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VI.

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Sogna talun che quando la tempesta

Della passione irrompa, egli a sua voglia

Sedarla possa, e dir: Pace! T'acqueta!

Cowper.

Ma a questo punto Trueman fu interrotto. D'improvviso qualcuno, annunziato da un suono di passi rapidi e rumorosi, aveva aperto l'uscio, senza cerimonie.

— Zio True, — disse il nuovo venuto — eccovi il vostro pacco. Voi ve n'eravate dimenticato, ci scommetto, e non me ne sono rammentato neppur io se non quando la mamma l'ha veduto sulla tavola dove l'avevo posato. Che volete, ero tutto preso dal mio ritorno a casa....

— Sicuro, sicuro!... — rispose il lampionaio. — Ti ringrazio, Guglielmo, d'esserti dato la briga di portarlo tu.... È roba fragile, e probabilmente io l'avrei fatto andare in frantumi prima d'arrivar in porto.

— O che cos'è? Non ho potuto indovinare.

— È un gingillo che voglio regalare alla Gertrudina, qui....

— Guglielmo, Guglielmo! — chiamò la signora Sullivan dall'uscio dirimpetto. — Hai avuto il tè, caro?

— Veramente no, mamma. E voi?

— Noi, sì. Ma te ne preparo subito dell'altro.

— No, no! — fece Trueman. — Resta, e prendi il tè con noi.... resta, ragazzo mio, prendilo con noi, stasera! La mia piccola Gertrude sta appunto arrostendo il pane.... Sentirai che famosi crostini! Io intanto metto il tè....

— Resto, e con grande piacere! — disse Guglielmo. — Mamma, non occorre che mi prepariate nulla da cena: prendo il tè con lo zio True.... Bene, vediamo che c'è di bello nell'involto.... Ma no, prima voglio vedere cotesta Gertrudina. La mamma mi ha tanto parlato di lei. Dov'è? Sta bene, ora? È stata molto malata, non è vero?

— Sì, sta proprio benone. Gertrude, vieni qui! Gertrude!... O dove s'è cacciata?

— Là, sotto la panca! — rispose il ragazzo ridendo. — Possibile che abbia paura di me?

— Non mi figuravo che fosse salvatica a questo segno! — esclamò True. — Suvvia, scioccherella, — soggiunse andando verso di lei — esci di lì e guarda Guglielmo. Questo è Guglielmo Sullivan.

— Io non ho nessuna voglia di vederlo, — mormorò Gertrude.

— Non hai voglia di vedere Guglielmo? — replicò il buon uomo. — Tu non sai quel che tu ti dica! Guglielmo è il più bravo figliuolo che mai ci fu al mondo, e m'immagino che tra poco sarete amiconi.

— Io non gli piacerò, — disse la bambina. — So che non posso piacergli.

— O perchè non dovresti piacermi? — domandò il ragazzo avvicinandosi all'angolo dov'ella se ne stava nascosta con la faccia tra le palme, com'era suo costume quando qualche cosa l'angosciava. — Scommetto invece che mi piacerai moltissimo appena t'avrò veduta! —

Così dicendo si chinò, le scoperse la faccia prendendole le mani e tenendole strette tra le sue, le piantò gli occhi addosso, e salutando con uno scherzoso cenno del capo disse piacevolmente:

— Come va, cuginetta Gertrude, come va?

— Io non sono tua cugina, — ella rispose.

— Ma sì, sei.... — affermò egli. — Lo zio True è zio tuo e mio, sicchè siamo cugini.... non è chiaro? E desidero che facciamo conoscenza.... —

Gertrude non seppe resistere alla cordialità di Guglielmo. Si lasciò tirar fuori dal suo nascondiglio e condurre verso la parte meglio rischiarata della stanza. Ma quando fu presso al lume tentò di liberar le mani per coprirsi di nuovo il viso. Egli non glielo permise; e attraendo la sua attenzione sul pacchetto non ancora aperto, eccitando la sua curiosità circa l'oggetto che poteva contenere, riuscì a distrarre il suo pensiero da lei stessa, di guisa ch'ella non tardò a rinfrancarsi.

— Lo zio True dice ch'è per te.... Io non ho idea di ciò che possa essere.... e tu? Tasta, gli è qualche cosa molto duro.... —

Gertrude tastò, e guardò il lampionaio maravigliata e curiosa.

— Guglielmo, aprilo, — disse questi.

Guglielmo cavò di tasca un coltellino, tagliò lo spago, tolse il foglio di carta, e scoperse una di quelle figurine di gesso, tanto comuni, rappresentanti il piccolo Samuele in orazione.

— Oh, che bellezza! — esclamò Gertrude brillando di gioia.

— O come non ho indovinato? — disse il ragazzo. — Avrei pur dovuto riconoscerlo al tasto!

— Ah, tu l'avevi già veduto? — domandò ella.

— Non questo medesimo, ma tanti altri simili.

— Davvero? Io non ne vidi mai. Non c'è al mondo, credo, una più bella cosa. Zio True, dite, è proprio per me? Dove l'avete trovato?

— L'ho avuto grazie a un caso singolare. Minuti prima d'incontrarti, Guglielmo, ero fermo all'angolo della strada per accendere il mio lampione, quand'ecco vedo venire uno di quei ragazzi forestieri che vendono le figurine. Ne aveva dimolte come questa, e anche qualcuna nera, tutte messe in bella mostra sopra una tavola, e camminava con quella roba in capo. Mentre io lo guardavo pensando come mai facesse a reggerle ritte, gli succede d'urtar la tavola nella colonna del lampione, e, patatrac, le figurine precipitano di sotto. Fortunatamente per lui c'era accosto al marciapiede un bel monte di neve morbida, dove sono andate a cascare, la maggior parte senza danno. Solo alcune scappate sui mattoni si sono ridotte in briciole. Mi faceva compassione, poveretto; era tardi, e sicuro doveva averne vendute pochine se gliene restavano tante sulle braccia....

— Sulla testa, volete dire, — osservò Guglielmo.

— Bene, sulla testa, o sulla neve, o dove più vi garba, signorino, — fece il lampionaio.

— Ed io so che cosa avete fatto voi, zio True, come se fossi stato presente. Avete posato la scala e l'accenditoio, e vi siete messo all'opera aiutandolo a raccattarle.... Conosco il vostro costume. Spero che se mai aveste a trovarvi in qualche difficoltà voi stesso, qualcuno di coloro che aiutaste sarà pronto a contraccambiarvi.

— Quello lì, Guglielmo, non ha aspettato ch'io mi trovassi in qualche difficoltà: m'ha contraccambiato subito. Ha strisciato una riverenza, toccandosi il cappello, come se io fossi il primo signore del paese, e con un discorso nel suo gergo, del quale non capivo una saetta, ha insistito perchè accettassi una delle sue figurine. Io stavo per dirgli che non la volevo, ma poi ho pensato che forse piacerebbe alla mia piccola Gertrude....

— Oh sì, mi piace! — disse la bambina. — L'avrò più caro.... no, non più, ma quasi altrettanto caro che il mio gattino; non proprio altrettanto, perchè quello era vivo.... insomma, quasi. Non ha un'aria di ragazzino bravo, dite? —

True vedendo Gertrude tutta rapita dalla sua figurina, andò a preparare il tè lasciando che i due ragazzi s'intrattenessero tra loro.

— Devi aver cura di non romperla, — disse Guglielmo. — Avevamo una volta in bottega un Samuele proprio eguale a questo; io sbadatamente lo lasciai cadere sul banco e lo ruppi in mille pezzi.

— Come lo chiami?

— Un Samuele: sono tutti Samueli.

— E che è un Samuele?

— È il nome del fanciullo che la figura rappresenta.

— O chi sa perchè sta così sulle ginocchia? —

Guglielmo rise.

— Che? Tu non lo sai?

— No. Perchè?

— Prega.

— E ha per questo anche gli occhi vòlti in alto?

— S'intende: pregando volge gli occhi al cielo.

— Dove?

— Al cielo. —

Gertrude guardò il soffitto seguendo la direzione degli occhi di Samuele,, e poi di nuovo la figura. Pareva stupita e insodisfatta.

— Via, non credo che tu non sappia che cosa sia la preghiera, — disse Guglielmo.

— Io no. Spiegamelo.

— Tu dunque non preghi mai? Non preghi Dio?

— No. Che cos'è Dio? Dov'è Dio? —

L'ignoranza della bambina scandalizzò Guglielmo profondamente. Egli rispose con reverenza:

— Dio è in cielo, Gertrude.

— Ma io non so che luogo sia, cotesto.... Non so nulla delle cose che tu dici.

— Infatti, mi pare.... Io credo che Dio sia lassù di là dal cielo che noi vediamo, ma il mio maestro della scuola domenicale dice che «Dio è dappertutto dov'è la bontà».... o alcun che di simile....

— Le stelle sono in cielo anch'esse, dunque?

— Così sembra. Sono nel firmamento oltre il quale io mi figuro che sia il paradiso, il cielo vero.

— Mi piacerebbe andarci, in paradiso.

— Forse, se tu sarai buona, un giorno ci andrai.

— E quelli che non sono buoni non ci possono andare?

— No.

— Sicchè io non ci vo di certo, — disse Gertrude, accorata.

— Perchè mai? Non sei buona tu?

— Oh no! Sono molto cattiva.

— Che strana creatura! — esclamò Guglielmo. — O per qual ragione t'immagini d'essere tanto cattiva?

— Per la ragione che una cattiva come me non c'è mai stata, — ella rispose con accento d'amara tristezza. — Io sono la peggiore bambina del mondo, lo so.

— Ma chi lo dice?

— Tutti. Annetta Grant me lo ripeteva sempre e giurava che tutti lo dicono. E poi lo so io stessa.

— Annetta Grant è quella vecchia perversa con la quale tu vivevi?

— Sì. Come sai ch'è perversa?

— La mamma mi ha raccontato tutto. Ebbene, dimmi un po', non ti mandava a scuola, non t'insegnava almeno qualche cosa? —

Gertrude scrollò il capo.

— Ah, quanto ti rimane da imparare! Che facevi quando stavi con lei?

— Niente.

— Non facevi niente, e non imparavi niente? Misericordia!

— Ma adesso una cosa l'ho imparata: so arrostire il pane. Me l'ha insegnato la tua mamma. Ne ho arrostito una fetta, sul suo fuoco.... —

Così dicendo si rammentò a un tratto che trascurava di arrostire quello per il tè. Subito mosse verso la stufa, ma era troppo tardi; i crostini erano bell'e pronti, e Trueman aveva già messo in tavola.

— Oh zio True! — ella fece. — Volevo prepararlo io, il tè, sapete....

— Lo so, lo so; — diss'egli — ma non importa, lo preparerai domani. —

Gli occhi della bambina s'empirono di lacrime. Pareva molto mortificata, ma non disse nulla. Sedettero a cena. Guglielmo collocò il Samuele nel centro della tavola, come ornamento, e raccontò tante lepide storielle, disse tante piacevoli facezie, che Gertrude finì col ridere di cuore e dimenticò di non aver arrostito lei il pane, dimenticò la sua tristezza, la sua ritrosia, e perfino la sua disgrazia d'esser brutta e cattiva. Per la prima volta fu una bimba allegra. Dopo il tè sedette accanto a Guglielmo nel gran seggiolone, e alla sua maniera tutta speciale, con molte espressioni e osservazioni bizzarre, prese a descrivere la sua vita in casa d'Annetta Grant, e concluse narrando in termini commoventi la tragica morte del gattino.

I due ragazzi sembravano bene incamminati a diventare amiconi secondo il desiderio dello zio True. Questi sedeva di faccia a loro, dall'altro lato della stufa, con la pipa tra le labbra e i gomiti sulle ginocchia, guardandoli amorosamente, bevendosi le loro parole. La sua presenza non li metteva punto in soggezione. Il buon uomo così semplice e tenero di cuore, così facile a contentarsi, a divertirsi, e lento a biasimare, a disapprovare, non era certo fatto per reprimere la gaiezza e la libertà dei giovanetti baldi, dei fanciulli spensierati. Egli rideva quando Gertrude e Guglielmo ridevano; pipava a gran boccate, con aria di tranquilla sodisfazione, quando parlavano posatamente; smetteva di fumare e deponeva la pipa in grembo per asciugarsi di nascosto una lacrima quando la bambina narrava le sue dure sofferenze. Aveva pianto nell'udire la prima volta quella storia, e per quanto spesso la riudisse, non era mai senza piangere.

Gertrude, finito ch'ebbe il suo doloroso racconto, interrotto da Guglielmo con frequenti esclamazioni di pietà e di sdegno, stette un poco in silenzio; poi, avendo il ricordo dei torti patiti eccitato la sua natura indomita e impulsiva, proruppe nelle più acerbe invettive contro Annetta Grant, parlando adesso in un tono tutt'altro che patetico, servendosi di parecchi termini rozzi e triviali usati dalla gente priva d'educazione fra cui era vissuta. Il linguaggio della piccina palesava un odio implacato e perfino una speranza di futura vendetta. True pareva urtato e turbato nel sentirla parlare così irosamente. Mai da che l'aveva presa seco non gli era accaduto d'assistere a un simile sfogo del suo temperamento; e però, nella propria tenerezza per lei, s'era creduto sicuro ch'ella sarebbe sempre docile e gentile come durante la sua malattia e le poche settimane seguenti. Placido, affettuoso, indulgente com'egli era, non poteva immaginarsi che una creatura umana, specie a quell'età, fosse capace d'alimentare sentimenti d'ira e di rancore. Gertrude aveva mostrato tanta dolcezza, tanta pazienza da quando stava con lui, era stata sempre tanto sottomessa a' suoi voleri, ansiosa anzi di prevenirli, che mai il timore d'incontrare qualche difficoltà nel governo della bambina non aveva attraversato il suo spirito. Ma osservando quegli occhi fiammeggianti, notando il piccolo pugno chiuso nell'atto ch'ella minacciava da lontano la vecchia Grant del suo inestinguibile furore, egli vagamente presentì che sarebbe stata un'ardua impresa disciplinare la sua figliuola adottiva, e un senso quasi di sgomento l'assalse all'idea d'aver forse assunto un obbligo al quale non era in grado di sodisfare. Ella d'un tratto cessava d'essere per lui il cucco, il trastullo in cui s'era compiaciuto fino allora. Vedeva in lei qualche cosa che necessitava un freno, ed egli si sentiva inetto ad applicarlo.

Nulla di più naturale: True era veramente inetto a tener fronte a un carattere come quello di Gertrude. Certo, il grande affetto ch'ella gli portava gli conferiva un potente influsso su lei. La sua docilità, la sua pazienza durante la malattia, l'ardore della sua gratitudine per le cure amorevoli da lui prodigatele, l'ansioso desiderio di contraccambiarlo in qualche modo, derivavano unicamente da quell'amore per il suo primo amico: amore profondo che, sempre saldo, sempre più forte, doveva con gli anni divenire una nobile sorgente d'attività, un prezioso incentivo di virtù. Illuminato e invigorito da una luce superiore venuta a tempo a santificarlo, esso le diede, mentre non era ancora che una tenera giovanetta, il coraggio, la fortezza d'animo, l'abnegazione d'una vera donna; e confortò gli ultimi anni del vecchio, circonfuse di serena letizia il suo letto di morte.

Ma per il presente non bastava. La riconoscenza aveva addolcito il cuore di Gertrude per i suoi benefattori; nondimeno gli effetti d'otto anni di mal governo, di cattivi trattamenti, di mancanza d'ogni giudiziosa disciplina, non potevano esser distrutti tanto presto. Era impossibile domare di colpo quella natura selvaggia, nè sviluppare le sue facoltà migliori se non educandole.

La pianta che crescendo in un terreno sterile, priva di sole e di buon nutrimento, vien su torta, stenta, infeconda, non può riaversi a un tratto da sì crudele strapazzo. Trapiantata in un suolo diverso, bisogna raddrizzarla e nutrirla con cura, bisogna ravvivarla alla calda luce del cielo innanzi che ripari i danni della negligenza di cui sofferse nella prima età, e giunga ad espandere i suoi fiori, a maturare i suoi frutti.

Così con la piccola Gertrude: era necessario dare una nuova direzione alle sue idee, un nuovo alimento alla sua mente, una nuova luce alla sua anima, perchè i più alti fini per cui ell'era creata fossero conseguiti.

True lo sentiva, in confuso, e n'era turbato. Non cercò tuttavia di reprimere l'irruenza della bambina. Non sapeva che fare, e però non fece nulla.

Guglielmo tentò, due o tre volte, d'arrestare quella fiumana di parole oltraggiose, ma visto ch'ella non gli dava retta, finì col lasciarla dire. Egli non poteva rattenersi dal sorridere del suo puerile furore, nè dal parteciparvi in una certa misura: quasi quasi avrebbe voluto trovarsi un momento di fronte ad Annetta Grant per manifestarle la propria opinione sul suo carattere con quattro solenni pugni. Ma egli era un ragazzo bene educato da una madre d'animo mite e gentile, e l'escandescenza di Gertrude cominciava a fargli comprendere perchè tutti la credessero tanto cattiva.

Dopo aver durato un pezzo a vuotare il sacco, ella si chetò da sè, quantunque le rimanesse sul volto un'espressione spiacevole: espressione consueta un tempo e che purtroppo la collera faceva ricomparire. Svanì presto, però, e quando, più tardi nella serata, apparve sull'uscio la signora Sullivan, ella le mosse incontro tutta lieta e ridente e ascoltò col più vivo compiacimento i caldi ringraziamenti di True per la prodigiosa trasformazione della sua casa. E nel dare la buona notte a Guglielmo quand'egli se n'andò con la sua mamma, lo pregò di ritornare a farle così gradevole compagnia. I suoi occhioni brillavano mentre ritta sulla soglia con la mano nella mano del lampionaio salutava i visitatori.

— Curiosa quella bimba! — disse Guglielmo alla madre appena si furono allontanati abbastanza da non essere uditi. — Ma a me piace. —

Il lampionaio

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