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VII.

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Non andò molto che un grande avvenimento mise in subbuglio la villa. Dopo qualche mese d'assenza il conte Alberto annunziò il suo ritorno, avvisando però ch'ei non sarebbe solo, ma con un'altra. Il conte s'era ammogliato, e si può immaginar quanti commenti si facessero di questo suo matrimonio, e quante congetture per l'avvenire. Chi diceva che una giovane, avvezza alla vita romorosa della capitale e alle conversazioni ed ai teatri, non potrebbe trovarsi a suo agio in un paesuccio così povero d'ogni consorzio, e turberebbe la pace del marito co' suoi capricci; chi invece ne traeva lietissimo augurio, e sperava che la presenza d'una gentile signora infonderebbe nuovo brio nella villa. Il partito codino cercava, dal canto suo, di gettare il discredito sulla futura contessa, e non v'è malanno che non le cacciassero addosso. Nei villaggi la malignità abbonda e poco si bada alla qualità dell'armi brandite, pur di ferire.

La giovane sposa, descritta in mille guise diverse secondo il ghiribizzo di chi non l'aveva mai vista, comparve alfine a portare la discussione sul terreno dei fatti. Non beltà sfolgorante, ma leggiadria di volto e di forme; era tutta grazia nelle movenze, tutta dolcezza nello sguardo e nei modi. Vi sono creature privilegiate, alle quali natura diede di poter fare ogni cosa con garbo, e di mostrare negli atti della vita più semplici l'eletto animo e l'armonia delle facoltà. La Matilde, che così avea nome, era tra queste. Non umiliava i suoi dipendenti nè con riserbo sdegnoso, nè con dimestichezza affettata: chi crede tutti gli uomini uguali, può talvolta parer meno affabile di chi, sentendo altamente del censo e del nome, cerca pure di appianare le differenze con la famigliarità delle forme; ma per gli spiriti ben fatti la fratellanza vale ancor meglio della pietà.

Quantunque nata e cresciuta in una capitale, Matilde amava la vita campestre. E il conte Alberto comprese ottimamente che per non fargliela venire a noia bisognava ch'ella non ne fosse semplice spettatrice, ma si addimesticasse con quelle abitudini e con quegli interessi. Le donne ricche, a' nostri tempi soprattutto in cui, la Dio mercè, l'esigenze della vanità si son fatte men formidabili, nè il cavalier servente e lo specchio si dividono con tirannica monotonia il pensiero femminile, son minacciate da due grandi malanni, l'ozio e la noia. Le costumanze sociali hanno precluso alla nostra compagna tante sorgenti d'attività, l'educazione ch'ella riceve suol esser sì frivola, che quando non la soverchino le cure di numerosa famiglia, il suo tempo è piuttosto consumato che adoperato. La è cosa doppiamente funesta, e perchè mille germi fecondi inaridiscono nella donna senza metter fiore, e perchè l'uomo viene a perdere un'alleata operosa, la quale ha gl'istinti del bello e del vero, e se difetta della pertinacia necessaria a condurre a termine le grandi imprese, abbonda dell'entusiasmo necessario ad iniziarle. Abbandonata a pernicioso influenze, per la mobilità della sua tempra inchinevole alla superstizione ed al misticismo, ella riesce sovente un ostacolo, mentre dovrebbe riuscire un aiuto, e quante volte alle dolcezze ineffabili della carezza materna, alla soavità dei consigli d'amore si mescono ammaestramenti, contro i quali protesterà più tardi l'animo nostro. Ma la colpa è di chi sdegna seminare in quel suolo ferace, e per tema di perdere uno scettro illusorio, non aiuta la debole creatura ad uscir di pupillo.

Fortunatamente la vita campestre offre alla donna più modi assai del vivere cittadino per adoprare utilmente le proprie forze. Nè Alberto poteva consentire che sua moglie fosse una signora feudale alla foggia antica, una di quelle dame che col falcone sull'omero si recavano alle splendide caccie, beatificando di languidi sguardi i paggi svenevoli: non in quell'atmosfera cortigianesca lo spirito si ritempra alle forti virtù, non tra quelle molli consuetudini può esercitarsi l'ufficio vero della donna.

La contessa Matilde aveva due campi d'attività innanzi a sè. Da un lato ella poteva attendere alle bisogne della villa, e vigilare quella parte di lavori campestri più particolarmente affidati alle donne, quali sarebbero la coltivazione dei bachi, la filanda, la cascina, ec.; dall'altro sarebbe stato ufficio non meno utile, non meno lusinghiero pel suo amor proprio, il prendersi cura di quelle povere contadine, e dirozzare alcun poco quelle bimbe lasciate crescere come le male erbe. La giovane signora non esitò un istante ad assumersi ambedue quest'incarichi: come padrona della tenuta, ella diceva suo dovere di promuoverne gl'interessi; come donna, come patrocinatrice delle sue dipendenti, pareale altrettanto necessario di accingersi coraggiosamente a quell'ufficio educativo, checchè potessero dirne e pensarne i fannulloni e i malevoli. Nè le chiacchiere mancarono. Una brutta e scipita vecchia, che aveva fino allora congiunto i due ufficî di levatrice e di maestra, venne a querelarsi personalmente con la contessa, assicurandola di aver sempre tenute le bambine legate alla sedia nel massimo ordine e meravigliandosi altamente che si potesse fare qualche cosa di più. Il maestro di scuola che pel numero scemato degli alunni soleva occuparsi con maggior sollecitudine dell'agricoltura, stanco di quella parte da Cincinnato tornò a rimescolarsi pe' suoi lesi diritti, e i due rappresentanti dell'istruzione pubblica strinsero alleanza offensiva e difensiva per abbattere gl'inaspettati rivali. Che se l'opera loro riuscì inutile, non tacque però la maldicenza paesana e nessuno poteva capacitarsi che la villa dei conti *** fosse ridotta una scuola. Ma se ne capacitavano a poco a poco i coloni, e quell'istruzione data alla buona, e più in guisa di consiglio fraterno che d'insegnamento burbanzoso, sortiva già ottimo effetto.

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