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1.2.2. I primi segnali di una identità svizzera

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Negli ultimi decenni dell’ancien régime, anche nel territorio delle Prealpi lombarde si manifesta in alcuni individui una crescente sensibilità nei confronti dell’identità svizzera. In rapporto alle denominazioni osservate finora, è rilevante l’intensificarsi della specificazione di appartenenza allo «stato degli Svizzeri», che prima appariva molto raramente.1

Alcune occorrenze in questo senso sono tuttavia testimoniate anche nei secoli precedenti. Fra le carte estensi della Trivulziana, ad esempio, è conservata una lettera del 7 marzo 1602 scritta da Cesare d’Ested’EsteCesare al marchese Carlo Filiberto d’Ested’EsteCarlo Filiberto nella quale è raccomandato per alcuni uffici di diplomazia il locarnese Francesco DonadaDonadaFrancesco (o Donata).2 Il DonadaDonadaFrancesco, di modeste origini, riuscì a imporsi nei baliaggi italiani e all’estero grazie alle sue doti di commerciante e di mediatore. A tale proposito fu coinvolto, lo documenta la lettera che sotto si trascrive, nel patteggio per il feudo ferrarese lasciato senza eredi dopo la morte di Alfonso II d’Ested’EsteAlfonso II. Cesare d’Ested’EsteCesare, duca di Modena e nipote di Alfonso II, tentò di riottenere il ducato di Ferrara e per farlo inviò alcuni ambasciatori alla ricerca di un sostegno diplomatico. Tra questi il locarnese, che fu mandato come ambasciatore straordinario presso i Cantoni svizzeri.3 Benché ottenne la cittadinanza milanese nel 1589 e il prestigioso titolo di conte palatino nel 1594 dal duca di Ferrara, nella missiva del 1602 DonadaDonadaFrancesco è menzionato con riferimento alle sue origini “svizzere”:

Ill.mo et Ecc.mo Signore, Il Conte Francesco Donata Suizero, ch’era servitore amato dal Sig.r Duca Alfonso di gloriosa memoria, et è amico mio strettissimo, mi ricerca come V. Ecc.za vedrà dall’inclusa copia di lettera, ch’egli mi scrive, à raccomandarle un suo interesse pecuniaro, nel quale spera di poter dalla mano di lei, persona amorevole, ricevere grand’aiuto […].4

In questo caso, tuttavia, il riferimento entico si giustifica probabilmente in ragione dell’ambasceria che in quegli anni DonadaDonadaFrancesco stava svolgendo presso gli Svizzeri. Va tuttavia segnalato che prima e dopo questo episodio Francesco condusse rapporti diplomatici di pari importanza anche in svariate regioni d’Italia, per esempio a Venezia.

Nel secolo seguente, le testimonianze di lealismo nei confronti degli svizzeri si intensificano anche in contesto privato. Così, ad esempio, in una lettera da Praga del 5 luglio 1725 spedita a Giovanni OldelliOldelliGiovanni, lo stuccatore Giovan Antonio OldelliOldelliGiovan Antonio definisce sé stesso e un suo conterraneo, Bernardo BullaBullaBernardo di Muggio, entrato nelle grazie dell’imperatore per meriti artistici, come svizzeri:

Si trova qua a Pragha un signore di Mugio stato povero homo, suo cognome Bernardo BullaBullaBernardo, adeso fato per sua abilità nobile del inperatore et Consigliere et Senatore, dimandato signore de Bolenario, quale questo fa gran honore a noi tutti sviceri et io ho veduto medesimo in casa sua reghalli mandatelli del inperatore proprio, che vi son Prencipi che non hanno mai potuto haver queste gratie che lui hà, il qualle mi ha promiso asistermi con l’ocasione che venise a Mindrisio ne potrà far mentione, perché lui ha a casa suo Padre et fratello, questi poi corisponderano et mi gioverà, et ho visto litere che in confidenza mi ha mostrato del inperatore a lui scritelli et queste non sono favolle, et lui ha già qualche informatione di nostra casa, non costa niente e mi può giovare.5

Spostando l’indagine cronologicamente più in avanti, nel clima dei sovvertimenti politici che portarono alla Repubblica elvetica, conseguente alla pace di Campoformio dell’ottobre del 1797, si incontra un esempio riassuntivo della gerarchia identitaria discussa nelle pagine precedenti. Nel libro di memorie manoscritto da Pietro FrancaFrancaPietro, un fonditore attivo a Locarno e ricordato per le numerose campane fabbricate, si legge la seguente intestazione, nella quale l’artigiano si riconosce in primo luogo come abitante di Mergoscia (in Valle Verzasca), poi come fedele attinente alla pieve di Locarno, situata nella diocesi di Como, e da ultimo fa riferimento alla dimensione politica:

Libro di fornace, castelii e di tutti gli tuoni delle campane e tutte le vere regole che si à di talle professione fatto et essercitato da me Pietro FrancaFrancaPietro di Mergosia pieve di Locarno, diocesi di Como, stato Suizero, anno 1788 a 17 marzo.6

Ancora più marcato è lo sviluppo identitario, inteso come rivendicazione di appartenenza filo-elvetica, documentato nei Canti militari per la rassegna generale di Val-Brenna scritti dal presbitero Vincenzo DalbertiDalbertiVincenzo, che fu Segretario di Stato del Cantone Ticino e sagace mediatore con la Confederazione per gli interessi della Svizzera di lingua italiana, e dedicati nel 1796 al capitano bleniese Pietro Camillo Ema.EmaPietro Camillo Il tenore patriottico dell’opuscolo, chiaro sin dall’esergo oraziano «Dulce, & decorum est pro Patria mori», si palesa in particolare nell’esortazione rivolta ai soldati bleniesi, chiamati a dimostrare con le armi la loro elveticità; forse anche in riferimento alla prestigiosa tradizione militare svizzera. L’ultima strofetta dell’ode Giovani generosi, al Brenno in riva legge infatti:

Al Campo dunque, al Campo! Il noto carme

Delle trombe quest’è; Brennesi andiamo

A provar, che valenti in trattar l’arme

SVIZZERI siamo.7

Infine, anche in anni di poco successivi al crollo della vecchia Confederazione, trasformata sulla base del modello francese nella Repubblica Elvetica, uno stato nazionale unitario con lingue ufficiali il tedesco, il francese e l’italiano, è possibile documentare nel Cantone di Lugano ulteriori manifestazioni del progressivo consolidamento di un’identità svizzera. In una cronaca dello scrittore tedesco Christian Gottlieb HoelderHoelderChristian Gottlieb (1776-1847), relativa a un suo viaggio che lo portò fino a Milano nell’estate 1801, si legge un episodio significativo a questo proposito. Nel tragitto da Lugano verso la città di Milano, il cronista scrive di aver scambiato alcuni passanti per cisalpini, ovvero per abitanti della Repubblica Cisalpina, il territorio politico-amministrativo costituito nel 1797 per volontà di NapoleoneBonaparteNapoleone e del Direttorio francese. Questi, alla domanda, orgogliosi e sprezzanti risposero di essere svizzeri: «Wir trafen auf unsrem Weg von Como hiher mehreremal Leute an, welche wir fragten, ob sie Cisalpiner wären. Unwilling über unsre Frage antworteten sie mit Stolz: Siamo Suizzeri!».8 In qualche modo, di fatto, anche nelle comunità lombardo-alpine si inculcarono dunque le idee romantiche, legate all’affermazione del concetto di nazione e dell’individualità nazionale, che nella Repubblica elvetica potevano orientarsi unicamente in direzione del quadro politico svizzero.

Queste numerate testimonianze documentano una tendenza irrobustita nei decenni immediatamente precedenti all’Atto di Mediazione napoleonico, che riorganizzò la Confederazione: una propensione che risulta comprensibile e spiegabile anche sul piano storico. Nel corso dei secoli, infatti, si svilupparono tra la popolazione dei baliaggi italiani e quella dei Cantoni confederati delle relazioni amministrative, commerciali e di conseguenza personali, che hanno in misura e con tempi diversi consolidato i rapporti fra queste terre lombarde e le comunità transalpine. Le fonti citate documentano il lento evolvere del sentimento patriottico: dalla totale estraneità verso la progressiva identificazione. Le rivendicazioni di appartenenza settecentesche bilanciano, se vogliamo, alcune manifestazioni di animosità e di insofferenza da parte della popolazione dei baliaggi nei confronti del regime svizzero attestate nei secoli precedenti, ma sono ben lontane dal testimoniare un reale sviluppo identitario filo-elvetico, per il quale si dovrà attendere ancora molto.9 E anzi, un sentimento di identità collettiva era assente nel territorio della Lombardia svizzera. Nonostante la condivisione secolare del regime amministrativo svizzero (sia pur conosciuto autonomamente, per reggenze indipendenti), le condizioni sociali ed economiche analoghe e alcuni naturali scambi reciproci tra baliaggi, valli e regioni, queste terre rimasero sostanzialmente estranee fra loro e non solidali.10 La mancanza di un’identità forte all’infuori di quella radicata nella patria comunale, o tutt’al più nella giurisdizione ecclesiastica, è percepibile e si manifesta anche negli usi etnici e geonimici sino all’istituzione del Cantone. E proprio l’assenza di un sentimento comunitario, di uno spirito sovraregionale coeso, rese annosa la negoziazione di un’identità ticinese e svizzero-italiana, maturata in tempi piuttosto recenti, con alcuni decenni di ritardo sulla stabilizzazione dell’assetto cantonale moderno.

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