Tornò verso il centro, vagò apparentemente a caso, prese infine un passaggio in salita, che aveva a destra un muro di grosse pietre, privo di aperture. Erano le mura della città.

Non si voltò mai, ma era come se la sua faccia lunare mi scrutasse sempre.

Il passaggio sbucava in un cortile irregolare e in pendenza. Il lato più lungo formato dalle mura, un altro da un’antica torre di guardia, la facciata interrotta da poche feritoie, il terzo dalla cisterna principale della città. Il quarto, molto stretto, dall’imboccatura di un androne che portava sulla chiave di volta due pesci intrecciati. Da sopra i tetti si scorgeva la torre circolare del Castello, la più alta di Morraine. Quasi metà del cortile era occupato da un orto cintato, probabilmente quello del guardiano della cisterna.

Occhi di Gatto si sedette sui gradini di una porticina che si apriva nello spessore delle mura.

Mi sedetti accanto a lei. Le ultime rondini stavano cedendo il cielo ai pipistrelli.

– Tieni a mente questa porta – disse.

Spalancai gli occhi. Il cappuccio le nascondeva la faccia. Allungai una mano e glielo scostai. Alla luce del sole calante, le pupille erano poco più di due fessure verticali, l’iride di un giallo intenso, screziato d’ambra.

– Perché?

– Domani sera potrai lasciare Morraine da qui.

Lo straniero ci guardò. Spalancò le braccia.

“Voi che avreste pensato?”

Che era pazza. O che scherzava. Lo pensai per il tempo di un battito di ciglia. Poi mi resi conto che era esattamente quello che avrei dovuto fare. Lasciare Morraine. Non dissi niente.

– La tua vita è in pericolo – disse Occhi di Gatto.

– Il Grifone...

– Sì. Sei stato interrogato dalla Guardia.

– Non ho detto nulla di te!

– Lo so. Ti ringrazio. Ma hai detto del Sole.

– Sì, ma...

– E hai riconosciuto l’Adepto.

– E tu come lo sai? – E subito dopo: – Il sole era l’adepto. Ed è anche...?

– Non posso dirtelo. – Che era una risposta ad entrambe le domande.

– Ma...

– Restando a Morraine sei in pericolo. È meglio se te ne vai.

Lasciare Morraine, la mia casa, mia madre, la mia famiglia! A quindici anni! Scossi la testa. Era un sogno. Adesso mi sarei svegliato.

– È quello che volevi, no?

– Cosa?

– Ti aspettarà un carro di teatranti, all’uscita del cunicolo.

Quale cunicolo? Mi presi la testa fra le mani. Mi sembrava di avere la febbre, le orecchie mi ronzavano.

Sentii la sua mano sulla spalla.

– Ascolta. Non abbiamo molto tempo. Ci sono forze all’opera che tu non conosci... e neppure io, del tutto. Forse potresti vivere a Morraine fino alla vecchiaia, o forse no. Ma se te ne vai sarai quasi certamente nessuno ti farà del male. E poi, è quello che volevi, no? – ripeté scrollandomi con forza la spalla.

– Ma tu...

– Io sono al sicuro – mi interruppe. – Se mai... i miei pericoli sono di altro genere.

Un uomo uscì dalla porta della cisterna, portando un secchio di legno e cominciò ad annaffiare l’orto. Dopo un po’ si accorse di noi, e ci salutò con un sorriso complice. Per tutto il tempo la mia compagna lo scrutò con gli occhi socchiusi, credo sospettosamente.

Quando l’uomo rientrò, lei disse: – Ti attenderò qui, a mezzanotte. Da solo. Puoi salutare i tuoi cari, ma attenzione. È necessario il segreto!

L’uomo uscì con un altro secchio d’acqua.

– Il carro... – cominciò Occhi di Gatto, e si interruppe.

– Sì?

– È diretto verso la costa. Gyenna è la sua destinazione, provvisoria.

E con ciò? Pensai. Poi ricordai. Lelius e Lia.

Ma neppure questo riuscì a scuotermi.

Allora Occhi di Gatto mi colpì il braccio con un pugno, e disse con rabbia: – Lo vedi quell’uomo?

– Ehi... certo che lo vedo.

– Vuoi passare il resto della tua vita a chiederti se il primo che incontri è una spia?

Adesso forse stava esagerando. – Ascolta, sono sicuro che il Conestabile...

– Il Conestabile non può fare nulla. Per la semplice ragione che nessuno nel Cortile Segreto lo aiuterà. Neppure io.

Questo mi gelò più di ogni altra cosa avesse detto fino a quel momento.

Ma non mi diedi per vinto. – Ascolta, mi hai detto tu stessa che la Guardia non entrerà nel Cortile Segreto. E dunque l'assassino non corre nessun pericolo. E allora perché dovrei correrlo io, che non posso fargli niente di niente?

Lei non rispose subito. – Ci sono altre ragioni... credo – disse infine. – Lui sa che sei entrato e fuggito dal Cortile, di nascosto. Sa che cerchi Lia.

– E con ciò? – Poi mi ricordai del laboratorio alchemico. Feci per aprire la bocca ma lei mi fermò. – Ascolta, neppure io sono a conoscenza di tutto, capisci? E non so perché esattamente sei in pericolo. Ma so che lo sei. Ti basta la mia parola?

Mi fissò negli occhi. Non mi venne in mente niente da dire.

Infine occhi di Gatto si alzò. – Vieni.

Mentre lasciavamo il cortile, l’uomo che annaffiava l’orto ci salutò con la mano. Ci credeva due innamorati.

Lia

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