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Col voler che lo spirito governa

Con ogni fiero torto perdonato

Con quanto svelle il cuore del peccato

La donna acquista la salute eterna.

N. P. Willis.

La fanciulla cieca non dimenticò la piccola Gertrude. Nè mai Emilia Graham dimenticava le pene e i bisogni altrui. Ella non poteva vedere il mondo esteriore, ma aveva in sè un mondo d'amore e di compassione che si manifestava in sentimenti e in atti di generosa benevolenza e di carità. Ella viveva una vita d'amore. Amava Dio con tutta l'anima e il prossimo come sè stessa. La sventura sua propria, la sua propria miseria, non avevano rimedio, ed ella le sopportava senza lamenti; ma le sventure e le miserie degli altri erano divenute la sua cura, e l'alleviarle la sua gioia. Nel fare il bene era instancabile. Numerose benedizioni venivano implorate sul suo capo da giovani e vecchi, per benefizi ottenuti; numerose preghiere le venivano rivolte per ottenerne. A tutti ella era pietosa. Ma nessuna storia di dolore l'aveva mai così profondamente commossa come quella di Gertrude. Pronta sempre ad ascoltare chi le narrava i propri guai, ella sapeva che molte creature nascono in povertà, crescono nell'indigenza; sapeva che non pochi sono i fanciulli maltrattati, negletti, abbandonati. Fin qui non era una storia nuova per lei. Ma qualche cosa nella bambina stessa l'attirava, l'appassionava in modo straordinario. I toni della sua voce, l'accento patetico e il calore con cui parlava, il suo tenero e confidente abbandono quand'ella l'aveva tratta a sè, quell'afferrarle e stringerle la mano con atto così spontaneo, e soprattutto la veemenza del suo cordoglio nel comprendere alfine tutta l'immensità della sciagura onde ella era colpita, non le uscivano più di mente. Sognò Gertrude la notte, pensò a lei durante il giorno. Ella non si rendeva ragione del sentimento che la spingeva verso quella piccola estranea, ma era un impulso irresistibile; tanto che mandò a chiamare True Flint struggendosi d'essere più minutamente ragguagliata sul conto suo.

Egli venne, e parlarono a lungo dell'orfanella. Il buon uomo giubilava ascoltando la signorina Graham. Era una grande consolazione per lui che la sua figlioletta adottiva si fosse cattivata la benevolenza d'una persona ch'egli rispettava ed ammirava in sommo grado. Anche Gertrude gli aveva raccontato il loro incontro in chiesa, e parlato con ardore della cara signora ch'era stata così amorosa con lei, e che l'aveva accompagnata a casa, mentre il vecchio Cooper s'era addirittura dimenticato d'averla lasciata lì: ma egli non s'immaginava che quel subito attaccamento fosse reciproco.

Emilia gli domandò se non intendesse di mandare la ragazzina a scuola.

— Veramente, non so.... — rispose True. — È piccina ancora, e poco avvezza a stare con altri bambini. E poi mi dispiacerebbe privarmi della sua compagnia: io godo di vedermela dattorno. —

Ella osservò ch'era tempo che Gertrude imparasse a leggere e a scrivere, e che quanto più presto avrebbe cominciato a stare co' suoi coetanei, tanto più agevolmente ci si sarebbe avvezzata.

— Sicuro, sicuro, — fece egli — è giustissimo. Se dunque credete per il suo meglio che vada a scuola, gliene parlerò. Sentiremo che dice.

— Ma sì. Io credo che ci piglierebbe gusto e farebbe grandi progressi. Circa i vestiti, se qualche cosa le manca, io...

— Oh no, no, signorina Emilia, non occorre nulla! È ben rimpannucciata per ora, grazie alla bontà vostra....

— Basta, ricordatevi che in caso di bisogno dovete ricorrere a me. L'abbiamo adottata insieme quella figliuola, e io mi sono assunta l'impegno di fare per lei tutto ciò che posso. Quindi, se mai, non esitate. Sarò lieta di potervi esser utile, credetelo. Mio padre si sente sempre obbligatissimo verso di voi, signor Flint, per i vostri fedeli servigi che hanno finito col costarvi tanto caro.

— Oh, signorina Emilia, il signor Graham è stato per me il migliore degli amici, e quanto all'infortunio che mi toccò lavorando ne' suoi magazzini nessuno n'ebbe colpa fuori di me; la sbadataggine mia fu la sola causa di tutto il male!...

— So, so che voi lo dite, ma il nostro rincrescimento non è minore per questo. Ve lo ripeto, non dimenticate ch'io mi stimerò felice di poter venire in aiuto alla piccola Gertrude. Mi piacerebbe d'averla qui un giorno, se voi permettete, e se essa è contenta di venire....

— Figuratevi se sarà contenta! Grazie, grazie di cuore.... —

Alcuni giorni dopo Gertrude andò con True a casa Graham per visitare la signorina; ma la governante che incontrarono nell'atrio disse loro ch'ella era malata e non riceveva nessuno; sicchè tornarono indietro pieni di rammarico.

Seppero poi che Emilia si era buscata una forte infreddatura la sera che troppo a lungo era rimasta a sedere in chiesa, e che appunto quel giorno si trovava molto incomodata; nondimeno avrebbe di buon grado fatto passare in camera sua Gertrude di cui desiderava la visita, e assai si dolse con la signora Ellis per averli ella di proprio arbitrio rimandati così bruscamente.

True aspettò il sabato a fine di comunicare alla piccina, in presenza di Guglielmo, il divisamento di mandarla a scuola. Gertrude su quel subito recalcitrò; ma Guglielmo approvava l'idea calorosamente, e quando lo zio True ebbe soggiunto che gliel'aveva suggerita la signorina Graham, ella acconsentì, sebbene non senza riluttanza, a cominciare la settimana ventura, per prova. Quindi il lunedì seguente egli la condusse a una scuola elementare. Vi fu ammessa, e la sua educazione incominciò. Il sabato dopo, il ragazzo, non appena venuto a casa, secondo il solito, entrò come una folata di vento nella camera del vicino, tanto lo pungeva la curiosità di sapere che impressione avesse fatto la scuola a Gertrudina. La trovò seduta alla tavola con davanti il suo abbecedario aperto.

— O Guglielmo, o Guglielmo! — gridò ella vedendolo apparire. — Vieni a sentirmi leggere! —

«Leggere» era forse dir troppo. Le sue cognizioni non s'estendevano oltre l'alfabeto e qualche sillaba compitata. Ma Guglielmo non le fu parco d'elogi, ben meritati del resto, perchè era stata veramente diligentissima. Egli rimase stupito udendola dichiarare che le piaceva la scuola, le piaceva la maestra, le piacevano le condiscepole. S'aspettava invece che tutta la baracca le dispiacesse tanto da farla «andar nei nuvoli»; espressione da lui usata per indicare i suoi accessi di collera. S'era ingannato. Finora almeno, le cose procedevano a maraviglia. Gertrude non gli era mai sembrata così allegra, così felice come quella sera. Egli le promise d'assisterla ne' suoi studi; e i programmi letterari dei due fanciulli salirono tanto alto, che pareva di sentir discorrere un poeta laureato e un filosofo.

Durante alcune settimane tutto infatti andò per la piana. Gertrude frequentava la scuola regolarmente e seguitava a fare rapidi progressi. Guglielmo veniva tutti i sabati a sentirla leggere, e l'aiutava, l'incoraggiava con le sue lodi. Il perspicace ragazzo però ebbe presto il sospetto che ella avesse già avuto qualche attrito con certune delle scolare più grandi contro le quali cominciava a manifestare sintomi d'avversione. Insomma, qual si fosse l'origine dell'ostilità latente, la crisi non tardò a scoppiare.

Un giorno, mentre le bambine erano radunate nel cortile della scuola per la ricreazione, venne a passare di là, lungo il marciapiede, Trueman in abito da lavoro, con la scala portatile e il vaso dell'olio. Gertrude lo vide, e saltando, ridendo, chiamandolo forte, corse in istrada, lo raggiunse. Trattenutasi due o tre minuti, rientrò di galoppo, trafelata ed allegra, eccitatissima dalla gioia di quell'incontro insperato. La truppa delle «grandi» che da un pezzo le si mostravano poco benevole, l'aveva osservata, e tosto ch'ella fu di ritorno una di loro le domandò:

— O chi è quell'uomo?

— È mio zio True.

— Tuo.... che cosa?

— Mio zio, il signor Flint. Io sto con lui.

— Sicchè tu appartieni al lampionaio? — fece la ragazza con tono insolente. — Ah, ah, ah!

— Che c'è da ridere? — disse fieramente Gertrude.

— Uh! Io con lui non ci starei davvero, sudicio affumicato com'è.... Vecchio Negrone! —

L'epiteto ebbe fortuna, e in un baleno circolò da un angolo all'altro del cortile, fra matte risa.

Gertrude era furibonda. Con gli occhi scintillanti e i pugni stretti, si slanciò senza esitare contro la folla, sfidandola a battaglia. Ma sopraffatta dal numero delle avversarie, ed accecata dalla propria collera, ebbe naturalmente la peggio e fu cacciata fuori.

Ella si diresse a tutta corsa verso casa, piangendo e urlando con quanto n'aveva in canna. Nella sua fuga precipitosa dette di cozzo, sul marciapiede, in una signora alta e massiccia, dal portamento piuttosto rigido, la quale camminava lentamente nella direzione medesima, con un'altra d'assai minore statura, appoggiata al suo braccio.

— Misericordia! — esclamò il donnone che tra la violenza dell'urto improvviso e il suo spavento aveva quasi perduto l'equilibrio. — Orrida monella! —

E così dicendo scoteva Gertrude ch'ella era giunta ad afferrare per una spalla. Quest'incidente non servì che a raddoppiare il furore della piccina, e insieme la sua velocità. In pochi minuti ella fu nella camera di Trueman, acquattata in un cantuccio dietro il letto, con la faccia contro il muro e coperta dalle mani, secondo il suo costume nei momenti critici. Là si trovò libera di strillare quanto voleva, perchè la signora Sullivan era uscita e nessun altro l'udiva; favorevole circostanza di cui approfittò largamente.

Non a lungo però. A un tratto sentì chiudere il cancello della corte con un colpo secco, e passi che al suono le parvero d'estranei attirarono la sua attenzione, avvicinandosi all'entrata del quartierino. Ella fece uno sforzo per dominarsi, e dopo due ultimi singhiozzi spasmodici riescì a tacere. Fu picchiato all'uscio. Non rispose nè si mosse dal suo nascondiglio. Senza ripicchiare, qualcuno alzò il saliscendi, ed entrò.

— Non dev'esserci nessuno, — disse una voce femminile. — Peccato!

— No? Me ne dispiace, — disse un'altra i cui dolci toni musicali rivelarono subito a Gertrude la presenza d'Emilia Graham.

— Lo sapevo io che avreste fatto meglio a non venire qui voi stessa! — riprese la prima, ch'era quella della signora Ellis: il donnone a cui Gertrude aveva fatto pigliare quel grosso spavento.

— Oh, non mi dolgo d'esser venuta! — rispose la signorina. — Potete benissimo lasciarmi qui e andare da vostra sorella. Intanto, o il signor Flint o la bimba, probabilmente ritornerà a casa.

— Non è convenienza, signorina Emilia, che voi siate portata in giro come un pacco che si depone qua o là e si viene a riprendere. L'altro giorno aspettando il pastore in chiesa vi buscaste una terribile infreddatura di cui siete a mala pena guarita.... Il signor Graham finirà con l'inquietarsi....

— Oh, non vi mettete in pensiero, signora Ellis! Qui si sta veramente bene. La chiesa è un po' umida io credo. Via, mettetemi nel seggiolone del signor Flint; io son contenta così.

— E sia, allora. Ma per ogni conto, farò un buon fuoco in quella stufa prima d'andarmene. —

L'energica governante afferrò l'attizzatoio, accozzò i carboni, usò senza risparmio le fascine di True, e dopo aver aspettato di veder alzarsi la fiamma e sentirla scoppiettare, mise da parte il boa ed il cappellino d'Emilia, e uscì col suo passo grave e sonoro, il quale, quando erano venute, aveva reso così impercettibile quello leggerissimo della giovane, da far credere a Gertrude che una sola persona attraversasse la corte. Tosto che il rumore del cancello avvertì che la signora Ellis era davvero partita, la bambina cessò il suo sforzo, trasse un profondo sospiro, e si sfogò, ansimando:

— Ohimè! Ohimè!

— Come! — esclamò Emilia. — Tu sei qui, Gertrude?

— Sì, — rispose ella tra i singhiozzi.

— Vieni accanto a me, figliuola. —

Gertrude non se lo fece dire due volte. Balzò in piedi, corse a lei, e gettatasi per terra nascose il capo nel suo grembo, ricominciando a pianger forte con tal violenza, che tutto il suo corpicino ne tremava.

— Ebbene, che t'è successo? — le domandò la cieca.

Ma ella non era in istato di rispondere. Quella lo comprese, e senza più interrogarla se la pigliò sulle ginocchia, le fece posar la testa sulla sua spalla, e asciugò con la propria pezzuola le lacrime che le inondavano la faccia.

Le sue tenere parole, le sue carezze, calmarono la piccina; e quando si fu chetata, invece d'insistere subito per conoscere la causa di quella disperazione, ella molto giudiziosamente le diresse altre domande; infine però le chiese se andasse a scuola.

Ci sono andata, — rispose Gertrude sollevando la testa. — Ma non ci vo mai più, mai!

— Che dici? E perchè no?

— Perchè odio quelle ragazzacce, — proruppe la bimba, irosamente. — Sì le odio! Brutte! Maligne!

— Gertrude, Gertrude, — ammonì Emilia — non parlare così. Tu non devi odiare nessuno.

— Perchè non devo?

— Perchè è un gran peccato.

— No che non è un peccato! Io vi dico di no! E le odio quelle maligne, e odio Annetta Grant, e l'odierò sempre!... Voi non odiate dunque nessuno?

— Io no.

— Ma nessuno mai affogò il vostro gattino? Nessuno mai chiamò vostro padre Vecchio Negrone sudicio affumicato? Se ve n'avessero fatte di questa posta, odiereste voi pure come me!

— Gertrude, — disse la giovane cieca, solennemente — tu mi dicesti l'altro giorno che sei una bimba cattiva, ma che desideri diventar buona e ti sforzerai di riescirvi. Vero? Ebbene, se vuoi diventar buona e farti perdonare, bisogna che tu perdoni agli altri. —

Gertrude tacque.

— Non brami che Dio ti conceda il suo perdono ed il suo amore?

— Dio che sta lassù in cielo e ha fatto le stelle?

— Sì.

— Credete che mi amerà e permetterà che vada in cielo anch'io una volta o l'altra?

— Sì, se tu sarai buona e amerai tutti quanti. —

Dopo avere riflettuto un poco la bambina concluse:

— Signorina Emilia, proprio non posso. Sicchè non ci andrò mai, lo veggo. —

In quella sentì cadere una lacrima sulla sua fronte. Alzò gli occhi, e fissò nel volto della cieca uno sguardo pensoso.

— Cara signorina Emilia, voi ci andrete?

— Procuro di meritarlo.

— Mi piacerebbe andarci con voi, — disse Gertrude scotendo la testa.

E s'immerse in una profonda meditazione. Emilia stimò di non doverla interrompere.

— Sentite, — riprese alfine la bambina con voce così sommessa ch'era appena un mormorio — vorrei provarmici ma temo di non potere.

— Dio ti benedica e t'aiuti, figliuola mia, — disse la cieca ponendole la destra sul capo.

Nessuna delle due parlò più. Passò così un buon quarto d'ora. Emilia, la quale teneva sempre Gertrude in grembo, s'era accorta, notando la regolarità del suo respiro, che, esausta dalla febbrile agitazione a cui era stata in preda, aveva finito col cadere in un placido sonno. Quando la governante fu di ritorno, ella, mostrandole la piccina addormentata, la pregò di portarla sul letto. La signora Ellis la compiacque, con un'aria di stupore, poi si volse a lei esclamando:

— Affemmia, signorina Emilia, quest'è la medesima spiritata creatura urlante che per poco non è stata dianzi causa della nostra morte! —

La giovane sorrise all'idea d'una bambinetta di otto anni che atterrava e annientava una donna delle dimensioni della signora Ellis, ma non disse nulla.

Perchè pianse Emilia quella notte, ricordando la scena della mattinata? Perchè, china, in ginocchio, lottò aspramente contro un fiero dolore? Perchè con sì fervida istanza chiese a Dio di darle nuova forza e nuovo coraggio, e implorò la Sua benedizione sul capo della fanciulletta? Perchè in lunghi anni di tenebre desolate, in molte ore di lotta terribile, di disperata angoscia, ella aveva sentito che un carattere come quello manifestato da Gertrude poteva, in un momento di suo tremendo predominio, funestare tutta una vita, bandirne per sempre ogni felicità terrena.

E però quella notte ella inalzò al Cielo un'ardente preghiera per impetrare la grazia di rimaner ferma nel suo proposito, di poter con l'aiuto divino conseguire il suo fine immortale curando quella piccola anima della cecità che l'affliggeva.

Il lampionaio

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