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(15) OCCHI DI GATTO

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La Festa delle Maschere di Morraine non è priva di un suo lato oscuro. Essa, infatti, è anche il momento ideale in cui regolare conti in sospeso, rancori accumulati, vendette meditate. Per il resto, devo aggiungere, la nostra è una città molto tranquilla.

La Festa delle Maschere è la situazione ideale per l’assassino: nessuno può riconoscerlo, e far perdere le proprie tracce è facilissimo. D’altra parte, è anche la situazione ideale per la vittima, poiché può camuffarsi in maniere pressoché infinite. La maschera fornisce a tutti un alibi, e fa di tutti degli indiziati. Innumerevoli sono i trucchi a cui può ricorrere l’assassino per uccidere impunemente la sua vittima, e altrettanti quelli della vittima per sfuggirgli.

Tuttavia, in maniera del tutto incontrollabile, la maschera determina anche l’assassino e la sua vittima. La maschera è l’assassino e la sua vittima. Così come io ero la falena lunare, e Lucibello un ubo, e la mia compagna una sirena con due facce.

Ma poiché si è vittime ed assassini per infiniti e spesso futili motivi (anche se alcuni ascrivono a pochi e imperativi moventi l’impulso omicida, o addirittura a due soli: amore e denaro, nelle loro varie forme), non esiste una maschera da omicida ed una da vittima, ma esiste sempre qualcosa, per quanto indecifrabile, che le collega.

Rintracciare questi segni permette di introdurre un certa logica in indagini altrimenti disperate. A condizione di scoprire di quale logica si tratti.

La sirena disse: – Non dovrai dire nulla di me...

La sirena era seduta sul trono.

Io dissi, con assoluta ed immediata sincerità: – Non dirò nulla di te.

– ... se mai dovessero interrogarti – finì.

Il trono era quello, privo di una gamba, che si trovava nel deposito di attrezzi teatrali del Cortile Segreto. La maschera di madreperla appariva sospesa nel buio come una mezza luna. Al posto della gamba era stata messa una scatola di legno.

Non pensai neppure di chiederle il perché. Dissi, invece: – Sono già stato qui – prima di potermene pentire.

Nel silenzio che seguì, le scaglie di madreperla emisero un fruscio di gusci vuoti, mentre lei girava la testa.

– Quando? – Senza alcuna traccia di incredulità.

– Non dovrai dire nulla.

La sirena unì in un cerchio pollice ed indice della sinistra, se li appoggiò alla fronte, in segno solenne di giuramento.

– Non dirò nulla di te.

Mi feci più vicino, e lei chinò verso di me il viso di madreperla. Potevo sentire il suo alito.

– È stato quattro anni fa, quando Lelius ha dato il suo spettacolo...

– Ah!

Quando ebbi finito, lei disse: – È Lia, dunque, che ti ha stregato – con grande serietà. Alzò una mano e toccò gli occhi della falena. – Capisco, adesso...

– Cosa?

– La tua maschera.

– Perché?

– Non posso spiegare. E tu non mi hai detto tutto.

Come se n’era accorta?

– No... non voglio saperlo – aggiunse, vedendomi esitare.

Cambiai argomento. Quello che non le avevo racconto era di aver visto l’adepto e Lelius dalla finestrella, e la donna bionda. – Tu abiti qui?

Un movimento della macchia bianca. Sì.

– Anche tu hai visto lo spettacolo di Lelius?

– Da un balcone. E ho visto tre ragazzi che si sono alzati disturbando gli spettatori. – Per la prima volta la sentii ridere. – Uno aveva ricevuto tre biglietti in regalo per essere stato investito dal carro di Lelius, molti anni fa.

– Tu hai parlato con lui. Forse anche con Lia...

Un doppio ondeggiare della testa. Sì. No.

– Lei parla solo sulla scena.

Alzai di scatto la testa. I miei peggiori sospetti di stregoneria trovavano conferma. – È Lelius che l’ha stregata!

– No. Non è così... semplice.

– Cosa, allora?

– Lelius dice che Lia è sua figlia.

Sua figlia. Chissà per quale ragione, non mi era mai venuto in mente.

– E tu credi che sia vero?

– Non so.

Sbuffai irritato, e, temo, con una certa petulanza.

– Non è semplice la natura degli uomini – disse la sirena, con un tono di bonario rimprovero. E aggiunse: – Questa è una delle prime cose che si apprendono nello studio dell’Arte.

Quale arte? Mi chiesi. Poi pensai: lei abita nel Cortile Segreto. L’Arte può essere una sola.

– Sei adepta?

– No. Apprendista.

– È un grado diverso?

– No. Una gerarchia diversa.

Compresi dal suo tono che non avrei ottenuto maggiori informazioni sull’argomento.

Mi prese la mano. – Vieni.

Come se vedesse nel buio, mi condusse fra quei relitti di favole, fino alla scala.

Anche questo non mi stupì troppo.

Questa volta, nessuna luce filtrava dalla finestrella.

Raggiungemmo la sommità della torre. In un angolo, era arrotolata una corda.

– Ci siamo chiesti a lungo chi l’avesse usata – commentò lei in tono quasi scherzoso.

– Temete per i vostri segreti? – chiesi.

– No. I nostro segreti sono... ben protetti.

La luna era un mezzo disco rossastro, tagliato come da un colpo di spada.

La sirena la indicò, e senza che le avessi chiesto niente disse: – Lia è lontana come lei.

Ebbi un brivido. La notte era fredda.

Per un attimo, provai il folle desiderio di scavalcare il parapetto e di volare verso la luna. Era la falena in me.

– Vuoi dire che è irraggiungibile? – Pensai di aver sussurrato la domanda a voce troppo bassa, perché la sirena non rispose. Ma dopo il tempo di tre sospiri, disse: – Dicono che un tempo gli uomini potessero volare sulla Luna.

Attesi, ma non mi spiegò altro. Pensai: io sono una falena lunare, ma non lo dissi.

– Dove si trova adesso?

– Con Lelius... in questa stagione girano le città della costa, credo.

Era la stessa risposta che mi aveva dato Lyian, il venditore di costumi.

Eravamo appoggiati alla balaustra, molto vicini. Le presi la mano.

– Ci rivedremo? – chiesi.

– Chissà... Forse la prossima Festa delle Maschere.

Un tempo enorme, a quell’età!

Non sapevo cosa fare. Era la prima volta che mi trovavo solo con una ragazza.

Ancora una volta, lei mi prevenne.

– L’Arte richiede dei sacrifici a chi intraprende la sua via. – Lo disse con una certa malinconia, ma anche con molta convinzione. Fino ad allora mi era sembrata più matura di quanto fossi io. Ma in quel momento mi parve straordinariamente giovane, e insieme straordinariamente vecchia.

Si voltò e attraverso le fessure delle maschere i nostri occhi si incontrarono. O almeno così mi sembrò.

– Come ti chiami? – mi chiese.

– Iko... Nykos, per intero – Scambiarsi il nome, durante la Festa delle Maschere, è un pegno solenne, di massima intimità. – E tu?

– Puoi chiamarmi... Occhi di Gatto.

– Posso vederti?

La sirena sollevò una mano e mi sfiorò gli occhi di pietruzze smeraldo. Mi tolsi la maschera. Lei si portò le mani ai lati della testa. Non so perché, in quel momento chiusi gli occhi. Sentii il frusciare delle scaglie di madreperla.

Aprii gli occhi. La luce rossastra della luna illuminava il viso della sirena, che aveva il mento appuntito e gli zigomi alti, i capelli molto corti e biondi. Gli occhi lucevano cerulei.

Le pupille erano dilatate, ma oblunghe, come quelle di un gatto.

Lia

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