Читать книгу Il lampionaio - Maria S. Cummins - Страница 16
XIV.
ОглавлениеSe peso egual di tema e di speranza
Tiene in forse l'evento, io, per natura
Sempre a sperar più che a temere inclino.
Comus.
Era questa una prova non conosciuta fino allora da Guglielmo, e la più dura per lui a sostenersi. Eppure la sostenne, e strenuamente: nascose le più aspre sue lotte alla madre ansiosa, al nonno scorato, e con virile risoluzione sperò contro la speranza, Gertrude era adesso il suo maggior conforto. A lei confidava le sue pene, e quantunque non fosse che una fanciulletta, ella sapeva essere una mirabile consolatrice. Presentandogli sempre le cose nella luce più favorevole, predicendo un domani più fortunato, faceva molto per ravvivare la sua fiducia, per fortificare il suo proposito. Dotata d'uno spirito pronto, sagace, osservatore, ella vedeva, assai meglio che non sogliano i fanciulli, le diverse vie per cui poteva esser condotta a termine una faccenda; e spesso dava a Guglielmo utili consigli di cui egli volentieri approfittava. Un giorno gli domandò se non avesse mai pensato a ricorrere ad una agenzia d'informazioni. Egli infatti non ci aveva pensato, e se ne maravigliò seco stesso. Lo fece senza indugio. Gli furono date lusinghiere speranze che per qualche tempo lo rianimarono, ma riuscirono fallaci. E oramai cominciava a disperare, quando gli cadde sott'occhio un annunzio in un giornale che parve offrirgli una probabilità di buon successo. Lo mostrò a Gertrude. Era proprio il fatto suo. Non aveva che da presentarsi. Si chiedeva appunto un ragazzo come lui: quindici anni, svegliato, capace, fidatissimo, disposto ad entrare come socio nella ditta, dopo acquistata la necessaria pratica degli affari. Ella era sicura che nessuno poteva meglio di Guglielmo convenire al richiedente.
Tanto n'era sicura, che la mattina appresso Guglielmo si presentò al recapito indicato, franco e fiducioso come mai per l'innanzi. Il principale, che aveva l'aria d'un uomo assai fine e scaltro, lo fissò con uno sguardo penetrante, lo tempestò di domande, lo sconcertò manifestando qualche dubbio sulla sua capacità e la sua onestà; e dopo averlo fatto discorrere un pezzo, concluse col dichiarargli che anche nel migliore dei casi e con le più valide raccomandazioni, egli non poteva accettare se non un giovanetto la cui famiglia acconsentisse a interessarlo negli affari della Casa investendovi per conto suo una piccola somma.
Questa condizione chiudeva a Guglielmo l'adito a quel posto, quando pure l'uomo gli fosse piaciuto: ma non gli piaceva punto, perchè sentiva in cuor suo ch'era un furfante o giù di lì.
Finora egli non s'era mai perduto d'animo; ma quest'ultimo disinganno l'avvilì per modo che, ritornato a casa, gli mancò il coraggio di trovarsi faccia a faccia con sua madre. Entrò dunque direttamente nella camera di True.
Era la vigilia di Natale. Dagli sportelli aperti della stufa il riverbero d'un bel fuoco di carbone veniva a confondersi coi riflessi del tramonto in una luce purpurea che rischiarava fievolmente la stanza.
Guglielmo trovò Gertrude sola ed occupata a preparare una certa focaccia per il tè, la quale era uno dei pochi prodotti dell'arte culinaria in cui fosse giunta a farsi onore. Ella giusto usciva dalla dispensa con in mano un ramaiuolo colmo di farina, quando lo vide entrare. Egli gettò il suo berretto sulla panca e sedette alla tavola nascondendo il volto tra le palme, con un atto di sconforto che le fece subito indovinare la nuova disfatta patita dal povero ragazzo nella sua lotta contro l'avversa fortuna. Era tanto contrario all'indole di Guglielmo l'entrare così senza dir parola, tanto strano vedere quella radiosa testa giovanile curvarsi sotto il peso del dolore, quel corpo agile e gagliardo accasciarsi, come fosse d'un tratto invecchiato, ch'ella comprese che il valoroso suo cuore cadeva infine vinto.
Posò il ramaiuolo, e pian piano venne a lui, gli toccò un braccio, alzandogli in faccia i grandi occhi ansiosi. La compassione ch'egli sentì nella timida carezza, nello sguardo amoroso, gli diede l'ultimo crollo. Chinò la faccia sulla tavola, e un momento dopo Gertrude udì uno scoppio d'angosciosi singhiozzi che si ripercotevano ad uno ad uno nel più profondo dell'anima sua. Ella piangeva spesso e le pareva una cosa naturale: ma Guglielmo, il gaio, l'animoso Guglielmo, non l'aveva veduto pianger mai: credeva ch'egli non sapesse piangere. Si arrampicò sulla seggiola del giovanetto e cingendogli il collo con le braccia mormorò:
— Io non mi rammaricherei di non averlo ottenuto quel posto: credo che non sia un posto buono.
— Neppur io lo credo; — disse egli sollevando la testa — ma come fare? Non ne trovo nessuno, e non posso star qui senza far nulla.
— Noi siamo ben contenti d'averti a casa.
— Oh, essere a casa è una gran bella cosa.... Godevo di venirci quando stavo col signor Bray, e guadagnavo un po' di quattrini, e sentivo che tutti mi vedevano con piacere....
— Ma anche adesso tutti ti vedono con piacere.
— Non però come allora, — replicò Guglielmo alquanto impazientito. — La mamma mi guarda sempre come se s'aspettasse l'annunzio che finalmente ho trovato un'occupazione; il nonno ha l'aria di pensare ch'io non sarò mai buono a nulla.... Ah, proprio nel momento che cominciavo a guadagnare e ad aiutarli, mi tocca la disgrazia ti perdere il mio impiego!
— Non è colpa tua se il signor Bray è morto; tu non potevi mica guarirlo. Mi sembra impossibile che il signor Cooper ti biasimi perchè ora sei disoccupato....
— Non mi biasima, no.... Ma se tu fossi ne' miei panni proveresti quello che provo io nel vederlo là, seduto nella sua poltrona, tutta la sera, gemendo e borbottando, e guardandomi come se volesse dire: «A cagion tua mi dispero».... Egli pensa che il mondo è tristo, che lui non ci ha mai avuto sorte, e che così non nè avrò io....
— Tu ne avrai.... Sono sicura che sarai ricco un giorno. Allora sì che il nonno rimarrà stupito!
— Gertrude, tu sei una cara bambina.... Hai fede in me.... Se mai divento ricco, ti prometto di farti partecipare alla mia fortuna. Ahimè, — soggiunse, scorato — non è tanto facile! Io m'immaginavo che quando sarei grande, guadagnerei subito dimolto denaro.... Invece veggo che ce ne vuole per arrivarci! —
Chinò di nuovo il capo, volle nascondersi la faccia tra le mani; ma Gertrude gliele afferrò e non gli permise d'abbandonarsi alla malinconia.
— Via, Guglielmo, — ella disse — non fissarti più in questo pensiero. Non c'è chi non abbia i suoi dispiaceri, ma tutti li superano, infine. Forse la settimana ventura ti troverai in una bottega anche meglio che quella del signor Bray, e sarai più contento di prima. Sai, — fece, per mutare discorso, tattica che i fanciulli sanno usare quanto gli adulti — oggi compiono due anni da che sono venuta qui.
— Davvero? Lo zio True ti portò a casa sua la vigilia di Natale?
— Precisamente.
— Vale a dire che Santo Claus portò te verso le buone cose, invece di portartele, non è vero? —
Gertrude non sapeva nulla di Santo Claus, il grande amico dei bambini; e Guglielmo, il quale aveva ultimamente letto la leggenda del buon vecchio che la vigilia di Natale distribuisce balocchi a piene mani, prese a raccontargliela, per esteso.
Quand'ella vide che, infervorato nella sua storia, egli si distraeva senza volerlo, ritornò alla focaccia, pur non cessando d'ascoltarlo con attenzione mentre lavorava la pasta. Giusto nell'atto che stava infornandola, Guglielmo fece punto. Inginocchiata davanti alla stufa, aprendo e chiudendo macchinalmente lo sportello del forno, ella rimaneva pensosa, con un sì vivo sfavillìo negli occhi, che egli le domandò:
— Gertrudina, perchè hai cotest'aria maliziosetta?
— Pensavo — ella rispose — che Santo Claus potrebbe forse venire per te, stanotte; giacchè viene per chi ha bisogno di qualche cosa e porta ai bravi figliuoli ciò che desiderano, spero che ti porti un buon posto dove tu abbia occasione di farti ricco.
— Sicuro! — disse Guglielmo. — Mi ficcherà nel suo sacco, e mi strascinerà fino a un palazzo per offrirmi come dono natalizio a un vecchio Creso, il quale mi regalerà un patrimonio, in contraccambio.... Ci fo assegnamento, perchè se non mi capita una fortuna prima di capo d'anno, devo darmi per disperato. —
In quella i due ragazzi furono interrotti da Trueman che entrò portando trionfalmente un magnifico tacchino, regalo del signor Graham, e un libro per Gertrude, regalo d'Emilia.
— Oh, non è curioso? — esclamò la bambina. — Guglielmo diceva appunto che voi, zio True, siete il mio Santo Claus.... Pare anche a me, davvero! —
Così parlando apriva il libro. E nel frontespizio le si presentò il ritratto del leggendario personaggio. Ella proruppe, giubilante:
— O, guarda, guarda, Guglielmo, come gli somiglia! È tutto lui! C'è il berretto di pelliccia, e la pipa, e il buon viso ridente proprio come il suo.... Ah, zio True, se soltanto aveste invece del tacchino e della lanterna un sacco di balocchi in ispalla, sareste un Santo Claus perfetto!... A proposito, per Guglielmo non avete nulla?
— Sì, una cosuccia... Ma temo che non gliene importerà molto. Non è che un bigliettino.
— Un biglietto per me? — domandò il ragazzo. — Di chi può essere?
— Questo non so dirtelo, — rispose il lampionaio frugando nelle capaci sue tasche. — Svoltavo il canto quando un uomo m'ha fermato domandandomi dove abita la signora Sullivan. Io gli indico la casa. Allora, veduto che ci abito anch'io, mi consegna questo pezzetto di carta, e mi prega di rimetterlo al signorino Guglielmo Sullivan, che, m'immagino, siete voi. —
Guglielmo prese con una mano il biglietto e con l'altra l'accenditoio di True, e sollevando il foglio all'altezza del lume, lesse forte:
«R. H. Clinton desidera vedere Guglielmo Sullivan giovedì mattina, tra le dieci e le undici, al numero 13. Panchina....»
Egli era sbalordito.
— Che vorrà mai? — disse. — Io non conosco nessuno di questo nome.
— So io chi è, — fece True. — È il signore che abita nella grande casa di pietra, in via ***; un riccone. Il recapito dato nel biglietto è proprio il suo banco....
— Che? Il babbo di quei bellissimi bambini che vedevamo spesso alla finestra?
— Precisamente.
— O che cosa può desiderare da me?
— Probabilmente ha bisogno de' tuoi servizi, — disse il vecchio.
— Ma dunque è un posto! — gridò Gertrude. — E un posto buono! Santo Claus è venuto e te l'ha portato.... Lo dicevo io! Oh, come sono contenta! —
Guglielmo tuttavia non sapeva se dovesse rallegrarsi o no. Gli sembrava assai strano quel messaggio da parte d'un signore che non lo conosceva affatto. Certo sarebbe stato naturale sperare con la sua piccola amica e con lo zio True che fosse l'alba d'una nuova fortuna; ma egli aveva ragioni particolari, da loro ignorate, per credere che di questa fortuna, se pur gli si offriva, non avrebbe potuto approfittare. E però si fece promettere da entrambi di non far cenno della cosa nè a sua madre, nè al signor Cooper.
Il giovedì, ch'era il giorno dopo il Natale, egli si presentò puntualmente nel luogo indicatogli. Il signor Clinton, uomo di maniere finissime e d'aspetto benevolo, l'accolse con molta gentilezza, gli diresse poche domande, non chiese nemmeno se avesse raccomandazioni, o attestati del suo antico principale, ma senz'altro gli disse che aveva bisogno d'un giovanetto per le mansioni di secondo commesso nel suo banco, e gli offerse il posto. Guglielmo esitò, perchè quantunque l'offerta fosse molto vantaggiosa per il suo avvenire, non era accettabile per il presente, se, come pareva, il signor Clinton non gli assegnava uno stipendio. Questi, vedendolo titubante, gli domandò:
— Forse la mia proposta non vi conviene, o avete già qualche impegno?
— No, — rispose egli prontamente. — Mi dimostrate una gran bontà onorando me, estraneo, di tanta fiducia da essere disposto ad ammettermi nella vostra Casa, e la proposta mi giunge gradita quanto inaspettata; ma io, finora, avevo servito in un negozio di spaccio al minuto, dove percepivo un regolare salario sul quale mia madre e mio nonno facevano conto.... Certo, preferirei di gran lunga un banco quale il vostro, e credo, signore, che imparerei presto a rendermi utile: se non che, lo so, molti giovanetti di famiglie ricche si stimerebbero fortunatissimi d'essere impiegati da voi senza alcuna rimunerazione, e quindi io non potrei sperare uno stipendio, almeno per i primi anni. Comprendo bene che in capo a un certo tempo mi troverei compensato ad usura dalle cognizioni acquistate nella pratica degli affari mercantili: disgraziatamente non sono in istato di procurarmi questo vantaggio, più che di proseguire gli studi. —
Il signor Clinton sorrise.
— Come mai, giovanotto, siete così informato di queste cose?
— Ho inteso dire da parecchi ragazzi miei condiscepoli, ora commessi in case commerciali, che non ricevono paga, e ho sempre giudicato equo cotesto trattamento; ma per tale ragione appunto mi sono sentito in obbligo di contentarmi del posto che occupavo in una farmacia, perchè sebbene non fosse di mio gusto, mi dava modo di bastare a me stesso e di venire in aiuto a mia madre ch'è vedova, e a mio nonno ch'è vecchio e povero.
— Il vostro nonno, chi è?...
— Il signor Cooper, sagrestano nella chiesa del signor Arnold.
— Ah sì, lo conosco! — disse il signor Clinton; e dopo una pausa soggiunse: — Quello che avete detto, Guglielmo, è esattissimo: non è nostro costume assegnare un qualsiasi stipendio ai nostri giovani commessi, e ciò nonostante siamo tempestati di profferte; ma ho avuto ottime informazioni sul conto vostro, ragazzo mio (non vi dirò da qual fonte per quanto io vegga la vostra curiosità), e inoltre voi mi piacete: credo che mi servirete fedelmente. Ditemi dunque che cosa avevate dal signor Bray: io vi darò altrettanto il primo anno, e in seguito andrò aumentando la vostra paga, se lo meriterete. Siete contento? Allora potete entrare nel mio banco al principio del gennaio prossimo. —
Guglielmo lo ringraziò il più concisamente possibile, e s'affrettò ad accomiatarsi.
Il commesso principale, chino su' suoi registri, ascoltava il dialogo, e pensò che il ragazzo avrebbe dovuto esprimere maggiore riconoscenza dinanzi a una così insolita generosità. Ma il negoziante, osservando Guglielmo mentre gli parlava, ben aveva scorto nei mutamenti del suo viso il succedersi della maraviglia allo scoramento, e della speranza, della gioia alla maraviglia; una gioia piena di gratitudine sincera e così profonda che, egli lo comprendeva, non trovava parole per manifestarsi. E s'era ricordato del tempo in cui, giovanetto e figlio unico di una povera vedova, egli era venuto solo nella grande città, in cerca d'un impiego, e trovatolo dopo lunghi stenti, aveva subito scritto alla mamma per dirle che sperava di poter presto guadagnare abbastanza da provvedere a sè ed a lei.
Da vent'anni cresceva l'erba sulla tomba ove ella dormiva l'eterno sonno, laggiù nella lontana campagna natia, e la faccia del negoziante era solcata dalle rughe che vi avevano impresse i pensieri e le cure; ma quando, ritornato a sedere, egli tracciò quasi inconsciamente su un foglio bianco, con la penna asciutta, le parole: «Cara mamma», ella rivisse per lui e rivisse egli stesso nella propria giovinezza. Quelle parole invisibili incominciavano la lettera che le recava la buona novella.
No, Guglielmo non era ingrato, altrimenti non avrebbe destato nel signor Clinton i ricordi del tempo in cui il suo cuore provava le stesse commozioni.
E tutte le madri che hanno pianto e pregato e ringraziato Dio ricevendo simili notizie da figliuoli teneramente amati, possono intendere qual fosse la felicità della buona piccola signora Sullivan quando Guglielmo le annunziò l'insperata fortuna. Il signor Cooper e Gertrude hanno pure i loro prototipi in tanti vecchi ne' cui occhi smorti e stanchi si riaccende il bagliore della speranza, che sebbene sia stata fallace per essi, vagheggiano ancora per i nipotini; in tante sorelline superbe e liete di vedere il nobile fratello apprezzato alfine dagli altri come fu sempre da loro. Nè in tali occasioni deve mancare l'amico cordiale che, come il bravo True, entra d'improvviso e battendo una spalla al ragazzo esclama:
— Avevo ragione, io? Non c'era bisogno che si rammaricassero tanto, i tuoi.... Glielo dicevo sempre al nonno che le cose si sarebbero accomodate, e bene! —
Ma un punto rimaneva misterioso. Da chi il signor Clinton aveva udito parlare di Guglielmo? La signora Sullivan passò in rivista le sue non numerose conoscenze, e fece mille supposizioni, una più inverosimile dell'altra. E però, visto che il congetturare non serviva a nulla, finirono con l'attribuire, come Gertrude, tutto il merito a Santo Claus.