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VIII.

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Dolce nel primo gusto è la vendetta

Ma in breve amara torna....

Milton.

Il giorno seguente era una domenica. True aveva per costume di trattenersi buona parte della domenica in chiesa con la famiglia del sagrestano; ma Gertrude non avendo cappello non poteva andarci, ed egli non volle lasciarla sola. Ella dunque s'appuntò in capo il suo vecchio scialletto, e passarono la mattinata insieme passeggiando lungo le banchine e guardando i bastimenti. Nel pomeriggio True dormì accanto alla stufa, e la bambina si trastullò con la gatta. Guglielmo venne la sera, però soltanto per accomiatarsi prima di ritornare dal signor Bray. Aveva gran fretta, non poteva nemmeno sedere un momentino: in casa del suo principale si faceva vita assai morigerata, e la porta era chiusa di buon'ora, specie le domeniche. Il vecchio Cooper fece la consueta sua visita. Quand'egli se n'andò, il lampionaio trovò Gertrude immersa in un sonno beato, e pensando ch'era peccato destarla, la mise a letto così come stava.

Ed ella non si destò, infatti, fino al mattino. Grande fu allora la sua maraviglia vedendosi bell'e vestita. Esilarata da questo caso bizzarro saltò su e corse a domandare a Trueman come fosse successo. Egli stava accendendo il fuoco, e Gertrude, avute sodisfacenti risposte alle sue numerose interrogazioni, s'applicò ad aiutarlo del suo meglio preparando la colazione e assettando la stanza. Ella seguiva appuntino gl'insegnamenti della signora Sullivan, rammentandoli tutti, e dimostrava notevole capacità in ogni cosa che intraprendeva. Nel corso di poche settimane, a forza di perseveranza era giunta a rendersi utile in mille maniere. Prometteva davvero di far onore alla profezia della sua maestra, diventando un'ottima piccola massaia. Certo i suoi servizi erano lievi; ma quei piedini agili e pronti risparmiavano molti passi al vecchio True, e segnatamente ella prestava un aiuto essenziale nella pulizia delle camere, sua particolare ambizione. Adesso che la polvere e i ragnateli non c'erano più, la signora Sullivan s'aspettava da lei che non s'accumulassero daccapo. Ella lo sentiva. E bisognava vederla quando, la mattina, mentre il lampionaio era fuori a nettare e riempire i suoi lampioni, accudiva alle faccende munita d'una vecchia granata il cui manico era stato accorciato a fine d'agevolargliene l'uso! Con che zelo, con che diligenza l'adoprava! Spesso la buona vicina dava una capata nel quartierino per lodarla ed assisterla. Nulla rendeva più felice la piccola Gertrude che l'imparare qualche cosa di nuovo. Beninteso, dovette anche lei pagare il noviziato. Vi furono due o tre casi di completa carbonizzazione dei crostini; e, peggio ancora, ell'ebbe a versare copiose lacrime sui frantumi di una tazza da tè dipinta, sgusciatale di mano. Ma lo zio True non la rimproverava mai; sicchè ella scordava presto queste disgrazie che d'altronde l'esperienza le insegnava ad evitare.

Caterina Mc Carty, la quale l'aveva in concetto della più svegliata e destra bambina del mondo, veniva di tanto in tanto a lavare i pavimenti e far altri lavori troppo gravi o difficili per lei.

Animata dal desiderio di rispondere all'aspettazione della signora Sullivan, e soprattutto di essere utile al suo benefattore, di manifestare nel miglior modo il grande affetto che gli portava, Gertrude era di solito buona, paziente, compiacente, quanto solerte. Invero l'indulgenza di True verso la piccina era tale, che di rado egli le imponeva la sua volontà. Ella rimaneva dunque libera di seguire il proprio talento; ma per indisciplinata che fosse, obbediva volentieri ad uno che mai la contrariava, e però non le accadeva di mostrare dinanzi a lui la violenza della sua natura che una volta eccitata non conosceva più freno. Tuttavia, se nella vita tranquilla di cui godeva adesso tra le pareti domestiche, mancava ogni causa d'irritazione, si diedero talora occasioni nelle quali fu palese che covava sempre il fuoco sotto la cenere.

Una domenica Gertrude, che ora possedeva un bel cappuccetto comperatole dallo zio True, aveva assistito con questi al servizio divino della sera, e ritornavano a casa accompagnati dal signor Cooper e da Guglielmo. I due vecchi erano ingolfati in una delle loro consuete discussioni, e i fanciulli, rimasti un po' indietro, discorrevano vivamente della chiesa, del ministro, dell'uditorio, della musica, che per la bambina erano tutte cose nuove ed avevano destato in lei gran maraviglia.

Cominciava a farsi buio nelle strade. Guglielmo l'osservò, e chinando lo sguardo verso la sua piccola compagna che teneva per mano, soggiunse:

— Di', Gertrude, vai qualche volta con lo zio True a vederlo accendere i lampioni?

— Non ci sono andata mai, dopo la notte che mi portò a casa sua, — ella rispose. — Io ne avevo una voglia matta, ma era sempre tanto freddo che lui non me lo permise: diceva che mi sarei buscata di nuovo la febbre.

— Oggi non è punto freddo; sarà una bellissima notte: se lo zio True è contento, si va tutt'e due con lui. Io ci andai più volte.... Ci si diverte un mondo a guardare dentro dalle finestre nei salotti dove i signori stanno a prendere il tè o a conversare in circolo, davanti al fuoco....

— E io godo di veder accendere quei grandi lumi che fanno tutt'intorno una luce così bella, così allegra! Spero che dirà di sì.... Lo pregheremo.... Vieni, — proseguì tirandosi dietro Guglielmo — raggiungiamolo, diciamoglielo subito....

— No, aspetta, ora sta ragionando col nonno.... Glielo diremo poi, quando saremo a casa. Già poco ci manca. —

A stento però il ragazzo poteva contenere l'impazienza di Gertrude. Non appena furono giunti al cancello della corte ella si strappò da lui, si precipitò verso Trueman, fece la sua richiesta che fu benevolmente accolta. E i tre partirono per il loro giro.

Da principio l'attenzione della piccina si concentrò tutta nelle fiammelle che via via s'accendevano. Non aveva occhi per altro. Ma svoltato il canto della strada si trovò di faccia alla vetrina d'una grande farmacia che la fece rimanere incantata. I vivi colori dei liquidi brillanti nei vasi di cristallo che per la prima volta vedeva di sera, così illuminati, cattivarono la sua fantasia. Ed avendole Guglielmo detto che la bottega del suo principale era simile a quella, pensò che doveva essere una delizia passar la vita in un luogo tanto bello. Si maravigliò poi che fosse aperta la domenica mentre tutti gli altri negozi erano chiusi. Egli si fermò per spiegargliene la ragione e appagare la sua curiosità su varie coserelle; sicchè quando si mossero s'avvide che True li precedeva d'un buon tratto. Sollecitò allora Gertrude dicendole che si trovavano adesso nella più signorile delle vie per cui dovevano passare, e che bisognava far presto se volevano vedere a loro agio la casa che più gli premeva di mostrarle. Infatti il lampionaio nel momento che lo raggiunsero già appoggiava le sua scala a un lampione di fronte a un'isola di bei fabbricati. Molte delle finestre avevano le tende chiuse, dimodochè i fanciulli non potevano guardar dentro; ma in alcune le tende non c'erano, o non erano ancora tirate. In un salotto si vedeva un bel fuoco di ceppi e davanti al caminetto signori e signore che conversavano: Gertrude non si sarebbe più staccata di là. In un altro era accesa una splendida lumiera, e sebbene non ci fosse nessuno, la sontuosità del mobilio, l'appariscenza di tutto l'insieme la rapirono. Ella battè le mani dall'allegrezza, e non s'indusse a seguire Guglielmo se non dopo ch'egli l'ebbe assicurata che un po' più oltre c'era una casa non meno stupenda, dove forse avrebbe anche veduto certi bellissimi bambini.

— O come sai che ci saranno? — domandò ella mentre s'incamminavano.

— Io non lo so positivamente, ma credo. C'erano sempre alla finestra quando andavo con lo zio True, l'inverno passato.

— Quanti?

— Tre, mi pare. Ricordo una bellezza di bimba coi ricci biondi e un visino dolce eppure furbetto. Sembrava una bambola di cera, ma molto molto più carina.

— Oh, spero che la vedremo! — esclamò Gertrude ballando sulle punte de' piedi, tanto era eccitata dal piacere.

— Eccoli! — disse Guglielmo. — Ci sono tutti e tre, come allora!

— Dove? dove?

— Là, dirimpetto, in quella grande casa di pietra. Su, attraversiamo la strada.... Ma c'è una mota!... Aspetta, ti porto. —

Prese la ragazzetta in collo e la portò fino al marciapiede opposto. True doveva ancora arrivare. I bambini aspettavano lui, alla finestra. Gertrude non era la sola che si divertisse a veder accendere i lampioni.

Oramai faceva notte, e le persone che si trovavano nelle stanze illuminate non potevano distinguere quelle ch'erano fuori; ma così Guglielmo e la sua compagna avevano maggior opportunità di guardare nell'interno della casa. Una bella casa davvero: senza dubbio v'abitava gente assai ricca. Il salotto era gaiamente rischiarato dalla viva luce d'un gran lume sospeso e dal riverbero del fulgido fuoco di carbone che ardeva nel caminetto. I sontuosi tappeti, le tende di stoffe smaglianti, i quadri in cornice dorata, i grandi specchi che riflettevano l'insieme da ogni lato, diedero a Gertrude la sua prima idea del lusso. E le comodità che si combinavano con quell'eleganza conferendole un'aria di piacevole intimità la rendevano ancor più affascinante per la povera creatura cresciuta nella miseria. Una tavola era squisitamente apparecchiata per il tè; la tovaglia damascata, candidissima, la lucida argenteria, e soprattutto la teiera di famiglia col suo placido ronzio, avevano un aspetto seducentissimo. Un signore in pantofole ricamate stava adagiato in un'ampia poltrona accanto al fuoco; una signora con una cuffietta riccamente guarnita invigilava la cameriera che finiva d'apparecchiare; i bambini, tutti sorridenti come sono i bambini felici, s'erano radunati davanti alla finestra e, ritti sopra un panchetto, guardavano in istrada.

Guglielmo li aveva descritti bene. Erano tre belle e graziose creature, specie una ragazzina, la maggiore, che toccava circa l'età di Gertrude. I capelli biondi scendenti in folti ricci lungo il collo d'una bianchezza nivea, gli occhi azzurri, le guance pienotte e rosee, i lineamenti gentili, la facevano somigliare a un cherubino. Gertrude non trovava modo d'esprimere la sua ardente ammirazione che con grida di gioia, e risa, e salti, o indicando a Guglielmo or questa cosa or quella, in confuso.

— Di', non è un amore di bimba?... Guarda che splendido fuoco!... E la signora com'è bella!... O le scarpe del signore, le hai vedute?... Che sarà quella roba sulla tavola? Qualche cosa di buono, sicuro.... C'è uno specchio sterminato.... Ah Guglielmo, che cari bambini! Vere bellezze!... —

E sempre cominciava e finiva con le lodi dei bambini. Guglielmo era sodisfatto. La sua piccola amica si divertiva quanto egli s'era ripromesso.

Ma True arrivava, e il lume della sua torcia scorreva lungo il marciapiede. Allora essi furono alla lor volta osservati e divennero il soggetto di un'animata conversazione. La ricciutella li vide e li additò agli altri due. Sebbene Gertrude non potesse indovinare che dicessero, l'idea d'essere sottoposta all'esame e ai commenti di qualcuno le dispiaceva forte. Lesta lesta si nascose dietro la colonna del lampione, e non volle più muoversi nè alzar gli occhi alla finestra, per quanto Guglielmo la canzonasse e le dicesse che ora toccava a lei d'essere guardata.

Quando il lampionaio ripigliò la sua scala e proseguì il cammino, ella si slanciò dietro a lui di corsa per isfuggire agli sguardi curiosi; ma tosto che il ragazzo la richiamò dicendole che i bambini s'erano ritirati, non seppe resistere alla tentazione di gettare ancora un'occhiata nel bel salotto e fece giusto a tempo per vederli prender posto alla tavola del tè. Un momento dopo la cameriera venne a tirar giù le tende, Gertrude prese la mano di Guglielmo e affrettarono il passo per raggiungere True.

— Non ti piacerebbe vivere in una casa come quella? — domandò egli.

— Oh sì! — rispose lei. — Non è una magnificenza?

— Io ne vorrei una così. E l'avrò un giorno o l'altro. —

Questa presunzione sbalordì Gertrude.

— L'avrai? E in che maniera?

— Lavorerò, diverrò ricco, e me la comprerò.

— Impossibile. Ci vuole un monte di quattrini.

— Lo so. Ma io ne guadagnerò dimolti. Il signore che abita in quel magnifico appartamento era un ragazzo povero quando arrivò a Boston: o perchè non ho da potere anch'io arricchire al pari di lui? E ne ho la ferma intenzione.

— Come avrà fatto a guadagnare tanto?

— Come abbia fatto lui non so. Ci sono parecchi modi. Certuni dicono che tutto dipende dalla fortuna.... ma secondo me la bravura non è meno necessaria.

— Sei bravo, tu? —

Egli rise.

— Non ti pare? Bene, se non verrà il giorno che mi vedrai ricco potrai dire di no.

— Io lo so che farei se fossi ricca.

— Che faresti?

— Prima di tutto comprerei una bella poltrona grande per lo zio True, con dentro cuscini e sopra splendidi fiori, come quella dove sedeva quel signore; e poi per me una gran lumiera, con tanti tanti lumi tutti in un mazzo, da far nella stanza una luce.... la luce più chiara che ci possa essere.

— Mi sembra che tu vada pazza per la luce, Gertrudina.

— Io sì! Odio le case vecchie, nere, buie.... A me piacciono le stelle, il sole, e i fuochi, e la torcia dello zio True....

— E a me gli occhi fulgenti. I tuoi appunto brillano come due stelle, stasera. Non ci divertiamo, di'?

— Oh, molto! —

Gertrude non faceva che saltare e ballare lungo il marciapiede, e Guglielmo partecipava al suo giubilo, tutto lieto e superbo d'aver a proteggere la strana e fiera bambina nel tempo stesso che le procurava un tale godimento. Cammin facendo seguitarono a intrattenersi sull'uso delle ricchezze che con balda speranza l'uno e l'altra contavano di possedere prima o poi: giacchè la fidente audacia del giovanetto s'era comunicata alla sua piccola compagna, e anch'ella si proponeva di lavorare e diventare facoltosa. Egli le descriveva gli agi ed il lusso di cui avrebbe circondato la sua mamma, il suo nonno, e perfino lo zio True e lei. Era quanto di più sontuoso egli avesse mai veduto o sognato. Tra altro, la mamma doveva portare una cuffietta guarnita come quella della signora che avevano veduta dalla finestra. Gertrude ruppe in una franca risata. Il buon gusto è innato, ed ella, che ne aveva, sentiva che la modesta vedovetta dall'aspetto placido e grave sarebbe stata ridicola con in capo un'acconciatura di fiori gai. Qualunque eleganza meno sobria della semplice lindezza non poteva che snaturare la signora Sullivan. Quanto a sè medesimo, il generoso figliuolo non ci pensava affatto. Nessuna sodisfazione di desiderî egoistici entrava ne' suoi disegni. Egli intendeva di lavorare per i suoi cari, e in loro e da loro aspettava la sua ricompensa.

Beati i fanciulli! Beati come essi soli possono essere! Che bisogno hanno della ricchezza? Che bisogno di qualsiasi bene più materiale e tangibile dei beni che posseggono? Questi valgono assai più dell'oro o della fama. Sono la candida fede, la speranza ingenua dell'infanzia. Con tutta la potenza immaginativa d'una fantasia non frenata da disinganni e delusioni, ogni fanciullo fabbrica gli stessi castelli in aria che milioni e milioni d'altri hanno fabbricato o fabbricheranno fino alla fine dei secoli. Veggono splendere in lontananza vaghe figure, e non sanno che sono fantasmi. Le veggono adergersi e rifulgere, e i loro occhi affascinati si fissano in quelle, sorvolando sugli spazi tenebrosi che si frappongono, senza scorgere i perigli dell'aspra via, senza sospetto dei precipizi e delle insidie in cui molti dovranno cadere. Fiduciosi di guadagnare la gloriosa mèta, imprendono l'arduo cammino esultando. Sia benedetta l'illusione infantile, se pure è illusione! Non togliete d'inganno quei credenti, o uomini savi! Non soffocate quella buona speranza che è un dono di Dio, e che forse nel suo aereo volo li porterà a salvamento sopra qualche passo scabroso, qualche abisso della vita. Ahimè, già dura poco, e una volta spenta, la via si fa più dura!

Certo la gioia che faceva brillare il cuore a Guglielmo e Gertrude derivava in gran parte dalla generosità del sentimento che li commoveva. Nei loro sogni ambiziosi essi vagheggiavano solo la consolazione d'allietare i vecchi giorni di coloro che amavano. Era un nobile spirito di carità filiale, di tenera gratitudine quello che li animava: naturale in entrambi, ma in lui tanto alimentato dalla pia educazione ricevuta da aver assunto il carattere d'un principio, in lei mèro impulso. E guai alla misera natura umana quando è governata unicamente dalle sue passioni! La povera bambina aveva altri impulsi meno felici (chi non ne ha?), e se il primo meritava d'essere incoraggiato e fortificato, era necessario sradicare e distruggere i secondi.

True, acceso l'ultimo lampione di quella strada, svoltò in un'altra seguito dai due fanciulli. Ma dopo una dozzina di passi Gertrude si fermò di botto, risoluta a non proseguire, e tirando Guglielmo per la mano, tentò di farlo tornare indietro.

— Che hai, Gertrudina? — domandò egli. — Sei stanca?

— Oh no! Ma non posso andar più oltre.

— Perchè mai?

— Perchè.... perchè.... — e abbassando la voce la piccina accostò le labbra all'orecchio del suo compagno — qui ci sta Annetta Grant. Vedo la casa.... M'ero dimenticata che lo zio True deve andarci.... E io ho paura.

— Oho! — fece Guglielmo rizzandosi con aria dignitosa. — Vorrei un po' sapere di che hai paura quando io sono con te! Si provi, mo', a toccarti, se n'ha il coraggio. Te, o lo zio True! Riderei. —

E con parole affettuose e piacevoli prese a persuaderla, dicendole che secondo ogni probabilità Annetta Grant non li avrebbe veduti, ma che forse loro avrebbero veduto lei; il che appunto egli vivamente desiderava. I timori di Gertrude furono presto vinti. Ella non era timida, per natura. L'improvvisa scossa provata rivedendo l'antica sua casa, aveva ridestato in lei il suo orrore, il suo terrore della vecchia Annetta; ma non ci vollero gran ragionamenti per dissipare quello sgomento dimostrandole che oramai ella era al sicuro; e bentosto vi succedette il desiderio di far conoscere a Guglielmo la sua persecutrice d'un tempo. Sicchè quando giunsero davanti alla casa aborrita ella sperava anzichè temere di vederla. E per vederla l'occasione non poteva essere migliore. Annetta era affacciata alla finestra e leticava furiosamente con una vicina. Il suo volto esprimeva tutta la violenza della collera che le bolliva dentro, e, brutto com'era sempre, offriva in quel momento una così chiara impronta del suo carattere, che nessuno le avrebbe potuto contrastare il diritto al titolo di megera, virago, dragone, o altro di simile significato.

— Quale delle due? — domandò Guglielmo. — Quella alta che gesticola con una caffettiera in mano? Scommetto che or ora, se non ci bada, rompe il manico....

— Sì, quella.

— O che fa?

— Letica con la signorina Birch. Sempre ce l'ha con qualcuno. Non ci vede mica, noi, non è vero?

— No, è troppo occupata. Vieni, non ci fermiamo qui. È brutta quanto me la figuravo. Io per me l'ho veduta abbastanza, e tu pure, credo. Tira via. —

Ma Gertrude indugiava. Resa coraggiosa dalla certezza che la nemica non s'accorgeva della sua presenza, la fissava intentamente, e i suoi occhi scintillavano animati non più dall'eccitazione d'una sana e innocente allegrezza come poco prima, ma dal fuoco dell'ira e dell'odio, un fuoco che Annetta Grant le aveva acceso nel cuore da anni e che non ancora estinto ridivampava in tutta la sua forza alla vista di lei.

Guglielmo, pensando ch'era tardi e vedendo la torcia del lampionaio già in fondo alla strada, usò, per indurre la bambina a seguirlo, l'espediente di lasciarla e andarsene dicendole:

— Se tu non vieni, Gertrude, io non posso aspettare. —

Ella si volse, attese ch'egli s'allontanasse alquanto, poi, ratta come il baleno, si chinò, raccattò un ciottolo sul marciapiede, e lo scagliò contro la finestra. S'udì un fracasso di vetri rotti e un'esclamazione della nota voce d'Annetta Grant; ma Gertrude non stette ad osservare il risultato della sua prodezza. Quel fracasso, quella voce, ridestarono i suoi terrori; perdutamente, se la dette a gambe, oltrepassò Guglielmo, nè si fermò finchè non si sentì sicura a fianco di Trueman. Guglielmo non li raggiunse che vicino a casa.

— Gertrude, — egli gridò correndo verso di lei tutto ansante — sai che cos'hai fatto? Hai rotto la vetrata della finestra! —

La bambina lo evitò voltando le spalle, fece il grugno, e dichiarò che questa era stata appunto la sua intenzione.

Il lampionaio domandò di che finestra parlassero. Ella confessò tutto, senz'ambagi, e soggiunse che l'aveva fatto apposta. True e Guglielmo tacquero, scandalizzati. Gertrude anch'essa non aperse bocca durante il resto del percorso. Aveva il visetto rannuvolato e un senso d'infelicità nel piccolo cuore. Ella non comprendeva sè stessa nè le proprie sensazioni. Ma l'espressione di quel visetto palesava che quando il male prevaleva violentemente sull'anima sua, la pace e la giocondità ne fuggivano. Povera creatura! Hai pur bisogno che ti sia insegnata la verità! Piaccia a Dio che la luce interiore ti divenga un giorno cara come t'è oggi la luce esteriore.

Guglielmo s'accomiatò da True e da lei sulla soglia della casa, e, secondo il solito, non lo rividero per tutta la settimana.

Il lampionaio

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