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(2) IL TEATRO

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Non andai a nessun teatro quella sera. La testa riprese a farmi male poco dopo la partenza del carro e mi fece male per tutto il pomeriggio, e quando arrivai a casa con un bernoccolo mia madre si arrabbiò molto perché non ero tornato subito, e rischiai pure di prenderle. Mi infilò a letto e mi mise sulla testa una pezza bagnata con l'acqua gelata del pozzo, che cambiava di tanto in tanto. Io raccontai dell'accaduto in maniera piuttosto generica, e non dissi niente dei biglietti. Sapevo che quella sera non c'era speranza di uscire.

Però li conservai.

Quattro anni dopo, la compagnia di Lelius Abramus tornò a Morraine.

Fu Lucibello ad accorgersi dei manifesti. Non ce n'erano molti in giro, per la verità. Mi portò a vederne uno, all'imboccatura del passaggio dell'Anguilla, nel cortile dell'Unicorno. C'era scritto:

SOLO PER QUESTA SERA

diciotto del Mese-delle-Farfalle

nel Cortile del Serpente di Morraine

LA COMPAGNIA DEL FAMOSO

LELIUS ABRAMUS

RECITERÀ

la Storia di Phenissa

PRECEDUTA E SEGUITA

DA ALTRI

PIACEVOLISSIMI INTRATTENIMENTI

La data, il luogo e il titolo della rappresentazione erano scritti a mano, il resto era stampato.

– E dove sarebbe questo cortile del Serpente? – chiese Jues.

Nessuno di noi disse niente, anche se ciascuno in cuor suo covava un segreto pensiero.

Io corsi a casa, e frugai in una scatola di latta dove tenevo le mie cose più preziose di bambino, di cui ancora non avevo voluto disfarmi. In fondo trovai tre biglietti ingialliti, stampati su cartoncino. Che come ben ricordavo non avevano nessuna data, ma solo il nome della compagnia, con l'immagine della sirena mascherata di spalle, e scritta a mano la parola “Omaggio” seguita da una firma illeggibile.

Quella sera, io e i miei due amici ci mettemmo alla ricerca del Cortile del Serpente.

Dovete sapere, proseguì il nostro ospite, naufrago e paziente, che Morraine è l’unica città al mondo formata da una sola casa.

Molti fecero smorfie incredule, ma il marinaio guardò dalla nostra parte, e immagino che vedesse occhi spalancati. Benché parlasse a tutti, infatti, sembrava però rivolgersi in particolare a noi che eravamo ancora bambini o non ancora adulti (come preferivo pensare io di me stesso), e la cosa allora mi pareva del tutto naturale: forse perché raccontava una favola; anche se una favola vera, come ho detto; o forse perché parlava di sé come bambino. Dopo tanti anni non ne sono ancora sicuro, ma mi pare naturale lo stesso.

Quante persone possono abitare in una casa? Dodici rispose subito il piccolo Roti, che viveva con tre nonni, due zie e quattro fratelli, oltre ai genitori. Nella casa di Hani il falegname ci stanno in sedici, disse il vecchio Ohid. Be’, disse lo straniero alzando una mano, nella casa di Morraine ci abitano più o meno sedicimila persone.

Questa era grossa davvero.

Morraine è una sola casa. Ciò significa che non ci sono strade, ma corridoi, non piazze ma cortili; terrazze, soffitte, scale, cantine, formano una sola complicatissima ragnatela, che nessuno ha mai potuto, o voluto ridurre ad una mappa. Si possono distillare varie spiegazioni razionali per dar conto dell’architettura complessa di Morraine, prendendo a pretesto la sua geografia o la sua storia. Ma nessuna potrà cancellare quella più semplice di tutte: che Morraine è così perché i suoi abitanti sono così. In una città normale ci sentiamo spersi, impauriti. Troppo poco, per noi, un tetto e quattro mura. Ci mancano sedicimila coinquilini. Ecco perché gli abitanti di Morraine viaggiano poco, e la nostra città è meno conosciuta di quanto meriti.

Vista da fuori assomiglia a tante altre città: mura e torri in pietra grigia; orti all’intorno; alte porte alla fine di strade polverose. Dentro, gli stranieri cercano invano vie, vicoli, piazze. Alcuni sono presi dall’angoscia e si sentono soffocare. Tutti hanno bisogno di una guida; non esiste un tragitto in linea retta, né semplici indicazioni, come “il terzo vicolo a sinistra, il secondo portone a destra”. Per noi che ci siamo nati, è semplice, naturalmente: in luogo di vie o piazze, si usano come indirizzi gli unici luoghi aperti, e gli androni che li collegano.

Qualcuno potrebbe dire: in fondo non è molto diversa da qualsiasi altra città. Al posto delle strade e dei vicoli ci sono androni e passaggi che sono come strade coperte; al posto delle piazze cortili. Perché parlare di una sola casa?

Perché il meraviglioso, unico, complicatissimo labirinto si trova in realtà dentro Morraine, nel suo inestricabile intrico di corridoi, scale, stanze… Da qualsiasi ambiente chiuso di Morraine si può raggiungere un altro qualsiasi ambiente, e senza mai uscire all'aperto. A meno che questo non sia chiuso a chiave, ovviamente.

Si dice che ogni stanza possiede almeno due uscite. E questo a maggior ragione vale per ogni abitazione, cioè ogni insieme di stanze dove vive una famiglia, o una singola persona. Naturalmente costoro non desiderano che degli estranei possano transitare a piacere nelle loro stanze, e perciò le chiuderanno in qualche modo. Ma dovete considerare due particolari: che in ogni modo i corridoi sono comuni a tutti, e collegati l'uno con l'altro, anche se a volte nelle maniere più bizzarre; in secondo luogo che amici o parenti stretti possono benissimo bussare, entrare, attraversare una di queste abitazioni, uscire da un'altra parte, se questo serve ad accorciare il cammino che devono percorrere, per esempio. Naturalmente nel farlo si fermeranno a scambiare due chiacchiere con i padroni di casa. Sopratutto le donne. Per questa ragione si dice da noi che la strada più rapida fra due punti non è mai quella più breve…

Morraine è cresciuta dentro se stessa da innumerevoli generazioni. I proprietari di ogni singola abitazione hanno cambiato, ampliato, venduto… I vari piani degli edifici poi sono posti di solito su livelli non identici, perciò innumerevoli sono i gradini e le scale. I cortili, e al piano terra gli androni, interrompono la continuità dei passaggi… È quasi impossibile, per chi non è mai stato a Morraine immaginare la complessità, la frammentarietà, la quasi infinita varietà di questi passaggi interni. Certi corridoi poi sono stati resi più o meno privati dagli abitanti che vi si affacciano, e solo loro di solito li usano. Altri sono molto grandi, e ospitano anche negozi o bancarelle. Nessuno, credo, può dire di conoscere Morraine in tutti i suoi meandri. Forse qualche vecchio agente della guardia, o qualche pubblico ufficiale si avvicina a questa conoscenza, ma neppure lui avrà mai messo piede in ogni stanza, in ogni corridoio di Morraine.

Anche perché ogni giorno, ogni ora si può dire, qualcuno da qualche parte nelle sue viscere starà costruendo un muro, abbattendone un altro, aprendo un varco nuovo o chiudendone uno vecchio...

Ma non dovete pensare che, essendoci una sola casa, Morraine manchi di luce. Tutt’altro. Le sue terrazze e i suoi cortili sono i più belli del mondo. E ogni cortile è diverso dall’altro. Per esempio, c’è il Cortile delle Cento Colonne, il Cortile delle Quattro Fontane, il Cortile dei Tessitori, quello dei Beccai e quello dei Baccellieri, il Cortile del Paradiso, quello degli Uccelli e quello dei Gatti, la Corte delle Lavandaie e il Campo dei Miracoli, e il Cortile dell’Unicorno, del Porcospino, dei Maghi, dei Bottai, quello Rotondo, quello Stretto, quello dei Cinque Cantoni, della Luna Piena e della Luna Calante, quello dei Cavalieri, e di Nostra Signora del Parto, e dei Desideri Perduti. Per muoversi fra di essi ci sono androni e corridoi, e sugli archi che li introducono sono scolpiti stemmi o simboli che servono al posto dei nomi delle vie in altre città. Ci sono anche corridoi segreti e soffitte segrete e cantine segrete.

E soprattutto c’è il Cortile Segreto. Che, ne eravamo ormai certi, altro non era che il Cortile del Serpente indicato sul manifesto.

Nessuno di noi aveva mai visto il Cortile Segreto, che come dice il nome non era un posto dove chiunque potesse entrare come si fa in una piazza. Poiché questa è la differenza fra una piazza e un cortile: nella prima sboccano strade accessibili a tutti: vagabondi e carrettieri, dame e merciai, cani randagi e bambini. In un cortile si entra da una porta, e dipende da quelli che ci abitano tenerla chiusa o aperta.

Quella sera la porta era spalancata.

Lelius doveva essere una persona davvero importante per avere avuto il permesso di dare il suo spettacolo nel Cortile Segreto!

Entrammo, dunque. Dopo che un servo in livrea ebbe esaminato con attenzione non priva di sospetto i nostri biglietti.

Mi aspettavo, è ovvio, di vedere meraviglie: fontane zampillanti e piante esotiche, statue di marmo e gabbie piene di uccelli rari.

Ma ciò che in realtà vedemmo ci lasciò senza fiato. Era un palazzo splendido e sfavillante: marmi di ogni venatura, e colonne come alberi secolari. Statue simili a persone vere immortalate in atti eroici, teneri, strazianti. Affreschi con scene di caccia e di battaglia, flotte a vele spiegate...

Questa visione durò un attimo. Poi un tremolio parve percorrere le mura del palazzo, e avvertii una folata di vento. Come se un terremoto stesse scuotendo Morraine, ma senza alcuna vibrazione sotto i piedi. Chiusi forte gli occhi. Quando li riaprii, il palazzo non c’era più. Era un palcoscenico. Molto più piccolo di quanto mi fosse apparso, perché ingigantito dalla prospettiva; costruito in tela e legno, ma con tale maestria pittorica, e così abilmente illuminato, che l’occhio ne rimaneva volentieri ingannato.

Passato quell’attimo, tutto riacquistò le sue dimensioni normali. Trovammo posto su una delle panche nella quarta o quinta fila. Proprio davanti al palcoscenico, vidi, c'erano delle poltrone riservate a personaggi d'autorità. Ci eravamo da poco seduti che lo spettacolo iniziò. Annunciato da un rullo di tamburi, si presentò un saltimbanco, in un costume giallo e rosso da pagliaccio, che eseguì svariate mirabili capriole le quali finivano, di tanto in tanto, in comici capitomboli da cui si rialzava con aria perplessa, guardando il pubblico con grandi occhi tristi. Fu in una di queste occasioni che la riconobbi, sotto il trucco: era la signora del carro, quella che mi aveva abbracciato quella mattina di quattro anni prima

Poi ci fu un suono di cembali, e strumenti a fiato e a corde che non riconobbi. Apparvero una mezza dozzina di marionette, che eseguirono una pantomima velocissima, senza che si potesse scorgere quali fili le muovessero. Avevano le teste nascoste da larghi cappelli a cono, sotto i quali si scorgevano occhi luminosi e gialli, come candele. La danza che eseguirono era molto elaborata, e non doveva essere priva di qualche significato simbolico, poiché gli spettatori delle prime file, intenditori senza dubbio, applaudivano con convinzione nei momenti più significativi.

Terminò così il prologo, lasciandoci, intendo dire io e i miei due amici, un po’ interdetti ma pieni di aspettativa. Fu solo allora, guardandoci intorno, che ci accorgemmo di essere quasi gli unici ragazzi presenti fra il pubblico, del resto non molto numeroso. Benché attori girovaghi, Lelius e i suoi parevano dunque fare della propria arte un esercizio raffinato, poco adatto al volgo.

E il Cortile Segreto? Catturato dapprima dalla magia del palazzo di tela, e poi dalle capriole della signora e infine dalle evoluzioni della marionette, non avevo neppure pensato di guardarmi intorno. Eppure quello era il luogo delle fantasie di ogni bambino di Morraine! In realtà tutto ciò che si vedeva era poco più che il contorno dei tetti. Poiché il Cortile Segreto non era molto grande, o meglio non era grande come la mia immaginazione lo aveva dipinto; le panche lo occupavano per metà, e il palcoscenico nascondeva i piani bassi. Pilastri di marmo sbrecciato e frammenti di archi incastonati in una facciata alludevano ad un edificio molto più antico. Al riflesso delle lampade, presero forma dei fregi che percorrevano tutto il cornicione: molto corrosi, resi enigmatici dalla luce un po’ vacillante che li colpiva dal basso, anziché da quella del sole per cui erano stati scolpiti. Intuii che rappresentavano delle allegorie, e ne riconobbi alcune: la Verità, sotto forma di una fanciulla quasi nuda, che appoggiata ad una clessidra (emblema del tempo che fugge) mostra con la sinistra il sole e con la destra un serpente che si morde la coda; l’Ambiguità dal volto velato tiene un gatto accovacciato in grembo, e sembra osservare un bambino che gioca con uno specchio. E molte altre.

Poi d’improvviso, e misteriosamente, come se un forte vento avesse soffiato, le lanterne si spensero tutte insieme. Ci furono alcuni istanti di buio, e quando gli occhi si stavano abituando alla luce delle stelle, e scorgevano ombre muoversi sul palcoscenico, ecco di nuovo la luce. Il palazzo aveva subito una parziale metamorfosi: un’ala intera si era aperta, mostrando il mare e un porto magnifico. Una folla di donne era raccolta sui moli, e i marinai salutavano dalle navi, le vele già spiegate al vento. Ma come potevano essere così lontani? Il Cortile non era grande tanto da contenere un porto... Ancora un’illusione: si trattava delle marionette, in un nuovo costume, vicine ma piccole.

In primo piano, un sacerdote di venerabile aspetto. Con voce triste ma ferma narrò l’antefatto. L’isola di Nexus era devastata da pestilenza e sterilità: una maledizione della dea del mare, irata perché i suoi abitanti avevano lasciato perire i naufraghi di una nave senza prestare loro soccorso, onde potersi impadronire del ricco carico... Era la storia di Phenissa e di Teseius.

Il naufrago si interruppe e ci guardò.

Forse non la conoscete. Appartiene ad una terra lontana da qui. Bene dunque: ve la racconterò così come venne rappresentata quella sera da Lelius e dalla sua compagnia, nel Cortile Segreto di Morraine.

Lia

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