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(28) GYENNA
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E infine giungemmo al mare.
Ventre immenso della creazione, utero insaziabile
come dice non so più quale poeta.
Il mare, per me, fu Gyenna.
Gyenna era la città più grande che avessi mai visto, e la più sporca. Da allora ho appreso che tutte le città di mare, quale più quale meno, lo sono. Sporche voglio dire. Vi arrivammo dopo inesauribili ed estenuanti salite e discese, valichi che erano solo preludio a valichi successivi, polvere e sassi. Lungo le salite, tutti a piedi a spingere il carro. Nelle discese, a piedi per impedire che rotolasse giù. Solo Blanche veniva risparmiata.
Ed ecco, dalla cima di un crinale come tanti (nessuno mi aveva avvertito, suppongo per sorprendermi), in un limpido pomeriggio, con un sole arancione quasi davanti agli occhi... il mare.
Ciò che distingue un mare da un deserto, lo dico per voi che non lâavete mai visto, non è lâinfinita vicinanza dellâorizzonte, né lâequanime diffondersi della luce. No: è il movimento.
Anche quando il mare è calmo, come lo era quella prima sera che lo vidi dalle montagne, il suo respiro è visibile, come quello di un bambino addormentato. Nella tempesta, il suo ansare è terribile, come antiche divinità che fanno lâamore.
Il deserto è polvere. à morto, non fosse che per il vento che da lontano viene a riscuoterlo.
Questo mi apparve da qual valico di cui ho dimenticato il nome: il respiro del mare, che si rivelava attraverso lâinfinitesimo frangersi delle onde. Il respiro della nostra grande madre
Gyenna, adesso. Che è una delle città più belle che abbia mai visto.
Gyenna si protende verso il mare su un lungo promontorio ricurvo, che lo abbraccia quasi tornando su se stesso. Non contenta, Gyenna conficca pali nellâacqua, vi getta sopra pontili e passerelle, su cui poi costruisce stravaganti architetture lignee, che a loro volta cedono il posto a barconi, chiatte, semplici zattere, spesso indissolubilmente unite ai pontili, altre volte ormeggiate come se immaginassero ancora di poter salpare.
Su una di queste prendemmo alloggio.
â Costa meno â spiegò Baran.
La Gyenna acquatica è costruita in legno di ibix. Questo legno, mi informò Baran, ha la proprietà di indurire nellâacqua di mare, assumendo al contempo un colore quasi nero, che alla luce della luna diventa argenteo. Gli spioventi dei tetti sono adorni di draghi intagliati e altri animali fantastici, che hanno lo scopo di tenere lontani gli spiriti maligni.
Lasciammo il carro in un deposito, una cavernosa struttura per metà sulla terra e metà sul mare, che odorava di spezie, pesce affumicato e altre cose che non riconobbi. Baran pagò un ometto dalla carnagione giallastra, seduto in una specie di gabbia sospesa al soffitto, da cui poteva dominare tutto il deposito, o almeno quanto si scorgeva di esso alla luce delle lampade ad olio disposte apparentemente a caso. Il guardiano prese i soldi e restituì la ricevuta mediante un cestino calato con una corda.
Percorremmo pontili e passerelle scricchiolanti. Io mi tenevo in mezzo al gruppo, perché non câerano balaustre e non sapevo nuotare. Era peggio che camminare sui tetti di Morraine, per me.
Lanterne di vari colori punteggiavano lâintrico dei moli. Porte di locande rovesciavano nella notte luci giallastre e suoni di strumenti. Lâaria era gonfia di odori: pesce marcio, frittura, incensi. E la salsedine del mare
Nella notte, si aggiravano marinai e prostitute, viaggiatori e mercanti. Indossavano vestiti dalle fogge più strane, parlavano lingue sconosciute.
Il nostro alloggio si chiamava Sirena australe, e costei era rappresentata piuttosto rozzamente con i seni nudi su unâinsegna di legno.
Baran, che era conosciuto allâoste, ordinò una cena di pesce per tutti. Il padrone lo invitò in cucina a scegliere. Li seguii. In una grande cesta posata per terra câerano gli animali più strani che avessi mai visto in vita mia. Alcuni muovevano ancora le branchie, altri le chele; uno di questi venne afferrato e sventrato dal cuoco; altri, più piccoli, tuffati nellâolio bollente. Baran e lâoste discussero del pesce, della cottura, delle salse. Io osservavo le antenne di una creatura grigia, striata di rosso, e pensai: ecco come doveva essere la Tarma Lunare.
Non avevo mai mangiato pesce di mare, ma il vino, che era fresco, e amarognolo, mi aiutò a comprendere i nuovi sapori.
Dovetti berne un poâ troppo, perché al momento di andare a letto cercai di abbracciare furtivamente Myrtilla, che mi respinse ridendo.
La mattina seguente Lektos Ly ci diede il suo addio. Aveva certi amici, a Gyenna. Lâavrebbero fatto partire, insieme a Blanche. Per dove? Oltremare. Non poté o non volle essere più preciso.
Ma prima di lasciarci, consegnò a Baran una lettera con il suo sigillo. â In cambio dei favori che mi avete fatto â disse. â à una lettera di presentazione per il Proto-Archivista di Bejzart XII, Arconte di Argyria.
âCome forse saprete, fra sei mesi inizieranno i festeggiamenti per i duemila anni della fondazione dellâArchìa. Il Proto-Archivista, di nome Gyon Balasco, è un mio... amico. Mi deve dei favori, di cui confido non si sia scordato.â
Un silenzio particolare aveva accolto questa dichiarazione. Dire che restammo con il fiato sospeso è poco. Avessimo potuto sospendere il battito del cuore, lâavremmo fatto.
Per parte mia (qui parla il vostro scrivano e notista) potevo ben crederlo. Poiché anche qui nellâoasi, a migliaia di leghe e di dune, a centinaia di fiumi e di foreste, a decine di montagne e di laghi, e a qualche mare di distanza da Morraine e Larissa e Gyenna, e da tutti i luoghi che il viaggiatore ci aveva nominato delle sue Terre di Mezzo (in mezzo a cosa, poi? Se câè qualcosa che è in mezzo, è questa oasi nel Grande Deserto), anche qui, dico, è noto il nome di Argyria. Anche se, devo aggiungere, la notizia del bi-millenario ci giugeva del tutto nuova. Del resto, il computo degli anni è quanto mai vario da nazione a nazione.
â Ma certo! â disse Baran, e per la prima volta da che lâavevo conosciuto parlò sotto voce. â Argyria! Ho sentito... tutti abbiamo sentito dei duemila anni di Argyria.
â Durante questo viaggio â riprese Lektos Ly â ho potuto apprezzare i vostri meriti... come persone e come artisti. La vastità del vostro repertorio, la molteplicità della vostra esperienza, la qualità della vostra recitazione vi pongono senzâaltro al pari delle migliori compagnie itineranti delle Terre. Sono certo che anche il sovrano di Argyria saprà apprezzare i vostri numerosi meriti, e confido che non sfigurerete in quella celebrazione...
â Ly... â Blanche gli sfiorò un braccio con un sorriso di rimprovero.
â Scusate â disse Ly. â Talvolta dimentico di non essere più... â Fece un gesto vago con la mano.
Baran si alzò e gli strinse la mano, con energia. â Non potremo mai ringraziarvi abbastanza! â Aveva ritrovato la sua voce.
Myrtilla lo baciò su una guancia.
Gertrid abbracciò Blanche. â Vedrai, tutto andrà bene! â le disse. Fui sorpreso di vedere due lacrime agli angoli dei suoi occhi.
â Fra sei mesi, ricordate! â disse Ly. Come se fosse possibile che lo scordassimo. â Ad Argyria.
Lektos Ly strinse la mano anche a me, Blanche mi baciò sulla guancia. Ci furono molte altre espressioni di saluto. Poi lâantico Tecnarca di Larissa e la sua compagna uscirono dalla Sirena Australe, e dalle nostre vite.
Quella sera, dopo aver rappresentato con discreto successo Il Mercante di Qom su una piazza della Vecchia Gyenna (quella di terra) né troppo grande né troppo piccola, e piena per metà , disteso su un letto della Sirena Australe, fra il confortevole russare di Baran e quello di Dumpy Dum, ripensai ad Argyria, terra di favole, di principesse e di cavalieri.
Non so qui da voi, nel deserto, ma nella terra di Mezzo non esiste un computo comune degli anni. Molte città , fra queste anche Morraine, prendono come punto di partenza la loro fondazione, reale o leggendaria che sia.
Alcuni regni o principati si affidano a calcoli dinastici. Le repubbliche preferiscono qualche avvenimento decisivo della loro storia. Molte religioni contano gli anni a partire alla nascita di qualche profeta. Fra certi popoli delle montagne è ancora in uso una numerazione che parte da un dio incarnato della Prima Era; la quantità stravagante degli anni così accumulati è per loro argomento di venerazione, per tutti gli altri testimonianza di inattendibilità . Sullâisola di Kyos, gli indovini il primo giorno dellâanno (che naturalmente non è lo stesso primo giorno di altre isole, o città , o nazioni) traggono gli auspici e assegnano a quellâanno un nome particolare. Il sistema è senza dubbio poco pratico, ma per parte mia ho sempre pensato che sia preferibile nascere secondo un nome che secondo un numero.
Per parte sua, il vostro umile copista può aggiungere che qui, nellâoasi, per trovare il luogo che occupiamo lungo il fiume del tempo, noi consideriamo il corso delle stelle e il loro lentissimo declinare.
Ebbene, fra tutti questi calendari, quando ci si deve accordare fra città , principati, confederazioni e repubbliche per trovare una data di riferimento comune, quello di Argyria viene preferito in quanto il più antico e venerabile.
Ma a parte tutto questo, i miei pensieri ruotavano come pianeti attorno ad unâaltra stella (se è vero, come sostengono alcuni astronomi, che sono i pianeti a ruotare attorno alle stelle): questa stella era Lia.
Poiché, se alla festa per i duemila anni di Argyria erano davvero invitati (e chi poteva dubitarne?) i più celebri artisti delle Terre di Mezzo, senza dubbio fra questi non sarebbe mancato Lelius Abramus, con i suo carro pieno di giocolieri, saltimbanchi, pagliacci, eccetera, con i suoi burattini. E Lia.