Читать книгу Il lampionaio - Maria S. Cummins - Страница 7
V.
ОглавлениеSollecita movea con piè leggero
Per la piccola casa la massaia,
Nè mai nell'alveare ape fu tanto
Alacre e lieta all'opra....
Mitford.
Era una serata di vento. Gertrude, vestita decentemente, coi capelli lisci, con la faccia e le mani pulite, aspettava alla finestra il ritorno del lampionaio che finiva il suo giro. Stava benissimo adesso, meglio che non fosse stata, da anni, prima della sua malattia. Le cure e l'affetto avevano operato prodigi per lei. Ell'era sempre la bambina esile e palliduccia, dagli occhi e dalla bocca troppo grandi nel visetto minuto; ma la dolorosa espressione di sofferenza che le era consueta, aveva dato luogo a quella, piuttosto grave tuttavia, di un'intima felicità.
Di fronte a Gertrude sedeva sull'ampio davanzale una grossa e veneranda gatta, madre del suo perduto tesoro e quindi a lei molto cara. Amorosamente ella le andava passando la mano sul dorso, carezza gradita alla matrona, che dimostrava la sua sodisfazione facendo le fusa.
D'improvviso s'udirono rimbombare nel muro suoni tumultuosi. La casa era vecchia ed offriva un comodo soggiorno ai topi, i quali a giudicarne dalla strepitosa allegria cui s'abbandonavano ne avevano approfittato quella sera per dare un ballo. Pareva quasi che un camino rovinasse mattone per mattone. Gertrude non si spaventò punto. S'era tanto assuefatta ai muri abitati da quel genere d'inquilini quando dormiva nella soffitta d'Annetta Grant, che non faceva più caso di tali rumori. Non così però la veterana felina che subito rizzò le orecchie e manifestò con chiari segni la sua brama di correre a battaglia. Mai cavallo guerriero fu eccitato dagli squilli delle trombe come la brava micia dalle galoppate dell'orda nemica attraverso il solaio.
— Ferma, micina, — ammonì Gertrude — ferma, intendi! Non è tempo di dare la caccia ai topi, ora.... Devi sedere qui e star buona finchè tu non vegga arrivare lo zio True, per sentire che dirà della camera e di me! —
Ella si volse e girò gli occhi intorno con immenso compiacimento; poi, arrampicatasi sul davanzale ch'era larghissimo, all'uso antico, e di dove, rispondendo la finestra nella corte, poteva veder entrare il lampionaio, prese la gatta in collo, si spianò le pieghe del vestitino, gettò uno sguardo d'ammirazione e d'orgoglio sulla sua calzatura, ed assunse un atteggiamento composto col deliberato proposito d'esser paziente. Ma era inutile, non ci riesciva; le sembrava ch'egli non avesse mai tardato tanto; cominciava anzi a credere che non sarebbe venuto più, quando alfine lo vide svoltare entro il cancello. Benchè fosse già quasi buio ella notò che qualcuno lo accompagnava. Non le pareva il signor Cooper nè alla statura, meno alta, nè al passo; pure finì col concludere che doveva esser lui, perchè proseguì fino all'uscio suo ed entrò.
Per quanto avesse atteso Trueman con viva impazienza, Gertrude non gli corse incontro come di consueto. Stette in ascolto, e non appena lo sentì venire dallo stambugio dove soleva fermarsi per appendervi al muro la scala e l'accenditoio, e deporre il camiciotto macchiato e i larghi calzoni che portava sopra i vestiti durante il lavoro, lesta lesta si nascose dietro l'uscio donde egli doveva passare nella camera. Senza dubbio ella gli aveva preparato una grande improvvisata e intendeva di goderne pienamente l'effetto. Ma la gatta, che non era tanto compresa dell'importanza della cosa, non dimenticò le buone creanze; e andò secondo il suo costume a dargli il benvenuto strofinando il capo alle sue gambe.
— Ohe, mustacchiona! — fece True. — Dov'è la mia mimma? —
Così dicendo chiuse l'uscio dietro a sè, e scoperse Gertrude. Ella d'un balzo venne a piantarglisi di fronte, rise; guardò i propri vestiti, poi guardò lui, bene in faccia, per vedere che impressione gli facesse il suo aspetto.
— Corbezzoli, fa mai una figurona spanta la signorina! — esclamò egli sollevandola tra le braccia e portandola più presso al lume. — Tutta vestita di nuovo: abito, grembiule, scarpe! E chi t'ha pettinata? In verità, non dico che tu sia una bellezza, no, ma per carina sei carina!
— La signora Sullivan m'ha vestita da capo a piedi, e m'ha spazzolato i capelli.... Ma ha fatto anche più.... o non vedete che altro ha fatto? —
True seguì gli occhi di Gertrude, in giro per la camera. Lo stupore che il buon uomo andava manifestando era tale da corrispondere all'aspettazione della bimba quantunque grandissima: e si capiva. Uscito la mattina, trovava la sera la sua casa trasformata. Evidentemente mani di donna ci avevano lavorato, facendovi pulizia e mettendo ogni cosa in ordine.
Prima che Gertrude venisse ad abitare con lui egli s'era dispensato da qualsiasi ingerenza femminile nelle sue faccende domestiche. Viveva solo, visite non ne riceveva quasi punte; sicchè gli bastava fare il proprio comodo senza riguardo alle apparenze. Nel suo modesto quartierino la granata veniva adoperata di rado, l'acqua mai. Le due ampie finestre guardanti la corte erano trattate con grande ingiustizia, avendo i cristalli così appannati dalla polvere e dal fumo, che la gaia luce a cui davano adito nella stanza n'era mezzo offuscata. Festoni di ragnatele pendevano agli angoli del soffitto; intorno all'alta e vasta cappa del camino s'accumulava un curioso miscuglio d'oggetti utili e inutili; un visibilio di ciarpame stava raccolto sotto la stufa. I mobili, alcuni dei quali assai buoni, erano collocati a casaccio, in modo da ingombrare lo spazio invece di trarne partito. Durante la malattia della bambina poi, un letto preparato sul pavimento per uso di True, e tutte le diverse cose, necessarie all'assistenza della malata, avevano accresciuto la confusione a segno tale, che quasi ci sarebbe voluto un pilota per condurre i visitatori a salvamento attraverso la camera.
Ora, la signora Sullivan era la nettezza in persona. La sua casa poteva gareggiare con una casa olandese. I suoi vestiti, di un'estrema semplicità ma esenti da ogni più lieve frittella, da ogni più piccola macchia, la facevano sembrare una quacchera; in quelli, anche da lavoro, del suo vecchio padre e del suo figliuolo giovanetto si scorgeva alla prima occhiata la cura d'una figlia, d'una madre, attenta e diligente. A fine d'assistere Gertrude ell'aveva per la prima volta posto piede in una stanza che era a quel punto il contrario della sua: e non sarebbe agevole comprendere quanto meritoria fosse la sua opera di carità, senza considerare che il contrasto era per lei sommamente penoso, e che ella ci pativa a passare qualche volta l'intero pomeriggio in una casa dove, come soleva poi dire quando rientrava nella sua, avrebbe con piacere fatto un po' di pulizia e messo un po' d'ordine solo per vedere che figura farebbe e se qualcuno saprebbe riconoscerla. Ell'era un minuzzolo di donna mingherlina, piccolina, ma aveva più capacità ed energia che non si sarebbe potuto trovarne in una qualsiasi tra venti altre grandi e grosse il doppio di lei. Ella sentiva una sincera compassione della gente che vive in un caos domestico; era sicura che non può esser gente felice. E però non appena Gertrude fu ristabilita risolse in cuor suo d'adoperarsi con tutte le sue forze per la causa dell'ordine e della nettezza che a' suoi occhi era la causa della virtù e della felicità, perchè ella immedesimava la purità e la lindura con la pace dell'anima. Se non che, sensibilissima com'era su questo punto, s'immaginava che True dovesse provare qualche cosa di simile, ed essendo la piccola donnina altrettanto tenera di cuore quanto linda e accurata, non avrebbe voluto per nulla al mondo mortificarlo; perciò andava studiando come entrargli in materia e persuaderlo a una riforma del suo metodo di tenere la casa, quando Gertrude stessa le suggerì il modo d'attuare il suo disegno.
Il giorno innanzi quello del gran ripulimento, la signora Sullivan vide nel corridoio la bambina che stava timidamente presso l'uscio del suo quartierino guardando dentro con viva curiosità.
— Vieni, vieni Gertrude, — disse la donnina benevola — fammi una visita! — E notando ch'ella si peritava d'intrudersi così in casa d'altri, la incoraggiò: — Mettiti a sedere qui accanto alla tavola e guarda che cosa stiro. Gli è proprio il tuo vestitino! Stirato questo, i tuoi panni sono bell'e pronti. Sei contenta di rivestirti un po', non è vero?
— Oh, tanto contenta, signora! — rispose Gertrude. — Potrò portarmeli via, e tenerli tutti da me?
— Sicuro.
— Non so veramente dove riporli.... non c'è posto nella nostra camera.... almeno non un posticino a modo.... — E così dicendo la bambina gettava un'occhiata ammirativa alla cassetta aperta del cassettone dove la signora Sullivan riponeva il vestitino che aveva finito di stirare, sopra una pila d'altri indumenti accuratamente piegati.
— Ma una parte, s'intende, ne indosserai, e per il resto bisognerà trovare un luogo adatto.
— Voi, sì, avete dove metterla la vostra roba, — riprese Gertrude girando gli occhi intorno. — Che bella stanza, questa!
— Non c'è mica molta differenza da quella del signor Flint. È circa della stessa grandezza e ha due finestre come la sua. Soltanto la mia dispensa è più comoda. La vostra non ha che tre angoli; ma quest'è tutto il vantaggio.
— Oh, non c'è paragone, per altro! Voi qui non avete letti, e le seggiole sono tutte in fila e la tavola è lustra che sembra uno specchio, e il pavimento è ben pulito, e la stufa è nuova, e dalle finestre c'entra un sole splendido che consola! Ah, magari fosse così la nostra camera! Avrei proprio scommesso che è anche più piccola della metà.... Figuratevi, lo zio True stamani ha inciampato nelle molle, e diceva che non c'è tanto spazio da far dondolare un gatto!
— Dov'erano le molle? — domandò la signora Sullivan.
— Per terra, signora, proprio nel mezzo....
— Vedi, io non tengo la roba per terra. E credo che se la vostra stanza fosse ripulita e ogni cosa ci avesse il suo posto, farebbe quasi la stessa figura della mia.
— Vorrei pure vederla messa tutta bene in ordine! — disse Gertrude. — Ma come fare coi letti?
— Appunto ci pensavo. C'è quella dispensina che doveva essere uno stanzino da bagno quando la casa era nuova e abitata da signori; è grande abbastanza da collocarvi un lettino e due seggiole; potrebb'essere una comoda cameretta per te. Ora non c'è dentro che ciarpame da buttar via: se mai ci si trovasse qualche cosa di servibile, si riporrebbe nello stambugio.
— Che bella idea! — esclamò la bambina. — Così lo zio True riavrebbe il suo letto.... Io dormirei là, sul pavimento.
— Ma no, non è punto necessario che tu dorma sul pavimento. Io ho una buona piccola branda dove dormiva il mio Guglielmo quando abitava con noi. Te la presterò se mi prometti d'averne cura, e non di quella soltanto, ma di tutto ciò che sarà messo nella tua camera.:
— Oh sì! — rispose Gertrude. — Ma — soggiunse esitando — credete che ne sarò capace? Non so far nulla io....
— Perchè nessuno t'ha mai insegnato nulla, povera figliuola: una ragazzetta d'otto anni può fare molte cose se ha pazienza e volontà d'imparare. Io te ne potrei insegnare parecchie che sarebbero utili e ti farebbero essere di grande aiuto allo zio True.
— Dite, dite, che cosa posso fare?
— Spazzar la camera tutti giorni, rifare i letti, dandoti qualcuno una mano per voltare le materasse, apparecchiare la tavola, tostare il pane, rigovernare. Forse da principio non ci riesciresti proprio bene bene, ma con la pratica t'andresti perfezionando, e a poco a poco finiresti col diventare una brava piccola massaia.
— Desidero tanto di poter fare qualche cosa per lo zio True! Ma di dove incominciare?
— Prima di tutto bisogna che la casa sia ripulita e messa in ordine da qualcuno. Se sapessi che il signor Flint ne sarebbe contento, chiamerei un giorno la Caterina McCarty ad aiutarci, e non dubito che egli poi si troverebbe assai meglio nella sua abitazione.
— Io sono sicura che sarebbe contentissimo! Si farebbe una cosa grande! Posso aiutare anch'io?
— Sì, farai quello che potrai; ma ci vuole Caterina. Quella è robusta e bravissima per la pulizia.
— E chi è Caterina?
— È la figliuola della signora McCarty che abita nella casa qui accanto. Il signor Flint rende loro vari servigi, come segar le legna e altri. Loro gli lavano la biancheria, ma non sono certo in grado di ripagarlo di tutto il bene che egli fece a quella famiglia. Caterina è una ragazza assai capace, e attiva. Verrà con molto piacere a lavorare per lui, quando che sia. Glielo chiederò.
— Verrà domani?
— Forse sì.
— Domani lo zio True starà fuori tutta la giornata. Va a portare il carbone dal signor Eustachio. Non vi pare che sarebbe il momento buono?
— A maraviglia! Procurerò che Caterina venga domani. —
Caterina venne. La stanza fu ripulita in ogni sua parte, vi fu messo ogni cosa in perfetto ordine. Gertrude ricevette in consegna i suoi vestiti nuovi. Una muta ne indossò, l'altra fu riposta in un armadino trovato nella dispensa che pareva proprio fatto per il suo piccolo corredo.
Quando Trueman ritornò dal lavoro rimase attonito dinanzi al risultato ottenuto col triplice concorso della Signora Sullivan, di Caterina e di Gertrude, per la quale il vivo piacere manifestato dal buon uomo rese memorabile quel giorno: un giorno ch'ella doveva ricordare per tutta la vita come il primo in cui aveva gustato la suprema forse tra le felicità terrene, quella d'essere datori di gioia ad altrui. Non già che la bambina avesse prestato un valido aiuto: le due vicine avrebbero sbrigato la faccenda altrettanto bene, e anzi meglio, s'ella fosse andata dove la mandava sempre Annetta Grant.... fuori dei piedi. Ma lei questo non lo vedeva; era una delle collaboratrici; aveva partecipato al lavoro con tutto il cuore, con tutta l'anima; dovunque le era stato permesso di metter mano s'era adoperata con tutte le sue forze. Poteva dire a buon dritto: «Lo abbiamo fatto noi: la signora Sullivan, Caterina ed io.»
Una donna che non fosse stata di cuor gentile ed affettuoso come la signora Sullivan non avrebbe compreso nè considerato con simpatia il sentimento che rendeva Gertrude così bramosa d'aiutarla. Ma ella sì: perciò le aveva assegnato parecchi piccoli servizi, e la bimba s'era applicata a disimpegnarsene, con un giubilo che nessun favore, nessun dono largitole avrebbe potuto farle provare.
Ella condusse True in giro per la camera, mostrandogli come la brava signora avesse giudiziosamente e ingegnosamente approfittato dello spazio nella disposizione dei mobili. Il letto, posto entro una nicchia del muro abbastanza larga e fonda da contenerlo, lasciava libera l'intera area quadrata della quale, dichiarò egli, era stato fatto un vero salotto. Stentava a credere che metà delle sue masserizie non fosse svanita in aria, così incomprensibile era per lui che si potesse avvantaggiarsi di tanto posto e tante comodità con un po' di sistema e d'ordine.
Ma il suo stupore e il gaudio di Gertrude salirono all'apice quando ella lo fece entrare nell'antico stanzino del ciarpame trasformato in una buona e bella cameretta.
— Affemmia! Affemmia!... —
Il vecchio True non trovava altre parole. Andò a sedere accanto alla stufa, lustra che pareva nuova come quella della signora Sullivan, affermava Gertrude, si stropicciò le mani, ghiacce dall'essere state lungamente esposte al gelo di quella sera invernale, le tese verso il fuoco, e abbracciò in un solo sguardo la sua casa rinnovellata e la sua piccola massaia, la quale, seguendo le accurate indicazioni datele dall'amorevole vicina, si preparava ad apparecchiare la tavola e arrostire il pane per la cena. Ritta sopra una seggiola prendeva le tazze e i piattini di fra le file regolari dei piatti rilucenti nella credenza a tre angoli, dopo aver deposto sul palchetto inferiore, a cui poteva arrivare dal suolo, il vassoio contenente le fette di pane fini e lisce che la signora Sullivan aveva avuto la previdenza di tagliare per lei.
Egli seguì con gli occhi le sue mosse, per due o tre minuti, poi s'abbandonò a un breve soliloquio:
— La signora Sullivan è una gran brava donna, quest'è certo, e la mia casa è adesso una vera casa, e Gertrude va diventando la pupilla de' miei occhi, e io sono felice come.... —