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(8) L'ALCHIMISTA

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Quando uscii nel Cortile delle Rondini, cadevano fiocchi di neve, larghi e radi. La prima neve d’inverno.

Mi fermai un momento a guardane la neve che scivolava attraverso la luce delle finestre.

Il cortile era quasi deserto, a quell'ora e con la neve. Avrei potuto tornare a casa passando per i corridoi interni di Morraine, ma non mi andava di incontrare gente.

Dovevo fare in fretta, altrimenti rischiavo una punizione. Poi pensai: che importa? Tanto non avrò niente da fare domani...

Ma forse voi vi starete chiedendo cosa sia la neve. Vi rispondo: è una specie di pioggia soffice e bianca, come la lanugine di certe piante; si posa sulle cose e le ricopre, e più cade più si accumula, anche parecchie braccia in certi posti, e non se ne va finché il caldo non la scioglie...

Così presi a camminare, senza meta, da un cortile all’altro, ciascuno più bianco del precedente. I negozi e le botteghe stavano chiudendo. Le donne, avvolte negli scialli, correvano a fare gli ultimi acquisti per la cena. Alcuni bambini cominciavano a lanciarsi palle di neve, ma io non ero certo dell’umore adatto. E in ogni caso non ero più un bambino.

La sconfitta era tanto più cocente perché giungeva imprevista. Mi diedi mille volte dello stupido, ripensando a tutti gli errori commessi. Ma in quel momento, l’ultima cosa che mi sentivo di fare era riprovarci. Odiavo il teatro con tutte le mie forze.

Mi fermai sotto la neve che ormai cadeva fitta. Mi trovavo nel Cortile della Fenice. Come le mie speranze: bruciate. La rinascita?... Ebbi un brivido. Rischiavo di prendermi una malattia. Tanto meglio: avevo una gran voglia di essere compatito.

Mi infilai nell’androne che portava nel Cortile Dorato, e aveva sulla chiave di volta una mezzaluna con un uccello fra i due corni. Una sola luce tagliava a metà il lungo corridoio buio. Doveva essere la vetrina di un negozio, ma conoscevo poco quella zona di Morraine, che era piuttosto distante da casa mia.

Davanti alla vetrina pendeva un'insegna a malapena illuminata dalla luce della vetrina: decifrai a fatica una civetta che stringeva fra gli artigli un rotolo di carta o pergamena; una scritta che non riuscii a leggere. Sbirciai dentro. Una bottega di libraio, con un cliente di spalle, che esaminava qualcosa su un bancone, e il proprietario in cima ad una scaletta, che gli porgeva dei rotoli. Il cliente si voltò per dire qualcosa al proprietario. E lo riconobbi.

Era il giovane biondo, che avevo visto nella torre insieme a Lelius.

Non ricordo cosa pensai, né quanto tempo rimasi lì davanti alla vetrina. So che mi ritrovai dentro, fingendo di rovistare fra i libri. Il proprietario mi lanciò un’occhiata sospettosa. Il giovane biondo non mi degnò di uno sguardo.

Trovai uno scaffale di libri di seconda mano, non molto lontano dal bancone e dal giovane, che anche quella sera vestiva di nero. Non osavo guardarlo, sebbene di certo lui non mi potesse riconoscere, ma sbirciai sul banco. Era coperto di atlanti e di mappe.

– Ecco, questa è molto antica – disse il proprietario, porgendo un foglio ripiegato più volte al suo cliente. Il giovane alchimista lo aprì con cura. Sul bancone si spalancò un mare. Era tale l’illusione di profondità, che mi misi a fissarlo come incantato. In mezzo alla carta spuntava un’isola, verde smeraldo, ocra e madreperla; da un lato della mappa, coste frastagliate protendevano cinque dita di roccia che formavano una mano, e vene di fiumi versavano le loro acque nel mare. Sottili nervature grigie rivelavano la presenza di strade, e minuti rettangoli rossi quella delle case. Per attimo mi ricordai di quel pomeriggio in cui il carro mi aveva investito, e mi ero ritrovato sospeso in aria: sebbene da un’altezza minore, le cose mi erano apparse con la stessa nitida precisione della mappa.

Il giovane spianò il foglio con un gesto brusco della mano. E di colpo il mare, le terre, i fiumi, le strade, tornarono ad essere solo chiazze di colore, mescolate a parole in un alfabeto sconosciuto, che prima non avevo notato.

L’alchimista osservò a lungo la mappa, con le sopracciglia aggrottate. Il padrone sulla sua scala, io in basso con un libro in mano, attendevamo nel massimo silenzio. Infine il giovane scosse la testa. – No, non può essere – mormorò fra sé.

Il venditore di libri emise un sospiro deluso. Scese dalla scala. – Non ho altro – disse. Si voltò bruscamente dalla mia parte. – Tu cosa vuoi?

Io sollevai un libro che avevo in mano. – Quanto costa?

– Nove piastre. – Mi sembrò che avesse detto un prezzo a caso.

– Quando ne avrete altre? – chiese l’alchimista.

– Ah, voi mi chiedete troppo! – Il negoziante agitò le mani davanti a sé. Era un ometto grassoccio, la faccia rotonda e bianca su cui sembrava dipinta una barba nera e cortissima; indossava una sorta di caffettano color ruggine e un berretto con dei ricami in oro. – Queste sono cose rare, antiche... entrarne in possesso è concessione della sorte e frutto di pazienza.

– Bah! – Il cliente non pareva impressionato. – Comunque, non c’è niente che mi interessi. – E senza aggiungere altro, girò sui tacchi e uscì.

Io contai in fretta e furia nove monetine quadrate di rame, le misi in mano al libraio, che mi guardò con aria perplessa, e uscii a mia volta. Non sapevo nemmeno cosa avessi comprato.

Nell’androne buio, non c’era traccia del giovane vestito di nero. Non era possibile! Poi intravidi una macchia chiara che si muoveva alla mia sinistra. I suoi capelli! Corsi quanto più silenziosamente potevo.

Ormai tutti i negozi e le botteghe erano chiusi, le uniche luci venivano dalle finestre. I bambini avevano smesso di giocare a palle di neve, ed erano andati a casa a mangiare. Io e l’alchimista sembravamo le uniche creature rimaste ad aggirarsi nei cortili di Morraine.

Seguirlo sulla neve era facile, grazie alle impronte e al mantello nero. Ma quando prendeva per corridoi e androni, si confondeva con le ombre, ed io non osavo avvicinarmi troppo, per paura di essere scoperto.

Almeno tre volte temetti di perderlo. Ormai non sapevo più dov’ero: la neve fitta, il buio, l’affanno dell’inseguimento mi avevano completamente disorientato.

Entrammo infine in un cortile piccolissimo, in realtà poco più che un pozzo quadrato, che non conoscevo, e c’era da dubitare perfino che avesse un nome. Il vento, che soffiava attraverso l’androne, stretto come un cunicolo, aveva accumulato la neve da un lato del cortiletto. Intravidi per un attimo la forma nera dell’alchimista, dall’estremità del passaggio. Quando arrivai nel cortile, scoprii sulla neve le sue impronte; ma queste sparivano poco più in là, su un pezzo di acciottolato umido e quasi oleoso, sgombro di neve. Con orrore, mi accorsi che il cortile non possedeva una seconda uscita: questo era quasi inconcepibile per Morraine! E dell’alchimista biondo non era rimasta alcuna traccia. Mi ritrassi nel buio dell’androne, cercando di calmare l’affanno e i brividi. Ci misi un po’ a riprendere coraggio. Nessuna luce filtrava dalle finestre del cortile. A tentoni ne percorsi il perimetro, e mi ritrovai all’imboccatura dell’androne, senza aver scoperto alcuna porta.

Rimasi lì ancora un po’, in attesa non so di cosa. Poi tornai indietro, cercai di decifrare la figura sulla chiave di volta all'ingresso dell'androne, ma era troppo buio, e l'unica soluzione fu tenere a mente il percorso fino al primo punto di riferimento noto. Fu solo allora che mi resi conto di non trovarmi molto distante dal Cortile Segreto.

Arrivai a casa con i piedi e i capelli inzuppati. Raccontai che ci eravamo fermati a giocare con la neve, e me la cavai senza una punizione troppo severa.

Andai a letto subito dopo cena, con un senso di stordimento, che nel corso della notte si trasformò in febbre.

Ma prima mi ricordai del libro che avevo acquistato per nove piastre. Lo presi e ne lessi il titolo.

FIORI DI CANDIDO GIARDINO

Ovvero

DELL’ARTE RETORICA

Libri cinque Illustrati con sceltissimi e perpetui essempli degli Autori dell’Età Aurea

Composti dal Venerabile ed Eccellentissimo

Maestro ALOYSIUS ALEXIDES

Protoscriba dell’Accademia di Tutte le Lettere

Con l’aggiunta delle

ISTITUZIONI POETICHE

Recentissimamente redatte dal

Dottissimo Reggitore DYEGIS MACRINUS

Della medesima Accademia

Lia

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