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(23) GRENDEL

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Incollato l’ultimo manifesto, Dumpy Dum mi diede una gomitata e con una strizzatina d’occhio e un cenno del capo indicò un’osteria. – Gost può aspettare un po’ – disse.

Ci sedemmo ad un tavolo vuoto. Gli avventori non erano molti, ma l’oste se la prendeva comoda. Forse perché eravamo un nano e un ragazzo, forse perché eravamo stranieri.

Dumpy Dum chiese d’improvviso: – Perché ti interessa Lelius Abramus?

– Oh... Quando ero a... in un posto, ho visto Teseius e Phenissa, rappresentata dalla sua compagnia. Era molto bella.

Dumpy Dum mormorò: – Sì, un’ottima compagnia. Chi erano gli attori?

– Non ricordo i nomi di tutti. Ma Phenissa era interpretata da una certa Lia, mi pare...

Dumpy Dum non disse nulla.

– Poi c’erano delle specie di burattini.

– Ah! Questo è un segreto di Lelius. Nessuno sa come li faccia muovere... Vino di Lark e prosciutto di cinghiale. – Questo all’oste, che era finalmente arrivato.

Quando tornammo al Foro delle Capre, il sole era quasi tramontato ed io leggermente ubriaco. Myrtilla stava danzando sul palco, accompagnata da Gertrid ed Astrix, rispettivamente all’arciliuto e al flauto. Baran, dietro le quinte, aveva già indossato il costume da tiranno. Ci accolse come se volesse farci tagliare la testa.

– Perché un simile ritardo? È inammissibile! Dumpy Dum, un’altra come questa e verrai cacciato! Preparati subito per il tuo numero! Arquin, la puntualità è essenziale nella nostra professione! Riempi d’olio quelle lampade, prendi dal baule il costume di Astrix, quello nero, c’è una manica da cucire, alza il fondale con la scena di palazzo.

Corse ad osservare il pubblico da dietro le quinte. A mia volta sbirciai da sopra le sue spalle. Si erano raccolte forse cento persone. Gli uomini osservavano con molto interesse Myrtilla, che indossava un’ampia veste color smeraldo, con lunghi spacchi. A mo' di introduzione intonò una canzoncina che diceva:

Ecco arrivano i pupazzi,

un due tre, via!

con i musici e i pagliacci.

Tutti bravi in fede mia,

nonostante i loro stracci.

Hanno grande fantasia,

dategli un soldo per cortesia!

Dumpy Dum mi tirò per la giacca. Mi strizzò un occhio e indicò con un cenno del capo le lampade e la fiasca dell’olio. Mi misi al lavoro.

Si sentirono degli applausi. Myrtilla aveva terminato il suo numero, e Dumpy Dum salì sul palco. La musica si fece più veloce, accompagnata da tamburi. Baran era sparito, e doveva essere lui a suonarli.

Myrtilla, arrossata ed ansimante, mi sorrise e mi diede un buffetto sulla guancia. Poi si infilò dietro un paravento per cambiarsi. Sbirciai dentro e arrossi, poi mi allontanai prima che potesse vedermi.

Dal palcoscenico provenivano tonfi frequenti: Dumpy Dum che eseguiva le sue capriole. Ogni tanto delle risa e qualche applauso.

Il nano tornò dietro le quinte con un salto mortale rovesciato. Si sedette su una cassa per riprendere fiato, ma Gost non gliene lasciò il tempo.

– Presto! La musica! – Gli porse uno strumento a fiato che non avevo mai visto, con una specie di mantice di pelle e dei tubi forniti di buchi, mentre lui stesso imbracciava un olifante e Astrix una bombarda.

Attaccarono una melodia vivace e allegra, ma il cui impeto si smorzava proprio nei momenti culminanti, come per una segreta incertezza del futuro.

Myrtilla sbucò dal paravento, allacciandosi l’abito da principessa. Si fermò dietro alle quinte, tirò un profondo respiro, poi uscì sul palco.

Sentii applaudire. Scostai un lembo del fondale. Con la coda dell’occhio vidi Gost Baran che mi guardava torvo, ma era troppo occupato a soffiare nel suo strumento per richiamarmi, ed io feci finta di niente.

Myrtilla attaccò il suo monologo. Alla luce delle lampade i vetri colorati dei suoi gingilli scintillavano come gioielli veri, e il trucco che si era data sulle guance pareva trasformarla in qualche creatura non terrestre.

Parlò delle sue speranze d’amore, di sposa promessa ad un principe straniero, famoso per prodezza e cortesia. Senza averlo mai visto prima, ella già cominciava ad amarlo.

La recitazione mi lasciò un po’ deluso. Forse perché la paragonavo, inevitabilmente, a Lia? La voce, pensai, la voce è ciò che più conta in un attore. La voce di Myrtilla non era abbastanza... da principessa. Da principessa appena adolescente e quasi sposa. La dizione era un po’ troppo veloce, talvolta leggermente stridula. Forse pretendevo troppo. E forse, ponendomi dalla parte del pubblico, avrei ricevuto un’impressione diversa.

Un brusco strattone pose fine alle mie riflessioni teatrali. Un viso tremendo mi minacciò: occhi di brace, sopracciglia nere come carbone e gigantesche, una bocca crudele.

Era Gost Baran, nel suo costume e trucco da tiranno, che con una mano dai lunghi artigli mi indicava certi tamburi e gong che dovevo battere al suo ingresso in scena. Avevo scordato le mie istruzioni. Astrix e Dumpy Dum soffiarono dentro le loro trombe. Gertrid era ancora dietro la sua tenda, ad abbigliarsi.

Pestai sui miei strumenti con convinzione sufficiente a favorire un maestoso ingresso per Grendel, che si guadagnò una buona accoglienza dalla platea. Visto che adesso Gost era sul palco, tornai senza timori al mio posto di osservazione.

Dovetti ammettere, con qualche riluttanza, che la recitazione di Gost era di un livello superiore a quella di Myrtilla. Forse un poco caricata, ma suppongo fosse quanto si aspettava il pubblico di Larissa.

Mentre il duetto proseguiva, mi resi conto di una particolare che aumentò il mio rispetto per l’attore: insensibilmente, il tiranno non era più tiranno. Padre affettuoso, ancorché severo. Monarca inflessibile, ma giusto. Guerriero coraggioso, seppure spietato. Tutto questo espresso mediante l’inflessione della voce, la scelta delle parole, la mimica: minime alterazioni rispetto al canovaccio corrente, ma sufficienti.

Gli sforzi di Baran non furono spesi invano. Gli applausi scattavano nei momenti giusti. Anche se, come potei constatare dopo essere scivolato giù dal carro-palcoscenico per poter meglio osservare il pubblico, l’iniziativa veniva sempre presa da un gruppetto di spettatori in prima fila: personaggi dall’aspetto dignitoso, vestiti riccamente, e seduti su seggi che dovevano essersi fatti portare appositamente dai servi, perché di sicuro non erano saltati fuori dal nostro carro.

Il primo atto si concluse felicemente, come testimoniarono anche le facce distese degli attori. Gost Baran arrivò a sorridermi e a darmi un colpetto di approvazione sulla spalla.

Il secondo atto si apriva nel castello del re Karmak di Freija, interpretato da un Astrix Palemon cui la magrezza conferiva una subdola malignità.

Ma, sorpresa! Al suo apparire, dal fondo della piazza, vicino all’imboccatura di un vicolo, si udì uno scroscio di applausi. Costernazione fra il pubblico, soprattutto della prima fila. I dignitari si voltarono corrucciati. Uno di loro, dotato di una pesante catena d’argento intorno al collo, si alzò in fretta e furia e si allontanò.

Io mi arrampicai sulla sponda del carro per vedere meglio. Il dignitario che si era alzato faceva grandi gesti, mentre gli applausi continuavano. La zona da cui provenivano era scarsamente illuminata, ma il gruppetto non poteva comprendere più di una dozzina di persone. Da qualche parte, forse richiamate dal gesticolare dell’uomo con la catena d’argento, giunsero delle guardie, che accorsero con un tintinnio di armi verso il vicolo buio. Prima che potessero agguantarli, i dissidenti si erano dati alla fuga. Evidentemente il piano era stato preparato con cura.

Per tutta la durata dell’incidente, Astrix non perse una battuta, né tradì esitazione alcuna.

Il dignitario con la catena tornò verso la fine dell’atto, con un’espressione scornata. Anch’io tornai al mio posto, e trovai un Gost Baran con un’aria molto meno soddisfatta di prima, benché gli applausi a Grendel, forse per fare dimenticare quelli tributati a Karmak, fossero stati abbondanti e insistenti.

Sentii il nostro capocomico consigliare agli altri di tagliare certe scene.

L’atmosfera di tensione si allentò solo alla fine, quando Myrtilla (cioè Ergrid) morì. Forse per caso, o forse per calcolo, nel lasciarsi cadere la veste le si aprì lungo un fianco, e la fanciulla rimasse stesa sul palco con le gambe scoperte. Questa volta gli applausi mi parvero spontanei. Del resto il monologo finale era stato recitato in maniera quasi perfetta, con la giusta dose di strazio e rassegnazione, quantunque mancasse delle espressioni di perdono per l’ex-sposo, e di ogni accenno ad un amore non ancora spento, come nell'originale (ma quale poteva dirsi l'originale?).

Calai il sipario. Mentre gli attori si apprestavano a ringraziare il pubblico, io uscii con un piattino per intercettare quelli che cercavano di svignarsela in anticipo. Non avevo modo di fare paragoni, ma non mi parve che le offerte fossero particolarmente generose.

Intravidi Gost Baran che parlava con i notabili, e Dumpy Dum che a sua volta raccoglieva l’obolo.

Quando tornai, Gost neppure guardò il denaro. Lo infilò in una borsa e disse: – Partiamo.

Gli altri si stavano già togliendo i costumi.

Mi toccò andare a prendere i cavalli, che erano stati messi in una stalla non lontana.

Quando tornai il carro era già stato caricato, in qualche maniera.

Aggiogammo i cavalli e partimmo. Le strade erano deserte e buie. Una lanterna accanto alla cassetta e una luna incerta ci aiutarono a ritrovare la strada. Due volte incontrammo una ronda. Baran mostrò loro una carta, che le guardie fecero finta di esaminare: forse non sapevano leggere, ma riconobbero il sigillo.

Raggiungemmo la porta opposta a quella da cui eravamo entrati. L’ufficiale di servizio lesse con attenzione, volle ispezionare il carro, ma rinunziò ben presto ad addentrarsi nella massa disordinata degli attrezzi di scena. Io osservavo tutto con un’ansia che non sapevo spiegarmi, se non che la respiravo nell’aria.

Due guardie sollevarono la sbarra, che era di rovere largo un palmo. La porta si aprì lamentosamente. Uscimmo.

Solo quando la porta si fu richiusa alle nostre spalle, mi sentii di chiedere: – Perché tanta fretta? – (ma pur sempre con un sussurro) a Dumpy Dum, che camminava vicino a me.

Poi Baran, che sedeva a cassetta, sferzò i cavalli e noi tutti che seguivamo a piedi, perché a causa del disordine non c’era posto sul carro, fummo costretti ad affrettare il passo fin quasi a correre, e la mia risposta dovette attendere.

Per la seconda volta lasciavo una città di notte.

Lia

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