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(12) LA FALENA LUNARE

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Esitando, le giornate si fecero più lunghe. Qualche volta dalla pianura dell’Araq, il fiume che scorre parecchie leghe a occidente di Morraine, giungeva un vento che sibilava fra le fessure delle finestre, ma portava il profumo appena percettibile, e forse solo immaginato, della primavera.

– Quale maschera indosserai? – mi chiese Jues un pomeriggio, mentre sedevamo tutti e tre nella nostra soffitta, ascoltando il vento che si insinuava nelle feritoie per i colombi, insieme ai raggi obliqui di un sole arancione. La domanda era particolarmente seria. Quell'anno, per la prima volta, noi tre avremmo indossato le nostre vere maschere.

E io dissi: – Una falena lunare.

– Tutte le falene sono lunari – disse Lucibello. – Escono di notte.

– Una falena lunare è una falena che vive sulla Luna – precisai io.

– E come sarebbe fatta? – chiese Jues.

Qui ebbi qualche esitazione. – Non lo so bene, ancora.

– E come farai a saperlo? Andrai sulla Luna? – mi prese in giro Lucibello.

Non mi degnai di rispondere.

– Ma cosa significa? – chiese Jues.

Questa era la domanda più difficile.

Dovete sapere che a Morraine nel Mese-delle-Maschere si celebra la Festa delle Maschere.

In quasi tutti i paesi che ho conosciuto esiste una festa di questo tipo; alcuni sostengono che sia la più antica del mondo, poiché per quanto lontano si risalga nel tempo conosciuto, gli uomini hanno sempre amato indossare una maschera. Una maschera, per sua natura, serve a nascondere il volto. Ma noi, a Morraine, riteniamo che una maschera debba essere più vera del volto che copre. Come uno specchio magico, che svela la verità.

Ma poiché la verità, soprattutto su noi stessi, è insopportabile se affrontata quotidianamente, essere saggi è lecito solo una volta all’anno.

Tale, benché bizzarra, è la Festa della Maschere di Morraine.

Ma ciò non le impedisce di apparire a un qualsiasi viaggiatore che la osservi (e molti giungono appositamente anche da città abbastanza lontane in questa occasione) non molto diversa dai normali carnevali.

Perché dunque questa immaginaria falena lunare si era impossessata di me?

In primo luogo perché era immaginaria, in secondo perché era lunare, in terzo perché era una falena. Questo fu quanto spiegai ai miei due amici, che com’è ovvio non rimasero molto soddisfatti della risposta.

– Il fatto che sia immaginaria significa che stai inseguendo una chimera – suggerì Jues.

– Questo lo sapevamo anche prima – sbuffò Lucibello, prevedibilmente.

– Ma perché lunare?

– Perché è lunatico. Cioè matto!

– E la falena?

Lucibello batté le mani. – Perché vola solo di notte. Cioè nei sogni!

Io ero rimasto zitto.

Le spiegazioni dei miei due amici non erano prive di fondamento. Ma al contempo, non erano del tutto vere, o almeno così mi pareva. Quale fosse la verità, d’altra parte, sfuggiva anche a me.

Mi misi comunque al lavoro.

Alcuni si costruiscono le maschere interamente da soli. Pochi se le fanno fare su ordinazione da artigiani specializzati. Molti utilizzano quelle dell’anno prima, o quelle dei loro padri, o dei loro nonni, e così via per molte generazioni. Nessuno le affitta: la maschera, come ho detto, è un affare troppo personale. Si può mentire agli amici o ai parenti; non alla propria maschera.

Poi ci sono negozi che vendono una grande varietà di larve (come vengono chiamate): maschere molto semplici e stilizzate, che riproducono dei tipi fissi e tradizionali, di cui però ogni artigiano e ogni negoziante si vanta di possedere varianti uniche; queste sono a loro volta rielaborate ed arricchite da ciascun compratore, e vengono offerte ad ogni prezzo e in molti materiali: cartapesta, legno intagliato, strati di stoffa irrigidita da colle, gusci di madreperla cuciti, cuoio pressato, lamine di rame, d'oro perfino... eccetera. All’approssimarsi della Festa, lungo i portici di Morraine, file e file di larve guardano i passanti con orbite vuote.

Mancandomi l’abilità necessaria per fabbricare la mia maschera, i soldi per servirmi di un artigiano, e non avendo ereditato alcuna falena lunare, restava una sola alternativa.

Trovai dopo molte ricerche un corridoio che si dipartiva dal Cortile della Luna Piena (il nome mi parve propizio), abbastanza nascosto da avere prezzi più bassi di altri. La vetrina, nient’altro che una finestra in realtà, era interamente occupata dalle maschere: alcune di forma piuttosto insolita, e tutte accomunate da una qualità che non riuscii a definire subito; forse perché si tratta di un sentimento estraneo alla fanciullezza: la malinconia.

L’insegna di legno dipinto diceva:

Adropalus & Charios - Costumi teatrali

Uno dei due stava servendo un cliente, il secondo non era in vista, così ebbi modo di guardarmi intorno. Le maschere erano state disposte sopra la normale mercanzia del negozio, con effetti che apparivano, forse di proposito, grotteschi: c’era un guerriero con la faccia pallida di un fanciullo piangente, un astrologo con quella di un vecchio ubriaco; dall’abito della festa di una contadina spuntava una testa di insetto: ma era piuttosto uno scarafaggio che una falena.

– Che tipo di maschera cerchi?

– Ah... Qualcosa che assomigli a una falena...

Charios, o Adropalus, mi guardò attraverso due lenti rotonde, con la montatura d’oro.

– Le falene non vanno molto, quest’anno – disse, con tanta serietà che per un momento non capii se stesse scherzando o no.

– Deve solo assomigliare a una falena.

L’uomo sorrise. Aveva abbastanza rughe da sembrare anche lui una maschera, e il sorriso aveva l'effetto di ridefinire tutte le rughe del suo viso.

– Vediamo... – Accarezzò con le dita varie maschere appese, come se la loro natura gli si svelasse meglio al tatto che alla vista. Aveva dita lunghe e ossute, come il resto del suo corpo.

– Qui non c’è nessuna falena, temo... Ma vieni.

Una porticina, in fondo al negozio, era chiusa da una pesante tenda nera. Il vecchio dovette chinarsi per passare. Dietro la tenda c’era il suo laboratorio: un lungo bancone illuminato da qualche lampada appesa al soffitto, e da una finestrella che si apriva chissà dove. Sul bancone, una gran quantità di maschere in vari stadi di lavorazione; altre, appese ad asciugare, ci scrutavano come teste mozzate di fantasmi. Sulla parete opposta al bancone, file sovrapposte di costumi, appesi a delle grucce. Un garzone, che poteva avere un anno più di me, comprimeva strati di cartapesta ancora umida su forme di legno.

– Che dici, Beniz, abbiamo qualche falena? – Il ragazzo alzò gli occhi ma non disse niente. Evidentemente non ci si attendeva una risposta da lui.

Il padrone passò in rassegna le maschere sul soffitto. Poi prese una scala, e sparì quasi in mezzo ad esse, fra gli strati superiori già asciutti. Ne discese con una larva oblunga, grandi occhi sporgenti, la bocca simile ad un tozzo becco.

Me la porse.

– Questa è la Formica Saggia. – Le larve hanno tutte dei nomi tradizionali.

Presi la maschera, me la rigirai fra le mani. Poteva andar bene? La fissai negli occhi.

– Non costa molto. E ti posso dare questi...

L’uomo frugò in una scatola, sotto il bancone. Ritirò la mano e me la porse. Era piena di scintillanti pietruzze color smeraldo.

– Incollate sugli occhi fanno un grande effetto.

Ne presi una. Era di vetro, a facce irregolari. Alzai gli occhi. Anche il garzone mi stava guardando, come se la mia decisione rivestisse un qualche arcano significato. Del resto le maschere, a Morraine, sono una faccenda molto seria.

– Va bene.

Il proprietario versò le pietre in un pezzo di carta, lo ripiegò, appoggiò il pacchetto nel lato concavo della maschera.

Prima di uscire dal retrobottega mi fermai a guardare i costumi. Molti sembravano usati.

– Li affittiamo spesso – spiegò il negoziante, senza che gli avessi chiesto alcunché – alle compagnie di attori girovaghi. Ogni città ha dei personaggi favoriti, e non possono portarsi dietro tutti i costumi necessari.

Vidi degli alamari d’oro, e una giacca blu...

– Questo...?

– Guardia di corte.

Scostai i costumi vicini, per accertarmi.

Sì, era uguale.

– C’è anche più piccolo?

– Per te?

– No... Per una marionetta.

– Ah. – Il vecchio fece una pausa. Poi disse, a bassa voce: – Come quelle di Lelius?

Era la prima volta che sentivo qualcuno, a Morraine, pronunciare quel nome.

– Ho visto la sua rappresentazione, la primavera passata... – dissi.

Il vecchio parve sorpreso. Mi ricordai che non c’erano stati molti ragazzini, a parte noi tre, a quello spettacolo. Mi guardò comunque con maggiore rispetto. Forse immaginò che abitassi nel Cortile Segreto.

– Un teatrante di grande talento – disse.

– Non viene spesso a Morraine, vero?

– No. – Si sentì la campanella sulla porta del negozio. Il vecchio si mosse per uscire dal retrobottega.

Io lo seguii. – E dove...?

Le dita ossute scostarono la tenda nera. – Mah! Questi attori non sai mai dove siano. Ma Lelius, credo che preferisca le città della costa: Aspix, Brizern, Narina... Gyenna.

Lasciai che Adropalus (o Charios) servisse il suo cliente, tenendo fra le mani la mia maschera con l’involto di pietruzze smeraldo.

Il prezzo che mi fece fu molto contenuto.

Prima di andarmene dissi: – Grazie, signor...

– Lyian.

Alzai gli occhi, perplesso.

– Adropalus e Charios sono morti da un pezzo – mi spiegò Lyian.

Lia

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