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1. Prima della Svizzera italiana: etnici e geonimi nei secoli XV-XVIII 1.1. La Lombardia alpina in epoca medievale

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In epoca medievale, nel periodo che precedette la conquista da parte dei Confederati dei territori prealpini che oggi formano il Cantone Ticino, il territorio della Lombardia alpina era parte integrante del Ducato di Milano.1 Già dall’Alto Medioevo, prima dell’istituzione del ducato visconteo, la città milanese è il centro economico e culturale al quale guarda la regione. Una testimonianza a proposito è offerta dal vescovo Gregorio di ToursToursGregorio di (ca. 538-594) nel decimo libro della sua Historia Francorum, nel quale descrive la solida resistenza incontrata da una colonna di Franchi giunta dai valichi alpini presso le fortificazioni di Bellinzona, allora in mano longobarda, situate nei Campi Canini.2 Nel brano, in cui è narrata la morte del duca Ollone per una ferita causata da un giavellotto che lo colpì al costato durante l’assalto, il castello è indicato come roccaforte milanese e l’area del lago sulle cui rive sorge il borgo di Lugano è ricondotta al capoluogo ambrosiano, X 3:

Quando poi si accostarono ai confini d’Italia, Audovaldo con altri sei duchi si diresse verso destra e giunse nella città di Milano. Qui organizzarono gli accampamenti tenendosi lontano, nelle campagne. Il duca Ollone, invece, che imprudentemente s’era avanzato fino a Bellinzona, piazzaforte di questa città posta nella regione dei Campi Canini, colpito al petto da un giavellotto, cadde e morì. Allorché questi uscivano fuori a far bottino per procurarsi qualcosa da mangiare, venivano sopraffatti dai Longobardi che facevano irruzione a gruppi sparsi sopra di loro in luoghi diversi. C’era infatti, all’interno del territorio della città di Milano, un lago, che chiamano Ceresio, dal quale esce un fiume piccolo ma molto profondo [il Tresa].3

Il passo situa in maniera piuttosto precisa il toponimo Campi Canini, localizzabile nei pressi della bassa valle del Ticino, nei dintorni di Bellinzona. La prima attestazione del termine è però di alcuni secoli precedente, in età tardo-antica. Nel 354 infatti lo storico romano Ammiano MarcellinoMarcellinusAmmianus (ca. 330-390), descrivendo le operazioni di difesa dei confini imperiali promosse e guidate da Costanzo IICostanzo IIFlavio Giulio (350-361), menziona questo nome di luogo nel quindicesimo dei suoi Rerum gestarum libri qui supersunt, XV 4, 1:

[…] e fu dichiarata guerra ai Lenziesi, tribù alamanna che faceva spesso incursioni per spazi sempre più vasti nei territori romani limitrofi. Uscito [da Milano] per questa spedizione, [Costanzo] giunse nella Rezia e ai campi Canini [presso Bellinzona]: esaminati a lungo i piani [da mettere in atto], sembrò conveniente e utile che lì con una parte dei soldati ›…‹ Arbizione (capo della cavalleria) lì si dirigesse con il nerbo dell’esercito costeggiando il lago di Briganzia [Lago di Costanza] con il proposito di attaccare subito i barbari.4

La testimonianza più importante relativa a questo toponimo è però trasmessa un secolo più tardi nel panegirico dell’imperatore Giulio Valerio MaggiorianoMaggiorianoGiulio Valerio (ca. 420-461), scritto in esametri da Sidonio ApollinareApollinaireSidonio (ca. 430-490) nel 457. Il testo descrive l’invasione a sud delle Alpi di novecento soldati Alemanni, che furono fermati da Burcone, un comandante dell’esercito imperiale di MaggiorianoMaggiorianoGiulio Valerio, nei dintorni dei Campi Cani. Cito il passo in questione dal Carmen V, vv. 373-377:

[…] Conscenderat Alpes

Rætorumque iugo per longa silentia ductus

Romano exierat populato trux Alamannus

perque Cani quondam dictos de nomine campos

in prædam centum nouiens dimiserat hostes.5

Le informazioni offerte da Sidonio vanno oltre la cronaca storica. Nella poesia è infatti suggerita la presunta etimologia del toponimo, che trae origine, a detta del poeta gallo-romano, dal nome di un tale Canus, probabilmente identificabile con un re o capo locale.6 Un etimo alternativo è proposto dal romanista Konrad HuberHuberKonrad, per il quale la denominazione Campi Canini potrebbe essere ricondotta al fatto che, secondo un topos divulgatosi tra i secoli V e VI, gli Alemanni combattevano camuffati con sembianze zoomorfe, mascherati da cani. Dopo la testimonianza di Ammiano MarcellinoMarcellinusAmmianus, l’uso del nome Campi Canini avrebbe allora indicato genericamente il luogo della battaglia contro gli Alemanni. Ovvero, fu impiegato da Sidonio ApollinareApollinaireSidonio e poi da Gregorio di ToursToursGregorio di – che non documentavano i fatti di persona – come topos letterario piuttosto che come precisa localizzazione toponimica, sebbene i riferimenti geografici del turense siano di norma tutt’altro che generici o imprecisi: si osservi a tale proposito quanto scrive della Tresa in chiusura al passo citato sopra.7 In ogni caso, il toponimo resistette a lungo. Nel corso del secolo XIII il nome passò, ad esempio, al convento delle Umiliate di Santa Maria di Pollegio, che compare dal 1256 con il titolo di Santa Maria di Campocanino, estendendo così il territorio dei Campi Canini a nord di Bellinzona, perlomeno fino alla Riviera.8 Il convento è indicato con questo nome anche in un atto notarile rogato da Iohannes de Zornico il 20 maggio 1318 a Pontemoranco (Iragna), e oggi conservato presso l’Archivio di Stato del Cantone Ticino. Sul documento, tra altre persone, è nominato un tale «d.no presbytero michaeli ministro ospitalis ecclesie sancte marie de Campo canino de pollezio».9 Infine, verso la metà del secolo successivo, il toponimo si ritrova in una pergamena del 2 gennaio 1440 relativa a una permuta di terreni situati nel bellinzonese, uno dei quali è detto giacente «in terratoro de Zubiascho ubi dicitur in Campo canino».10

Tornando ai rapporti di quest’area col milanese, lo stretto legame del territorio prealpino con la regione lombarda e con il centro cittadino di Milano è ribadito e documentato in varie fonti. Fra esse va incluso un passo della cronaca dell’inglese Adamo da UskUskAdam de (ca. 1352-1430). Nel suo resoconto, Adamo descrive l’itinerario che da Londra lo conduce verso l’Italia con un rapido elenco di toponimi, che l’autore interrompe per soffermarsi sul difficile passaggio del Monte Gottardo, avvenuto nel mese di marzo del 1401. Superate le Alpi Lepontine il cronista giunge nel borgo di Bellinzona, situato come naturale nello spazio geografico e culturale della Lombardia:

Quid mora? XI. kalendas Marcii, anno Domini 1401, presencium compilator, ut, Deo disponente, proposuit, Londoniis apud Byllyngesgate navem ingressus, prospero flante vento et mari sulcato, in Barbancia terra satis votiva, apun Berwk-super-sabulum, suos gressus versus Romam dirigendo, infra diem naturalem terre applicuit. Et extunc per Dyst, Mestryk, Aquas Grani, Coloniam, Bunnam, Confluenciam, Wormeciam, Spiram, Argentinam, Brisacam, Basiliam, Luceriem et ejus mirabilem lacum, Bernam [sic: Uraniam?], motem Godardi et ejus cacuminis hermitogium, in caruca per bovem tractus, nivis frigoribus quasi peremptus, oculis velatis, ne loci discriminia conspiceret, ad Belsonam [Bellinzona] in Lumbardia Palmarum devenit vigilia.11

Coerentemente con quanto documentato in questo testo, anche i riferimenti agli abitanti del territorio menzionano in alcuni casi la provenienza lombarda, così come il glottonimo analogo definiva fra il basso Medioevo e prima la età moderna la parlata della regione, la «lingua nostra».12 Lo testimonia, ad esempio, una lettera scritta dal commissario Carlo da Cremona ai duchi di Milano l’8 novembre del 1478, ovvero pochi mesi prima della battaglia di Giornico, in un momento di forte tensione tra gli svizzeri e i milanesi. Nella missiva si avvisa il Duca Gian Galeazzo Maria SforzaSforzaGian Galeazzo Maria (1469-1494) che un tale Laurenzio del FurnoFurnoLaurenzio del, conoscitore della lingua lombarda e di quella tedesca, fu inviato a Pollegio per un colloquio con il balivo della Leventina, al fine di scoprire cosa stava capitando in quelle terre. Dopodiché, Laurenzio è mandato a Milano per riferire le informazioni ottenute ai sovrani:

Illustrissimi principes et excellentissimi domini domini nostri singularissimi, humilima cum recomendatione. Noverint excellentie prelibatarum dominationum vestrarum quod trasmissimus Laurentium del Furno, habitatorem huius terre, harum exhibitorem, qui habet linguam lombardam et theutonicham, pro isto motu Svyziorum ad locum Polezii, in confinibus vallis pro magnificis dominis de Liga confederatorum, ut certiores efficeremus de isto motu ipsorum Svyzerorum, si quicquam de certo habere poterat, qui nobis quod habere et intelligere potuit, retulit […].13

Attestazioni analoghe si trovano inoltre nelle carte delle tesorerie papali di Roma relative al cantiere di San Pietro, dove erano impiegati numerosi artigiani settentrionali. Fra queste, nel periodo del pontificato di Nicolò VParentuccelli (Nicolò V)Tommaso, che diede un notevole impulso all’attività edilizia romana, i registri menzionano, con esplicito riferimento alla sua origine lombarda, un debito contratto nei confronti di un architetto di Lugano per la costruzione di un palazzo presso le sorgive termali di Viterbo:

Magistro Stefano de Beltramo de Doxi da Lughano muratore lombardo de’avere pagati a lui a dì 17 de magio del dicto anno 1454 per parte di pagamenti del lauoro per lui facto e da farsi in nela casa che se fa de comandamento di Nostro Signore a li bagni de la gropta et crutiata de Viterbo ducato d’oro di camera 600.14

Non diversamente, fra le carte dell’Archivio Segreto Vaticano si legge un mandato di pagamento in favore di un tale «Domenico de LucarnoDomenico da Locarno [Locarno], lombardo, calcararo», con analogo riferimento etnico.15 Questo mastro, attivo a Roma tra il 1463 e il 1469, è identificato da alcuni studiosi con il Domenico dal Lago di LuganoDomenico dal Lago di Lugano menzionato quale allievo di BrunelleschiBrunelleschiFilippo nel Trattato di architettura del FilareteFilareteAntonio di Pietro Averlino (detto il), dedicato a Francesco SforzaSforzaFrancesco (1401-1466).16 Il trattato, composto presumibilmente tra gli ultimi anni cinquanta e i primi sessanta del secolo XV, è strutturato in forma di un ipotetico dialogo tra l’architetto e il duca attorno alla progettazione della città ideale, la Sforzinda.17 Il mastro luganese è nominato nel sesto libro dell’opera, quando FilareteFilareteAntonio di Pietro Averlino (detto il) discute della progettazione e preparazione delle sculture celebranti le battaglie di Francesco SforzaSforzaFrancesco poste all’entrata del castello, e della necessità di convocare maestri da varie regioni per compiere il lavoro in maniera adeguata:

Ancora dove sentì che fussino buoni maestri di scolpire mandamo: a Siena, dove era uno da Cortona, il quale aveva nome Urbano […]. Venneci ancora Domenico del Lago di Logano, discepolo di Pippo di ser Brunellesco; uno Geremia da Cremona, il quale fece di bronzo certe cose benissimo; uno di Schiavona, il quale era bonissimo scultore; uno catelano.18

Diversamente dai casi precedenti, la denominazione impiegata nel trattato usa un riferimento geografico più ampio del consueto rimando municipale, come talvolta accade per le vallate maggiori della regione, richiamate in sostituzione di un toponimo che probabilmente doveva apparire o risultare inutile in termini orientativi anche a poca distanza dallo stesso.

In questo secolo, come nei seguenti, si recuperano svariate attestazioni affini, in prevalenza riferite ai due maggiori laghi, il Verbano e il Ceresio, e alle contigue vallate cisalpine. Ad esempio, nel 1473, per celebrare la cessazione di una pestilenza, la popolazione luganese decise con un voto pubblico di offrire una cappella alla Madonna delle Grazie nella cattedrale di San Lorenzo.19 La sua costruzione fu completata nel 1494, lo testimonia la lapide posta a lato della cappella, ricostruita in stile barocco tra il 1771 e il 1774, sulla quale si legge un’iscrizione che documenta l’uso del riferimento geografico relativo alla Valle di Lugano. Una denominazione oggi desueta, riferibile al territorio che si estende dal Camoghè al lago Ceresio, seguendo il corso del fiume Vedeggio. Trascrivo di seguito l’epigrafe:

M. CD. XC. IV. DIE XXII MAJI HORA XVI

FVNDATA FVIT HAEC CAPPELLA

SVB VOCABVLO

S. MARIAE GRATIARVM

PROPTER DEVOTIONEM IBIDEM ALIAS INCEPTAM

ANNO M. CD. LXXIII. DIE III MAJI

PROPTER PESTILENTIAM TVNC REGNANTEM IN VALLE LVGANI

CESSAVIT FACTA DICTA DEVOTIONE20

Dieci anni prima, in un contratto rogato l’11 maggio 1484 da tale «Petrus de Muralto», che regolamentava i lavori del falegname e muratore Lorenzo da MassagnoLorenzo da Massagno presso le proprietà della diocesi a Sorengo, si legge una denominazione analoga. Nella pergamena conservata presso l’Archivio di Lugano è vergata la seguente lista di testimoni: «ser Donato de la Ture Mendrixii, habitatore Mendrixii, filio condam domini Gasparis, Francischo de la Barlina, vallis Lugani, filio condam magistri Iacobi, et Iacobo de Miliera, dicte vallis, filio condam Antonii».21

Al tempo, in italiano e nelle altre lingue romanze o germaniche, le denominazioni etniche più ricorrenti facevano riferimento, come noto, alla dimensione di una piccola patria, ovvero a un sentimento di appartenenza comunale. In alcune situazioni, tuttavia, a questa si somma o si sostituisce il più leggibile riferimento alle podestà parrocchiali e vescovili: nel caso delle terre prealpine, dunque, alle pievi e alle diocesi di Como e di Milano. A questo proposito, una testimonianza significativa si trova scolpita nel Duomo di Trento. Sul paramento del coro è collocata una lastra sulla quale si legge un’iscrizione sepolcrale per l’architetto Adamo da ArognoAdamo da Arogno, il primo di una successione di artigiani provenienti dal piccolo paese lombardo attivi nel cantiere trentino; tra cui perlomeno Enrico di Fono da ArognoEnrico di Fono da Arogno, suo figlio ZanibonoZanibono da Arogno e il nipote di Adamo, suo omonimo.22 Nell’iscrizione, collocata verso la fine del secolo XIII, è ricordato l’ultimo giorno del febbraio 1212 come la data d’inizio della ricostruzione del Duomo, avvenuta per disposizione del principe vescovo Friedrich von WangenWangenFriedrich von (1207-1218). L’epigrafe che qui trascrivo, un’indubbia testimonianza del prestigio ottenuto dalla famiglia di Arogno nel cantiere del Duomo, identifica il mastro della Val Mara, oltre che sulla base della provenienza comunale, facendo menzione della giurisdizione diocesana del suo borgo d’origine:

Anno domini MCCXII ultima die februarii presidente venerabile Tridentino episcopo Federico de Vanga et disponente huius ecclesie opus incepit et costruxit magister Adam de Arognio Cumane diocesis et circuitum ipse sui filii inde sui aplatici cum appendiciis intrinsece ac extrinsece istius ecclesie magisterio fabricarunt cuius et sue prolis hic subtus sepulchrum permanet orate pro eis.23

Considerando il ruolo del committente e la collocazione della scritta nell’edificio sacro, si potrebbe sospettare che quest’ultima denominazione etnica sia condizionata dal contesto. In realtà, quest’uso è ben attestato, a quest’altezza cronologica come nei secoli successivi, anche in ambienti laici. Lo si vedrà negli esempi proposti più avanti.

Benché il riferimento al borgo d’origine era certamente il più diffuso, basti pensare ai nomi dati agli artisti provenienti dalla Lombardia prealpina e attivi nei cantieri delle principali città italiane (spigolando: Mastro Pietro da CapolagoMastro Pietro da Capolago, Silvestro da MerideSilvestro da Meride, Dionisio da MendrisioDionisio da Mendrisio, Sebastiano da LuganoSebastiano da Lugano e via dicendo), e nonostante il riferimento diocesano potesse integrarlo o sostituirlo, spesso l’etnico impiegato nel riferimento onomastico era meno preciso.24 Per rimanere nell’àmbito che ci offre il maggior numero di attestazioni, alcuni scalpellini o muratori indicati nei secoli XV-XVI come genericamente lombardi o comaschi potevano essere mendrisiensi, luganesi o anche provenienti dalle valli prealpine e alpine dell’attuale Cantone Ticino.

Passando a un’altra arte, che ha goduto di minor fortuna nella regione, è significativo il caso del celebre cuoco e autore del trattato gastronomico Libro de Arte Coquinaria (ca. 1450) conosciuto come Maestro Martino da ComoMartino da Como, vissuto tra il secondo o il terzo decennio del Quattrocento e la fine del secolo.25 Martino era nativo del piccolo borgo di Torre, in Valle di Blenio, perciò il riferimento alla città di Como non può riferirsi alla podestà vescovile: la Valle di Blenio, assieme alla Riviera e alla Leventina, era infatti parte della diocesi Ambrosiana. Inoltre, la cittadina lombarda, secondo le ricostruzioni storiche, non fu un luogo di particolare importanza nella vita del cuoco, che lavorò dapprima a Milano nelle cucine della corte ducale di Francesco SforzaSforzaFrancesco, poi alla corte pontificia del cardinale Ludovico TrevisanTrevisanLudovico (1401-1465), al quale è dedicato il libro («Coquo olim del Reverendissimo Monsignor Camorlengo et Patriarcha de Aquileia»), e infine nuovamente a Milano nelle cucine di Gian Giacomo TrivulzioTrivulzioGian Giacomo (ca. 1440-1518).26 La menzione del borgo lombardo va dunque letta come riferimento generico al territorio delle Prealpi, per il quale era impiegato un toponimo che poteva orientare in maniera sufficientemente precisa anche degli interlocutori estranei alla regione.

Il nome e la lingua

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