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(27) LA LEZIONE DI BARAN

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È possibile che queste riflessioni, o altre analoghe, si fossero presentate anche a Baran. Perché quella sera stessa, dopo avere abbondantemente bevuto, e forse anche per distrarre Ly e la sua compagna da pensieri più tristi, ci intrattenne con alcuni ammaestramenti sul teatro e sulla vita.

Non rammento esattamente come ci arrivò, ma ecco il succo della sua lezione, che, benché opinabile non mi pare del tutto priva di interesse.

Se volete che il pubblico pianga (iniziò Baran), è necessario innanzi tutto che gli attori piangano, e prima di loro chi ha trovato la vicenda. Vi chiederete perché abbia usato la parola “trovato” e non “inventato”. È presto detto: creare storie in realtà è come pescare nel fiume immenso dell’esistenza umana. Poeta è chi sa scegliere l’esca migliore, e il punto esatto della corrente.

Ma cosa pesca il poeta? Parole! Nient’altro che parole!

Questo disse Baran, e lo ripeté il naufrago venuto dal deserto, e se ben ricordate non è molto diverso da ciò che ho detto io, il vostro umile scrivano, all’inizio di questa mia relazione.

Cosa ci mette di suo, allora, il poeta? L’ordine. L’ordine è tutto. Ciò che viene prima e ciò che viene dopo. Il fiume della vita scorre confuso e torbido. Il poeta lo rende limpido, come un torrente di montagna in cui potete contare i sassi del fondo.

Ma l’attore può aggiungere qualcosa alle parole del poeta. Qualcosa di unico e irripetibile. Cosa? So già quello che state pensando: il tono della voce, l’espressione del viso, l’incedere e il gesto. Tutto vero. Ma ciò che più conta, ciò che veramente conta, è altro.

Qui fece una pausa d’effetto.

Il silenzio. Il silenzio fra una parola e l’altra. Ossia, tutto ciò che non può essere scritto. Poiché, dovete sapere, la grandezza si ottiene aggiungendo, ma la perfezione togliendo.

Ma vediamo meglio cosa è quest’ordine di cui parlavo. Un’antica massima dice: simile alla pittura è la poesia, ed io per primo non ho ragione di contestarla. Tutti voi sapete quanta cura dedichi ai costumi di scena e ai fondali, e guai se le lampade non distribuiscono nella maniera più efficace luci ed ombre (qui ammiccò nella mia direzione). Vi chiederete cosa c’entra questo con la poesia propriamente detta, ma era solo per darvi l’idea.

(Se Baran non era molto coerente, dovete ricordare che aveva bevuto un po’. Un po’ più di quanto fosse solito, cioè.)

Ma il silenzio? Ecco, questo la pittura non lo sa riprodurre. Allora, dico io, perché non prendere esempio anche dalla musica? Qualcuno oserebbe negare che la poesia è anche simile alla musica?

Nessuno di noi osò negarlo.

Ma passiamo a quelli che sono i dettami più propri della nostra arte.

Se vogliamo che gli spettatori rimangano fino alla fine della recita, e ricompensino generosamente i nostri sforzi, con applausi, e meglio ancora con monete sonanti, prima cura dell’attore deve essere la ricerca del verosimile. E questa si ottiene osservando i costumi degli uomini, mutevoli a seconda degli anni e delle indoli: quelli del fanciullo che ha appena appreso a parlare e nel giro di pochi momenti passa dal riso al pianto; quelli del giovane ancora imberbe che appena libero dalla sorveglianza dei genitori o del tutore, cerca i piaceri della sfida o dell’amore, pronto ad abbandonare oggi ciò che ieri piaceva. Il fiore dell’età e delle forze virili ricerca onori e ricchezze, amicizie e potere: brame dubbiose, che agitano la vita e lasciano insoddisfatti anche chi le ha raggiunte. Da vecchio infine, assediato da molti affanni, ecco che è timoroso di perdere ciò che ha acquistato, ricorda con nostalgia la sua passata gioventù e condanna i giovani del suo tempo.

Osservare, osservare: questo è il primo impegno dell’attore. Al mercato la servetta che compra verdure, sulla piazza l’incedere di un signorotto, all’osteria i discorsi di un ubriaco, sulla strada un viaggiatore incontrato per caso (qui lanciò un’occhiata a Lektos Ly): tutto questo può suggerirvi come muovere una mano o alzare un sopracciglio nella recita successiva.

I particolari: ecco il segreto dell’artista. In null’altro si distingue il grande attore, o il grande poeta, musicista, pittore, dal mediocre mestierante. Nei particolari si nasconde la divinità.

Soddisfatto di quest’ultima massima, Baran si versò un’abbondante dose di vino e bevve con gusto.

Molti, riprese, si sono chiesti se l’arte del poeta risieda nella dote di un ingegno naturale, oppure nell’attenta cura della propria educazione. A questa domanda, amici miei, vi è una risposta semplice e inutile: in entrambe. E una seconda risposta, complicata e altrettanto inutile: nella giusta misura delle due. La complicazione risiede nel fatto che ciascuno può calcolare a suo modo la giusta misura.

Io seguivo con grande attenzione il discorso di Baran. Approfittai di una pausa per guardarmi intorno. Dumpy Dum, in un angolo, dormiva. Myrtilla cuciva qualcosa. Gertrid pareva immersa in pensieri suoi. Astrix era sparito. Blanche, appoggiata sulla spalla di Lektos Ly, teneva gli occhi chiusi. Soltanto l’ex monarca di Larissa dimostrava la mia stessa attenzione.

– Le vostre parole dimostrano competenza, acume e, cosa più rara di tutte, buon senso – disse l’uomo biondo.

Baran chinò la testa, in segno di modesto assenso.

– Ma vogliate concedermi la grazia di un’ulteriore spiegazione. In che senso avete affermato che le risposte da voi citate sono inutili? Quelle, voglio dire, che riguardano la misura esatta di ingegno ed arte in quel composto ineffabile che è la poesia?

Baran sorrise, come se si fosse atteso la domanda.

– Ineffabile, avete detto bene! E qui è già la vostra risposta. Ma procediamo con ordine. Innanzi tutto, ciascuno dovrà riconoscere che lo studio di norme e dottrine, da solo, non ha mai aiutato alcun poeta a diventare tale: altrimenti accanto alle tante scuole, accademie, collegi, atenei che vantano le nostre nobili terre, ne avremmo anche una, o molte, sospetto, che laurea poeti. Il che non avviene. Al massimo, laureano pedanti commentatori di poeti.

“D’altra parte, si è mai visto un qualsivoglia ingegno illetterato produrre opere degne di memoria? Senza l'attenta e quotidiana familiarità con le opere dei grandi Autori passati? Anche in questo caso la risposta non può che essere negativa, e noi sorridiamo giustamente dei banali e ingenui tentativi di giovani che credono basti essere, o immaginarsi, innamorati per scrivere poesie.

“Dunque, se nessuna delle due qualità da sola consente di raggiungere la vetta, o anche le pendici, di questa ardua montagna che assicura un ricordo più perenne del bronzo, e una terza via non è mai stata suggerita, non ci resta che concludere che la misteriosa essenza di cui andiamo in cerca nasca da una qualche commistione delle due. E fin qui siamo nell’ambito del semplice.

“Il difficile, e l’inutile, arrivano ora. Io vi chiedo – (qui Baran si alzò, per dare maggior enfasi alle sue dichiarazioni. Devo dire che la sua mole oscillava leggermente, ma forse era l’effetto dell’unica candela.) – Forse che qualche poeta, o un adepto in qualsivoglia delle Sette Arti Maggiori, ha mai calcolato prima di accingersi a comporre la proporzione fra ispirazione e istruzione, fra sogno e ragione, fra ciò che gli dicono le sue viscere e ciò che gli consiglia il suo cervello? Nossignore! Si mettesse a calcolare queste cose, non scriverebbe mai un rigo!

Soddisfatto delle sue conclusioni, Baran si permise un piccolo rutto, soffocandolo per rispetto a madama Blanche.

– Ma una volta completata l’opera, essa diventa oggetto pubblico – osservò il falso tiranno.

Baran aggrottò la fronte.

– Voglio dire, diventa oggetto di lettura. Cioè di un esame, più o meno approfondito. In cui non è illegittimo distinguere proporzioni e componenti. Come un esperto di vini sa distinguere l’annata, la qualità, la provenienza, la mescolanza eventuale. – Non so se ci fosse una qualche ironia in questa similitudine, del resto non del tutto appropriata, di Ly.

Baran forse preferì non cogliere l’ironia, ma non si lasciò sfuggire l’inconsistenza dell’argomento.

– Verissimo! Se, come nel caso degli esperti di vini, fosse acquisita la concordanza, e verificabile l’esattezza delle diagnosi. Ma vi è mai capitato di trovare due di questi vostri lettori esperti che vadano d’accordo fra loro? O che vi abbiano mai fornito una riprova delle loro affermazioni?

A questo, Lektos Ly non ebbe nulla da ribattere.

– Tuttavia, riflettere sulle proprie creazioni è prerogativa di questo essere razionale che chiamiamo uomo, e ciò che lo differenzia dagli animali.

Ci crediate o no, questa obiezione fui io ad avanzarla.

Baran mi guardò con accigliato stupore. Poi sorrise.

– Il nostro Arquin è un ragazzo sveglio. Del resto già me n’ero accorto. Lo sapete che conosce ben nove stili di scrittura? Ha studiato.

– E dove, posso chiedere? – volle sapere Lektos Ly.

Questo, con mio grande imbarazzo, mi aveva portato al centro dell’attenzione.

– Qua e là... – farfugliai.

– Arquin legge molto – disse Myrtilla.

– La strada e i libri sono la scuola migliore che esista – sentenziò Baran.

Lusingato da questi complimenti, non insistetti per ottenere una risposta alla mia domanda. Blanche, del resto, dava evidenti segni di stanchezza.

Così, dopo che Baran si fu versato ciò che restava nel boccale, ci disponemmo a dormire.

Lia

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