Читать книгу Lia - Delio Zinoni - Страница 25

(19) IL CARRO

Оглавление

L’addio alla propria terra è un evento straziante per chi se ne va e per chi resta, ma imbarazzante per chi se lo sente raccontare. Perciò vi risparmierò questa parte della mia storia, ci disse lo straniero venuto dal mare di sabbia guardandosi le mani.

Chiesi la lampada e l’olio a mia madre, aggiunse quasi bruscamente. Succede, a Morraine. L’aveva fatto poco tempo prima anche Lucibello. L’unica differenza, nel mio caso, era che non potevo dire la vera ragione per cui me ne andavo. Che poi la chiedessi da un giorno all'altro era inusuale, ma non inaudito. I Portatori della Lampada sono per loro natura imprevedibili.

I Portatori della Lampada, per tradizione, lasciano Morraine nell’ultima ora della notte, in maniera che l’alba li colga sulle pendici dell’Yril, se sono diretti verso le montagne, o nella pianura di Meizin, se la loro destinazione è il mare, o in qualche altra località se seguono strade meno battute, ma da cui comunque la città non è più visibile. E proprio a quell’ora, possono ascoltare per l’ultima volta la campana della Torre dell’Orologio, che batte sei rintocchi.

Questo vuole la tradizione. Quanto a me, forse per via del cigolio del carro, o perché tenevo la testa sotto una coperta, non sentii la campana. La testa la tenevo sotto la coperta perché non volevo che qualcuno mi sentisse piangere. Mi accorsi però del giungere dell’alba perché ogni tanto tiravo fuori il naso per respirare.

Scostai un lembo del telone che copriva il carro. Una luce grigia aveva cancellato le stelle, senza rivelare i particolari della terra.

Tornai a sdraiarmi, appoggiando la testa sulla bisaccia di pelle che mi aveva dato mio padre per metterci le mie cose. Che erano molto poche: un cambio di abiti, della biancheria, le Tragiche Historie, i Fiori di bianco prato, i Canti di Pridery, la mappa dell’isola, alcuni fogli che avevo scribacchiato, naturalmente la lampada e l’olio. A malincuore avevo rinunciato alla maschera della falena lunare, perché troppo fragile. In una piccola borsa di pelle, attorno al collo, avevo alcune monete. E un’altra cosa.

Questa me l'aveva data Occhi di Gatto, prima di salutarmi.

Ero giunto nel Cortile della Cisterna da solo, come lei mi aveva ordinato. Avevo spinto la porta nella mura, e questa si era aperta. Dentro, buio profondo e un odore di terra umida, mescolato a quello di qualche essenza profumata. Il profumo di Occhi di Gatto. Poi la scintilla di un acciarino.

Nella luce fioca della lampada, le sue pupille erano quasi normali. Dei gradini di pietra scendevano alla mia sinistra, perdendosi nel buio. Lei indicò i gradini. – Vieni.

Il cunicolo era lungo non più di trecento passi. Prima di uscire la mia guida spense la lampada, e potei vedere la luce delle stelle, attraverso un’apertura irregolare.

Occhi di Gatto srotolò una corda e la legò ad un tronco che cresceva da una fessura della roccia.

– Questa volta non resterà a penzolare – disse, ed io sorrisi mio malgrado.

Un centinaio di braccia più sotto, quasi a strapiombo, si vedeva la striscia bianca della strada. Eravamo a metà della balza su cui sorgono le mura occidentali della città. A qualche distanza, sotto una macchia di alberi, si intravedeva appena una chiazza più chiara ancora della strada: il telone di un carro, e si poteva sentire un lieve sbuffare di cavalli, fra il frinire dei grilli. Sentii un fruscio, vicino a me, e Occhi di Gatto mi mise fra le mani qualcosa. Una borsa di pelle. Dentro, la forma delle monete.

– No... no, ho già dei soldi.

– Tieni anche questi, sciocco.

Poi mi slacciò la camicia e mi mise qualcosa attorno al collo.

– E anche questa. Attento a non perderla. – Era una sfera, liscia e molto pesante.

– Cos’è?

– Diciamo che è un amuleto.

Ancora pochi secondi e me ne sarei andato. C’era una cosa che non avevo ancora voluto chiedere.

– Potrò mai... tornare?

Le sue mani erano ancora sul mio petto.

– Molte cose sono possibili. Lo saprai.

– Come?

– Ho i mezzi per avvertirti, non temere. E poi... – Indovinai un sorriso, dalla sua voce. – Chissà, forse sarai tu a non voler più tornare.

Non capivo bene cosa volesse dire, perciò non replicai. Lei mi riallacciò la camicia.

– Se tornerò, ci rivedremo?

– Anche questo è possibile.

La sentii muoversi. Poi le sue labbra mi sfiorarono la guancia.

– Buon viaggio, Iko.

Mi misi la bisaccia a tracolla e mi calai lungo la corda.

Quando posai i piedi sulla strada un’ombra si staccò da un cespuglio. Una mano afferrò la mia. L’ombra mi arrivava appena alla vita: un bambino.

– Vieni – disse con voce da adulto.

I miei occhi si erano abituati alla luce delle stelle. Distinguevo il carro, due grossi cavalli, delle figure vicino.

– Eccolo! – disse una voce femminile, che associai ad una macchia chiara di capelli.

– Era ora! – Un grugnito profondo, proveniente da una figura corpulenta, avvolta in un mantello.

– Sbrighiamoci, dunque. – Un uomo, molto alto e magro, che saltò a cassetta. Quello corpulento lo seguì.

Il bambino mi condusse al retro del carro, e saltò su con sorprendente agilità. Qualcuno da dentro allungò una mano e mi aiutò a salire. La donna bionda mi seguì.

Dentro il buio era completo, ma in compenso c’erano molti odori: di stoffe polverose, di sudore, di cosmetici, di cibo. Il carro era coperto da un tendone, a differenza di quello di Lelius che come sapete era tutto di legno. – Mettiti qui. Puoi dormire. – Una seconda voce di donna. Non c’era materasso, ma degli strati di tela grezza, forse fondali di scena.

Qualcuno mi mise in mano una coperta e un cuscino. Venni urtato da vari corpi che si sistemavano per la notte.

– Come ti chiami? – La prima donna.

– Iko... cioè, Nykos.

Lei rise, non so per quale ragione.

– Quanti anni hai?

– Quindici.

– Lascialo stare. Avrà sonno. – La seconda donna.

– Buonanotte, allora!

In verità, fu la notte peggiore della mia vita.

Non avevo mai dormito su un carro. Non avevo mai dormito vicino a tanta gente. Non avevo mai dormito fuori da Morraine. E poi, come ho detto, mancava solo un’ora all’alba.

Accolsi la luce come una liberazione. Anzi, il giorno che nasceva, come spesso accade, risollevò il mio spirito. Avevo perso Morraine, ma il mondo intero si apriva davanti a me! Il mare era la nostra destinazione, le città della costa, i porti! Cominciai a fantasticare di navi e galeoni, che avevo visto solo sulle illustrazioni dei libri. Rimpiansi di non aver portato con me la Storia Universale dei Viaggi, che era troppo pesante e voluminosa. In compenso avevo la mappa: chissà, forse un giorno avrei trovato la mia isola misteriosa...

In quel momento il carro si arrestò. Sentii il cocchiere scendere, e sbirciai da sotto il tendone. Lo vidi allontanarsi di qualche passo, fermarsi sul bordo della strada, armeggiare con i pantaloni.

Questo mi fece venire in mente che avevo bisogno anch’io. Sgusciai fuori dalla coperta. I miei nuovi compagni di viaggio dormivano tutti: cumuli indistinti nella luce fioca.

Saltai a terra. L'aria della mattina era fredda e pulita, dopo quella stantia del carro. L’uomo alto e magro aveva finito, e si stava riallacciando.

– Buongiorno – disse. – Io sono Astrix Palemon. – Aveva un cappello a larghe falde, che si levò con un gesto ampio del braccio. – Guerriero, principe, innamorato, bandito, mago. – Compresi dopo un momento che erano i suoi ruoli.

– Io sono Iko. – Purtroppo, non avevo niente da aggiungere.

Astrix Palemon mi fissò da sotto le folte sopracciglia nere, lisciandosi i lunghi baffi. – Vedremo cosa fare di te – disse, e rimontò sul carro. Io montai dalla parte opposta, pensando a cosa dovevo fare di me.

Lia

Подняться наверх